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Riccardo Riki, 'Tè a New York' e 'L'ultimo amore'

Post n°941 pubblicato il 03 Maggio 2017 da giuliosforza

Post 870

 

Riccardo Riki, Tè a New York e L’ultimo amore

Quando, tanto tempo è passato da parer mill’anni, conobbi il giovane Barboni in una scuola serale dove insegnavo per quattro lire e segretamente languivo per l’alunna Myriam Davidovic, sfolgorante bellezza ebreo-slava, presto volontaria paracadutista nella Guerra dei Sette giorni e non più tornata, mai avrei immaginato che dietro o dentro il giovanottone dall’aria sorniona, la grande passione politica e la splendida inflessione romanesca (quella classica,  aristocratica, del romano autentico), che strappava al sonno le ore migliori per recuperare allo studio quelle che il lavoro gli sottraeva (si sarebbe poi laureato in Sociologia ed avrebbe operato in un settore poeticamente asettico: ma non forse Novalis e Kafka furono per mestiere l’uno contabile nell’impresa mineraria del padre, l’altro impiegato in una società d’assicurazione?)  si celasse l’anima delicata di un poeta, quella che poi mi si rivelò quando ritrovai Riccardo Barboni, in arte Riki, tra i firmatari, nel 1996, del Manifesto della Nuova Poesia Metafisica, apparso sul numero 7 di «Poiesis», e già autore delle raccolte Dietro di me (Ed. Babuino 1972), Vivien (Oximoria  1988, del testo teatrale Amore blu  (1989) e de L’alba rossa di Hailey – Omaggio ad Ezra Pound, (editorecroce 2013).

Ora Riki raccoglie in un elegante cofanetto di due volumi le sue ‘rime sparse’ dal titolo Tè a New York e L’ultimo amore (edizionicroce 2017) e me ne fa dono. M’accingo a leggere con l’animo dell’amico antico, che insieme condivise nelle aule buie di Via Manin i prodromi delle frenesie sessantottine, e dell’amatore, verseggiatore neoclassico, che pur frequentando le avanguardie ha sempre fatto fatica a intenderne e condividerne i linguaggi,  non certo gli intenti.

Quello che a prima vista mi colpisce sfogliando il testo è la differenza di stile fra queste liriche e quelle della precedente produzione di Riki, simbolista  quanto bastava per farne riconoscere i toni georgeiani e rilkiani, se non trakliani. Qui decisamente Riki recupera temi e scrittura nostalgicamente autobiografici in  cui prevalgono amori ed inquietudini ‘adolescenziali’, di quella adolescenza, intendo, che è sì una fase evolutiva ma soprattutto un’atmosfera poetica per eccellenza, quella di cui si nutre la Sehnsucht ‘romantica’, tensione verso la heideggeriana‘casa dell’essere’, verso il profondo sé, che il linguaggio poetico per antonomasia rappresenta. I viaggi di Tè a New York, realtà e simbolo insieme, e gli amori che ne son contorno, travalicano il loro immediato riferimento e si traducono in una sorta di Itinerarium mentis (et cordis) in Deum, un iddio immanente, magari quel crudo iddio che col poeta penetra il corpo dell’amata nella camera-dark a New York.

I viaggi del giovane  Wanderer, che lo guidano con Marilù in ogni parte del globo ‘a divenir del mondo esperto’ con l’ansia conoscitiva d’un ulisside, sono soprattutto viaggi intorno all’anima e l’ubriacatura dei sensi (e del sesso onnipresente, vissuto e descritto in tutte le sue disinibite forme) è l’ebrezza di una libertà via via conquistata, affinata, sofferta in ogni vicissitudine di vita.

E tutto  all’amore è dedicato il secondo volumetto, L’ultimo amore. Qui la vis poietica, creatrice di simboli, non è che si attenui, ma torna nell’alveo di una scrittura scorrevolmente e familiarmente ‘senza guaina’ (…e dove i nervi senza guaina / mescolavano ogni giorno / da posizioni enigmatiche / l’impasto definitivo / della carne in movimento -p.90) che recupera piacevoli accenti di verismo carnale, a me assolutamente non discaro.

Questo elegante volumetto, contenitore e contenuto, rappresenta una  novità di cui Autore ed editore possono dirsi fieri, indipendentemente da quanto i barbassori della critica (di quella canettiana ‘vendetta dell’intelligenza sterile nei confronti dell’arte creatrice’) possano pensarne e dirne. L’dea poi della traduzione inglese a fronte (perché, celio, non tedesca, per fare un dispetto all’odioso imperialismo linguistico albionico?) rappresenta una trovata davvero geniale: sfottò …d’autore, d’un che conoscendo il proprio valore non attende che da altri sia riconosciuto. Devo prenderne esempio.

   ­­­_______________________

 

Chàirete Dàimones!

Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

 

 

 

 
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