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"Le sette Principesse", "Il gatto Murr", Flaiano e la nascita del quartiere Talenti

Post n°922 pubblicato il 17 Settembre 2016 da giuliosforza

Post 851

Leggo, o rileggo? (sottolineature e annotazioni mi fanno propendere per una rilettura)  il  più grande poema persiano, Le sette Principesse, di Nezāmī e subito, nell’introduzione di Alessandro Bausani, traduttore e curatore, una citazione mi colpisce tratta da Khosrov-o-Shīrīn, altra sua opera:

La parola che non sgorga da profondo pensiero / non è degna, quella, d’esser scritta né detta. / Facile cosa è mettere in versi parole, / ma sempre accorti bisogna stare sopra il verso. / Sfronda le molte parole che ti vengono in mente, / non farne d’una cento, ma di cento, una: / la parola è come la perla e il poeta n’è il palombaro; / non è facile cosa afferrare una perla speciale!

La sottolineatura è mia. In un attacco di umiltà, intendo queste parole come un monito anche, soprattutto, per me.

*

Per consolarmi di un interno affanno mi regalo, freschissimo di stampa (marzo-maggio 2016, L'Orma editrice, Roma, 28 Euro) Il gatto Murr (Lebens Ansichten des Katers Murr), capolavoro di E.T.A. Hoffmann.
A 80 anni decisi: niente più libri. Non ho mantenuto la parola. A 83 la peccaminosa, per la precettistica di fine Settecento ma non solo, Lesewut,  Lesesucht, furia di leggere, dipendenza dalla lettura, non fa che aumentarmi. Sempre di più mi ubriaco di letteratura. E' la mia maniera, la sola ormai consentitami, di restare fedele al precetto prima goethiano poi baudelairiano, "man muss immer trunken sein", "il faut être toujours ivres", che assunsi ancora adolescente fra i miei motti.

*

Nel primo, che raccoglie gli scritti postumi, dei due volumi dedicati da Bompiani nella collana Classici a Ennio Flaiano, è contenuto anche La solitudine del satiro, una sorta di diario giornalistico degli anni 1956-1970 destinato a “Il Mondo” e al “Corriere della Sera”. Per chi ama Flaiano, la sua prosa asciutta, il suo spirito salace, una piacevole lettura. Ma in fondo anche per un d’annunziano come me, non fosse che per il fatto che è anch’egli un pescarese, nato in corso Manthoné a pochi metri dalla casa del vate, che nelle Novelle della Pescara ricorda il buon odore di pane fresco che si diffondeva dal forno dei Flaiano. Per un fatto curioso proprio in questi giorni, che mi sto interessando, anche su queste pagine, del mio vecchio quartiere Talenti ove per circa vent’anni vissi, in una strada prossima a quella dove abitava Stefano D’Arrigo (Via Roberto Bracco), l’autore del “romanzo del Novecento” Orcynus Orca, ai cui confini oggi son tornato a vivere, leggo su La solitudine del satiro, in un lungo servizio per “Il Mondo” del 17.12.1957, la descrizione dettagliata della nascita del Quartiere, che in buona parte corrisponde anche ai miei ricordi, alcuni dei quali qui condivisi qualche post fa. Io vi andai a vivere nel 1965, ma moltissimi cantieri erano ancora aperti (e sono ancor oggi, a tal punto che ormai la zona residenziale tocca il raccordo anulare est). In quasi tutto, ripeto, concordo con Flaiano, ma egli non riferisce, evidentemente perché ancora non nata, della zona altoborghese che si sarebbe sviluppata attorno al parco della villa di Pierluigi Talenti. Scrive dunque Flaiano:

“Le strade del nuovo quartiere che stanno facendo sui campi della Nomentana sono dedicati a quegli scrittori che nelle storie della letteratura vengono messi in blocco nell’ultimo capitolo, e trattati con affetto un po’ sommario. Vissuti a cavallo tra il XIX e il XX secolo, di qualcuno i libri si ristampano, di altri no; e ora hanno le loro strade, come si conviene  a scrittori di vita modesta; strette, la maggior parte, e piene di curve. Meglio di niente. Io ci vado a spasso volentieri perché sono abbastanza deserte. Già bitumate, con strade nuove che sprofondano tra i terreni di diporto, le cantine ancora al sole, corrono tra le colline dei vecchi pascoli. Le targhe delle strade sono di legno, i marciapiedi di erba, sull’orlo dei fossati siede il pastore abruzzese a guardia del gregge. Lontano, il cacciatore spara agli storni e ai passeri: colpi fiochi che sembrano uno scherzo. Ogni tanto arriva un camion con scritto sulla cabina: “Forza Roma”, oppure: “vado e torno Carolina”: scarica terra e rifiuti, colmando i prati di montarozzi dove i cani dei cantieri vanno a rovistare, salendovi con l’aria di escursionisti.

