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Chiesa dei Martiri Canadesi. Renzo Piano e lo ius soli. Mario Sforza pittore

Post n°965 pubblicato il 16 Ottobre 2017 da giuliosforza

Post 885

Nella Dolce vita felliniana una scena è ambientata nell’allora appena inaugurata, ma non ancora consacrata, chiesa di nostra Signora del Santissimo Sacramento e dei Santi Martiri Canadesi, in Via Giovanni Battista de Rossi, nel quartiere Nomentano-Trieste, quasi all’incrocio di Viale 21 Aprile con la Nomentana, all’altezza del massiccio monumento al finanziere che guarda il comando generale della Finanza: si tratta della scena di un concerto d’organo, al quale Mastroianni assiste in non ricordo bene quale veste (immagino in quella di cronista, il ruolo che nel film interpreta). Il caso volle che fossi presente alla ripresa di quella scena: le circostanze,  in quel periodo della mia vita in cui la mia apostasia, da sempre latente, non era ancora esplosa, mi conducevano spesso in quella chiesa, sicuramente una delle più belle fra le nuove chiese di Roma, ricca di mosaici, maioliche e  pregiate opere in legno e vetro  (confessionali –oggi in disuso: ho visto confessare all’interno su normali panche coram populo e persino all’esterno, nel sagrato antistante , prete e penitente seduti su un muretto di cemento…-, panche, vetrate), ma soprattutto per l’architettura interna: una serie di arcate neogotiche ogivali  in cemento armato lavorato, che da terra attingono il soffitto, e creano uno straordinario effetto prospettico in direzione del grande baldacchino del presbiterio, totalmente ricoperto di preziose ceramiche policrome.

La chiesa è officiata dai Padri Sacramentini, addetti all’adorazione perpetua, fondati da San Julien Eymard, uno dei tre canonizzati della Congregazione della Società di Maria, o Padri Maristi, con Marcellin Champagnat, a sua volta fondatore dei Piccoli Fratelli di Maria o Fratelli Maristi delle Scuole, e Pierre Chanel, protomartire dell’Oceania. Curioso che il cofondatore e capo del…direttorio, Jean-Pierre Colin, non abbia fatto carriera, chissà per quale motivo, e si sia  fermato, se non vado errato, a Servo di Dio, che del processo è la prima tappa. La Società di Maria fu una delle tante congregazioni religiose sorte in Francia dopo la Rivoluzione con lo scopo preciso di ricristianizzarla. Quanto tal fine sia stato raggiunto non saprei giudicare.

*

Questa settimana l’illustrazione dei giornali italiani e il colloquio con gli ascoltatori di Mattino Rai Tre sono affidati a una mia parente assai brava, Francesca Sforza, che da molti anni lavora alla “Stampa”. La ascolto con curiosità comprensibile, con maggiore concentrazione di quella che normalmente l’orario, che è quello della toilette, consente. Tra le segnalazioni più curiose che Francesca ha fatto è quella di una intervista  di non so quale quotidiano a Renzo Piano, un personaggio che come uomo e come artista (lo ritengo, mi si perdoni la bestemmia, coi suoi celebratissimi interventi, dal Centre Pompidou al romano Auditorium, un deturpatore di ambienti) e come uomo “superimpegnato” non colloco nella mia dissacrante graduatoria  degli uomini illustri, e ne sarò punito. Considero poi il fatto che sia stato creato senatore è vita una delle ultime canagliate dello stalinista salottiero radical chic senza erre moscia Giorgio Napolitano. Dunque in quella intervista Piano non parlava di architettura ma diceva la sua sullo ius soli (e diceva tutto quello che uno s’attende dica uno come lui) e, se non ho sentito male,  intendeva lo ius latino come il Jus franco-inglese, e attorno all’accezione di succo bellamente ricamava. Io spero, ripeto, di aver male inteso, e che a intendere male non sia stato Piano, nuovo, in questo caso, belliano marchesino Eufemio che “latinizzando esercito distrutto / disse exercitus lardi ed ebbe il premio”.  

*

Mentana, l’antica Nomentun, ormai può dirsi un quartiere di Roma, pur respirandovisi, geograficamente e culturalmente, aria sabina. Raggiungerla non mi è stato difficile in questa mattina chiara come nessun altra, per una via Nomentana serpeggiante fra vigneti e oliveti (ormai, per la verità, quasi tutti scomparsi, avendo ceduto il posto a un nuovo grande comune, Fontenuova, che ha assorbito Santa Lucia e Tor Lupara e le molte ville ivi esistenti di noti personaggi  come lo storico dell’arte  Zeri, il canterino Morandi e Roberto Rossellini che proprio al limitare est del comune di Roma, in località Prato Lauto, ivi a lungo soggiornò all’epoca dei suoi amori con la Magnani prima, la Bergman poi e per ultima l’indiana Sonali das Gupta). Frequentai in tempi andati a lungo Mentana (la nonna materna delle mie figlie aveva oltretutto qui le sue radici), in occasione di incontri didattico- culturali nelle scuole, nella galleria Borghese e nel Museo garibaldino, che conserva i non gloriosi cimeli della disfatta del 1867, l’ultima prima di Porta Pia, dalla cui breccia non sarebbe entrata l’Italia in Roma, ma sarebbe uscito il Vaticano alla conquista dell’Italia.

Questa volta sono andato alla Galleria Borghese per un particolare Vernissage, non mondano e rutilante di colori di vesti di dame salottiere  e  di discorsi criptici di critici prezzolati, ma intimo, raccolto, intenso per ‘in-genuità’ e serenità, le stesse emergenti dall’autopresentazione dell’artista, un giovane  quarantenne dallo sguardo puro e splendente come quello di un che il mondo guarda con gli occhi di chi la bellezza del mondo sa cogliere, e di essa sa godere, anche sotto la scorza della realtà più ruvida e rude. Realtà ho scritto, e questo è il termine migliore per descrivere il mondo di Mario Sforza (questo anche il suo cognome, ma nessun rapporto di parentela, almeno recente, sì di conterraneità, con me e con la  Francesca di cui sopra). Realista infatti egli non ha paura di definirsi, pur non disdegnando, nella sua multiforme attività, che ingloba archeologia architettura restauro indagine scientifica, esperienze e metodologie d’avanguardia. I suoi maestri, superfluo dirlo, sono i più grande maestri del passato che egli rivisita: con l’amatissimo Caravaggio Correggio, Michelangelo, Bernini, il Volterra, David, Goya, Canova, Van Gogh, Cézanne e Monet, partendo dai quali il suo realismo spontaneamente trapassa nel surrealismo, nel tentativo di disvelare quella ‘realtà’ onirica che definisce la vita, se la vida es sueño, se we are such stuff as dreams are made on.

Sono grato a Mario Sforza (cell. 348 091 0440, mail mariosforza @yahoo.it, web mariosforza1977,facebook.it) per le emozioni che sa suscitare con la sua opera concepita nella gioia e partorita nel dolore: ché come tutti i veri artisti egli è sacerdote e vittima sacrificale insieme, immolante e immolantesi sull’altare dell’Arte  per la salvezza ( la Bellezza) del mondo.

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Chàirete Dàimones!

Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

  

 

 

 
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