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Marco Lo Muscio: Pan fantasy for organ. To Giulio Sforza

Post n°540 pubblicato il 18 Gennaio 2012 da giuliosforza

 

 

Post 517

 

E’ un privilegio a pochi concesso ed una indicibile emozione osservare un vero Artefice nella sua Officina nell’Atto di battere il freddo oggetto, scaldato al fuoco dell’ispirazione, e trarne la scintilla dell’arte o del pensiero (“…scintille dell’Atto/, faville del ferro percosso,/ beltà dell’incude”- Maia).

Sabato sera tale privilegio fu concesso a me.

Fui nell’Officina di Marco Lo Muscio, ad ascoltare in anteprima PAN, fantasy for Organ, dedicated to Giulio Sforza (“dedico questa mia composizione”, scrive Marco troppo buono,”al mio secondo papà, che ha illuminato il mio cammino con la sua umanità, personalità e cultura”). Fui commosso, naturalmente, nella coscienza della mia indegnità, per tanto onore e tanta sincera manifestazione di affetto, ma soprattutto ammirato per la bellezza del pezzo, per la sua insieme pacata semplice e veemente fattura, come l’ispirazione panica richiede,  e fui ancora una volta felice d’avere, agli inizi degli anni novanta, se non scoperto, collaborato a lanciare questo  Ingegno (di quelli che non solo pensano, ma parlano musica) che ha dedicato ad Euterpe tutta la sua vita, incurante delle improbe fatiche e dei sacrifici che la difficile scelta, in tempi inestetici ed anestetici come i nostri, avrebbe comportato.

La copia della Fantasy a me donata, ancora manoscritta, è di una chiarezza commovente, anche nei passi più elaborati, nella sua quasi infantile grafia, e facilissima da leggere, tanto che i momenti più semplici, quelli alla mia portata, potrò avere il piacere di tentare io stesso di riprodurre sul mio organo domestico. Una semplicità da grandi, dura da conquistare.

Il brano, un vero e proprio poema sinfonico, genere di cui, pur non possedendo l’ampiezza sicuramente possiede spessore e respiro, si compone di tre momenti, o movimenti: The dawn of Pan (Alba di Pan), The awakening of Nature (il risveglio della Natura), Also sprach Pan (Così parlò Pan). Questo ultimo, essenziale nella sua brevità, di chiara ispirazione straussiana non solo nel titolo, fff in tutta la sua durata, inizia col rovesciamento del famoso attacco dello Zarathustra (tonica quinta tonica ascendente) in quello di tonica quinta tonica discendente, con un esito non meno grandioso. Procedendo per otto battute di accordi pieni ascendenti in un susseguirsi concitato di mutazioni tonali, va infine ad assestarsi su un solenne accordo con corona di Si maggiore all’ottava superiore: da togliere il fiato. L’anima, sottoposta a contrastanti vicissitudini dai precedenti movimenti, via via si placa per poi nuovamente e definitivamente esaltarsi ed abbandonarsi all’estasi  panica, pagana e cristiana insieme, di una coscienza che avverte, per dirla col Bernanos del Diario di un Parroco di campagna “non esistere un regno dei vivi ed un regno dei morti, ma solo un regno di Dio in cui tutti, vivi e morti, siamo”.

Il brano sul nome di Giulio Sforza e di Pan  è costruito secondo la tecnica di un alfabeto musicale che usa, a differenza di quello tedesco, tutte le ventiquattro lettere dell’alfabeto internazionale, secondo il modello che impiegarono famosi compositori francesi nel 1909 allorché furono invitati a commemorare Haydn. Traduco da una citazione riportata da Marco come introduzione e che si riferisce al brano di Debussy: “Nel 1909, la Société internationale de Musique  commemorò il centenario della morte di Haydn pubblicando opere di d’Indy, Dukas, Ravel e d’altri compositori come omaggio al grande maestro. Il  miglior titolo che possiamo dare al contributo di Debussy sarebbe quello d’un ricercare, perché sfrutta, in effetti, il breve tema utilizzando al massimo tutte le tecniche disponibili. Il motivo deriva da un alfabeto alquanto criptico che avrebbe forse bisogno di essere chiarito (segue esemplificazione). Concepito nell’idioma proprio di Debussy, rivela un senso leggermente burlesco e uno humour che lo collega molto bene a colui cui il pezzo è dedicato, e l’immaginazione in esso dispiegata ne fa un omaggio che Haydn avrebbe accettato con fierezza”.  A questa breve introduzione Marco fa poi seguire l’esposizione del  motivo che nasce dalla trasposizione in note delle lettere componenti il nome  G I U L I O  S F O R Z A e P A N: sol si sol/ mi si la/ mi fa la/ re mi la e si la sol, in terzine.

 

Non Haydn sono io e non merito omaggi. Ma questo, non il primo in verità, fattomi da Marco Lo Muscio mi riempie di orgoglio e di commozione. Vado fiero di colui che ama presentarsi  mio figliolo nello spirito ed un poco mi sento immortale della sua stessa sicura immortalità. In ogni nota che egli nella sua lunga vita farà  vibrare sento che anche il mio spirito vibrerà, da lui reso per sempre a quell’Aria che, come per Ludwig, si parva licet, fu da sempre  il mio regno.

Mein Reich ist in der Luft. Ricordi, Maestro?

 

Grazie, Marco, e chàire!  

 
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