Via Ugo Ojetti è la strada più importante, anzi è un grande viale. Ne hanno asfaltato solo metà, nel senso della lunghezza, il resto si indovina. Giovani pini lo divideranno. Per ora finisce in un fosso, oltre il quale c’è un campo di foot-ball. E’ una strada piena di sole, dove le macchine schiacciasassi e le bitumatrici vanno su e giù lentamente. Via Grazia Deledda scende verso un prato, tortuosa, e finisce brusca in un altro fosso. Sull’orlo vi sono seduti quattro muratori che stanno mangiando. Via Ettore Romagnoli, che incrocia via Ojetti, ha molti pini secolari disposti a pettine. Via Antonio Fogazzaro, tutta a brevi curve, è già appesantita da case che sembrano comprate bell’e fatte e messe lì ad asciugare. In via Emilio De Marchi stanno costruendo in fretta piccoli villini cue, una volta colorati, diventeranno giocattoli. Ormai le case assomigliano alle automobili  e alle stanze da bagno; e la loro vista riesce sempre a rattristarmi, benché ci sia abituato. Il poeta Mario Rapisardi ha la sua strada tgra terreni ancora vaghi e recintati; ma costruiranno Incrocia con via Luigi Siciliani, di cui non ho letto mai niente. Tra via Francesco D’Ovidio e via Achille Torelli (I mariti!) sorge la chiesa locale: fatta alla meglio, con un tetto ondulato. Come mai questa chiesa? E’ semplice: per le leggi edilizie siamo ancora nell’Agro Romano e se si vuole costruire un “nucleo” bisogna prima costruire una chiesa. Perciò, eccola chiesa: bruttina, economica, e con un campanile alto un metro.

Via Carlo Lorenzini porta alla Nomentana: è ancora sottosopra. Via Emilio Praga parte da viale Ugo Ojetti (finalmente due amici) e si inoltra tra un gruppo di palazzi. I negozi, tutti nuovi e allegri, sono in fila: salsamenteria, Ambulatorio, Panificio, Vini e Oli, elettricità e radio, Fioraio, Tintoria. A sera, quando le luci si accendono, la tintoria appare scritta in rosso, azzurro, giallo, rosa, verde e viola. Si prende via Isidoro del Lungo e dopo circa duecento metri di cooperative si sbocca in piazza Guido Gozzano: uno slargo non grande, circondate da nuove case di pessimo gusto. Tutte queste case vendonsi o acquistansi. Io preferisco via Giacomo Zanella. E’ un poeta che ho letto pochissimo, nei verdi anni di scuola, ma la sua strada è un nastro di asfalto bruno che attraversa un tenero prato. Non è ancora raggiunta dai cantieri, di qui la vista spazia libera, e si è soli. Vengono le donne a far cicoria e le automobile delle scuole di guida con gli allievi attaccati al volante che provano la marcia indietro.

Stamane, domenica, è venuta una famigliola con l’automobile ancora nuova: tutti sono scesi, hanno spalancato gli sportelli, tolto i sedili, hanno cominciato a pulirla. Le donne battono i tappetini, gli uomini lustrano i nichel. Altri guidatori solitari, nelle stradette che incrociano, aprono il cofano del motore e guardano dentro. I colloqui dell’Uomo, nella solitudine, sono ormai con la sua macchina. La Natura, il paesaggio, così bello qui dove i casali hanno per sfondo la cortina dei monti di Tivoli e la valle che s’apre tra i colli della Sabina, non suggeriscono all’Uomo altri pensieri se non quelli legati al mistero delle macchine che possiede.

Roma è lontana, dall’altra parte, e manda fin qui un boato sommesso. Nasce una curiosa società in questo quartiere. La maggior parte degli abitanti sono contadini che la riforma fondiaria ha improvvisamente fatto diventare cittadini. Hanno venduto i loro ettari e sono venuti in città a fare i portieri e i garagisti. Faranno studiare i figli a scapaccioni, sistemeranno le figlie e la domenica seguiteranno a raccogliere la cicoria nei prati. Non “prenderanno” mai Roma, accontentandosi del calore della sua presenza.

