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caso e caos, donna e mediocrità. il Bruno di Pieri, ulimo dente, Gayatri

Post n°542 pubblicato il 24 Gennaio 2012 da giuliosforza

Post 519

 

Un’amica, con cui parlo di cose molto serie, mi scrive: non credo al caso come non credo al caos… E’ tutto un Gioco Divino

Io, che invece credo nel santissimo Caso, l’unica fede che mi salva dall’impasse di Destini e Provvidenze non lascianti scampo, le rispondo che “Gioco divino” non mi dispiace. E nella mia notte agitata, un continuo dormiveglia, perfeziono il concetto: il Caso è un Iddio ludico il cui passatempo preferito è il gioco ai dadi, non truccati.

P.S. E’ solo un puro… caso che caso sia anagramma di caos!

*

Ho affidato a fb un pensiero che, se frainteso, rischia di rendermi ostili molte amiche: “Avrei tanto voluto per una volta in vita sperimentare gli estremi: sublimità e turpitudine, grandezza e meschineria, eroismo e viltà, nobiltà e volgarità, purezza e oscenità. Avrei dovuto nascere donna”.

Il pensiero in realtà vorrebbe  suonar lode alla femminilità, meglio alla “donnità” (dominità, dominicità?),  in tutto incapace di mediocrità e d’altra parte in possesso del  dono di saper intuire  il grande ed il meschino dove essi si trovano.

*

Ho ricevuto da una piccola editrice, La Finestra di Lavis (Trento), due poderosi e ponderosi volumi di circa 1600 pagine, dai rispettivi titoli di Arcicommedia, e Il Bruno furioso. Il dottissimo e scanzonatissimo e provocatorio e dissacratorio stile del curatore, il fiorentino Marzio Pieri italianista a Parma, ma residente per scelta ragionata in Reggio, la originale  veste tipografica (in copertina fantasiosi disegni di bimbi), la divertente anomala ricca commistione di illustrazioni, classiche, moderne, addirittura postmoderne, già questo basterà ad urtare, ed  a far sorridere di sufficienza, i barbassori custodi ufficiali, a suon di miliardi, del verbo bruniano. Eppure io son certo, ben conoscendo le impennate d’ingegno del Fiorentino, che se una lettura del Nolano in spirito bruniano esiste, questa è quella.   Avrò da divertirmi alla ripresentazione, sovente reinterpretazione, scommetto, che il Pieri farà del Candelaio, de Gli Heroici furori, del Cantus Circaeus, dello Spaccio della bestia trionfante, della Cabala del cavallo pegaseo,  de L’asino cillenico. Ma soprattutto avrò molto da apprendere e da riconsiderare.

P.S. Io che non sono un brunista, che coltivo e custodisco non il verbo ma il sacro fuoco del Nolano, io bruniano assatanato, già alle pagine prefatorie ed introduttive ho riso da scompisciarmi.

*

Sono all’ultimo stadio, pardon all’ultimo dente. Il pemultimo incisivo superiore, o quel che di esso restava, dev’essersi spezzato stanotte e devo averlo ingoiato (autofagia). Ora il superstite centrale sta ben saldo, come albero solitario nel deserto che nessun ghibli potrà svellere, come torre che non crolla per soffiar di venti; resiste, ben radicato alla gengiva, saldamente ad essa arroccato, ultimo spalto difensivo, deciso a non mollare, dall’attacco dei germi. Boia chi molla. Mi sopravviverà?

Nella complessa allegoria della vita, la dentizione è la metafora più cruenta e più violenta. Azzannare (mit den Zähnen packen!) è l’operazione più bestiale che si possa compiere, sopravvissuta nell’uomo evoluto. Questa voce verbale dovrebbe scomparire dal vocabolario dell’uomo civile. Scomparirà da quella del Superuomo? L’uso più nobile che dei denti si possa fare è il digrignamento. Nei confronti di quel ceffo che più vomitevolmente col suo ghigno lo ostenta: la Morte.

Delle cose che lungo la via ho perduto, tra le parti di me che ho visto strapparsi da me (quanti brandelli di carne e d’anima  sui bronchi!) quelle che meno rimpiango, anzi che non rimpiango affatto, sono i denti. Che atroci dolori!  Che cruente operazioni di macelleria dai dentisti!

Senza denti, allo specchio, mi par d’essere tornare infante. Oh le tenere boccucce dei neonati senza le minacciose zanne! Oh innocenza di una bocca senza denti!

Getterò le protesi nella spazzatura.

*

Quale sia il senso profondo  del mantra Gayatri e cosa questa divinità rappresenti non doveva essere ignoto a Wagner, se in una stellata notte di Beireuth si rivolse a  Cosima, mostrandole il firmamento, con queste parole: Tat tvam asi, tutto questo sei tu. Una frase, per la verità, entrata nell’uso comune degli innamorati, che son soliti ripetersela a vicenda, nella più banale versione: tu sei tutto (per me!). Ma quanti ne capiscono il vero significato e intendono che in essa sono riassunte tutta la psicologia (qui filosoficamente intesa come dottrina dell’anima), la cosmologia, la teologia vediche? Chi sa della forte visione monistico-immanentistica che le è sottesa e le conferisce pregnanza?   

Senza tale comprensione (opinione di un profano che non lo canta, non lo recita, non lo pensa) il mantra è inutile. Senza di essa Gayatri, che è il profondo Sé coincidente con l’Atman, non risponde.

 

Chàirete Dàimones!

 

  

 
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Utente non iscritto alla Community di Libero
antonio pintimalli il 05/02/12 alle 14:53 via WEB
Io lo canto tutti i giorni da 12 anni :)
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giuliosforza
giuliosforza il 05/02/12 alle 16:45 via WEB
Sei un iniziato al Mistero
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