Le case in costruzione la domenica sembrano abbandonate. L’assistente aspetta i compratori, il cane del guardiano abbaia. Una cooperativa edilizia si chiama Virgo Fidelis, il costruttore è l’ingegner Rebecchini, figlio dell’ex sindaco di Roma. Come tutto incallisce, in questa città! Molte case, appena fatte, già cominciano a scrostarsi. A gonfiarsi come biscotti. Hanno i balconi sghembi, colorati vivacemente.

In questi prati sconvolti vive dunque una classe che si va formando e che guarda le targhe coi nomi di quei poveri scrittori, chiedendosi chi mai saranno. Sono nomi di gente che vanno bene per le strade nuove, senza fognature, senza niente. Ma èp già qualcosa. L’essenziale, per molti, è di trovarsi in città, di aver rotta la catena con la vita di campagna. Trovano tutto bello e utile. Breve discorso con un tale che mi confida: “Forse l’anno prossimo metto il telefono”.

Da Via Ettore Romagnoli si sbocca infine in piazza Pier Luigi Talenti. Forse scrittore anche lui? Comunque era parente del costruttore che ha lottizzato i suoi terreni in questa zona. Piazza Pier Luigi Talenti è assolata, alta sul colle, il punto migliore. L’ari qui è dolce, il sole riscalda l’asfalto di famiglia, l’evaporazione fa tremolare i prati e le piante attorno. Passano giovani coppie vestite a festa, tenendosi per mano, come al paese. Dalla veranda di una casa vuota si affaccia una donna con il marito: l’assistente spiega la mappa e indica il panorama. Pieno sole. Mutuo quinquennale.

Pace e silenzio, per ora. Un piccolo aeroplano rende più struggente il silenzio, fa pensare a certe mattine sui laghi, al ronzare di un motoscafo. L’aeroplano fa larghi giri, sempre sul punto di fermarsi e di cadere senza rompersi. Pochi anni fa qui era tutta campagna, l’unica strada correva tra i pini verso Mentana”.

Se Flaiano vivesse oggi, non riconoscerebbe Talenti, nel bene e nel male. L’alternanza di prati e abitazioni è completamente scomparsa, e il quartiere è ormai compatto. A delle zone altamente signorili, se ne alternano altre meno presuntuose e più chiassose. La popolazione è soprattutto impiegatizia, sono sorti grandi supermercati e una grande e bella chiesa, dedicata a Sant’Achille, officiata dai frati francescani del terz’ordine conventuale (gli stessi dei santi Cosma e Damiano ai Fori e della basilica del Foro Traiano) ha sostituito la chiesetta di cui dice Flaiano, che io vedevo affacciandomi dal mio balcone di Via Francesco D’Ovidio, e che penso sia ancora l’, trasformata in oratorio. Il primo parroco fu un giovane frate di Arsoli, Fausto d’Antimi, ottimo organista e fresco vincitore della cattedra di Organo fondamentale al Conservatorio di Firenze. La Chiesa nuova sorge all’incrocio di Via D’Ovidio con via Gaspara Stampa (la grande “cortigiana” del Cinquecento –vivere ardendo e non sentire il male- che non so come sia finita qui, fra tutti scrittori moderni: ve l’ha messa sicuramente qualche odonomasta ignorante di storia della letteratura). Ora, preso dalla nostalgia, vado spesso anch’io a passeggiare per Talenti, con cui confino, e dove abita ancora, in un borghesissimo condominio di Via Ojetti, una delle mie prime più care allieve, Maria S., con la quale ci ritrovammo  fortunosamente, dopo circa cinquanta anni, al Concerto del mio ottantesimo compleanno in St Pauls’ Within the Walls Episcopal Church, restando da allora cari amici (solo che ella ama i mesi estivi migrare al Mare che verde è come i pascoli dei monti, troppo trascurandomi, e gliene voglio). I negozi che io frequentavo sono quasi tutti ancora attivi, dal giornalaio al corniciaio all’orologiaio al ferramentaio. Solo il barbiere, al quale fui fedele anche durante il mio trentennale esilio in Tor Tre Teste Nuova, di recente si è sciolto nelle cose e il suo negozietto è  malinconicamente chiuso. E’ invece scomparsa, inghiottita dal cemento, la villetta ove abitava Amedeo Nazzari, ormai prossimo alla morte, che spesso incrociavo nella mie passeggiate mattutine.

Bando alle nostalgie. Quel che Flaiano dice della nascita di Talenti potrei io ora dire di Porta di Roma, ove abito. E forse, fra cinquant’anni, qualcuno potrà dire di  Porta di Roma quel che io ora dico del Talenti di Flaiano. Tornerò a vedere, oh se tornerò!

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Chàirete Dàimones!

Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano) 

 

 

 

 
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