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Federico Biscione e Alberto Cara all'UNAR di via Aldovrandi

Post n°910 pubblicato il 18 Maggio 2016 da giuliosforza

Post 839

Giovedì prossimo 19 maggio, alle 20.30, all'UNAR di via Ulisse Aldovrandi in Roma , si terra un concerto di musiche contemporanee, tra cui figurano brani degli amici Federico Biscione e Alberto Cara, dei quali intendo riferire a suo tempo. Frattanto mi piace ripubblicare un articolo che l'8 Giugno 1994 scrissi per un giornale tiburtino, hinterland, nel quale riferivo di un concerto beethoveniano diretto dal giovanissimo Federico, di cui tessevo le lodi e sul cui futuro giuravo. Federico ha mantenuto le promesse, è oggi uno dei più noti compositori in Italia e insegna composizione al Conservatorio di Bari. Di Alberto Cara dirò a parte, e mi sarà difficile trovare per il suo straordinario talento parole adeguate.

Zum erstaunen sind wir da.
Lo annotò nei suoi Quaderni di Conversazione il grande Sordo. Ed io non cesso di es¬sere stupito da Federico Biscione, il cui poliedrico talento musicale di pianista, compositore, direttore non persi occasione, pubblica o privata, di celebrare fin dai tempi in cui, ancora studente, da cantore sopportava le intemperanze del direttore di quel Coro Polifonico Tiburtino (ora muto, ma non indegnamente, spero, sopravvivente, nel mio diletto Gruppo Corale «Metanoesi») cui tanta passione dedicai e tanto tempo, faticosamente e testardamente sottratto agli impegni accademici.
Già allora emergevano i tratti della personalità artistica di Federico. Musicista autentico, edel, purosangue (egli è dei pochi che pensino musicalmente), intenso ed antiretorico, aristocraticamente composto, già allora mi si rivelava l'artista capace di intendere, uma-nisticamente e romanticamente, la natura «musica» del reale che solo una Ragione partecipativa, fondamento della Comunione ontologica, per l'Arte in generale e la Musica in particolare è in grado di penetrare (quella musica che sa le vie dell'Assoluto, avrei detto in altri tempi, quando l'ala dell'aquila di Zarathustra non era ancor scesa ad avvivare la santa Terrestrità del mio Fuoco).
Già allora egli (me lo dicevano le sue prime composizioni ed esecuzioni) pellegrinava all'Isi velata con l'animo del novalisiano discepolo di Sais ignaro (ma quanto poi veramente?) di essere in procinto di scoprire nel volto della dea le fattezze dell'amata, o del bruniano Atteone che, lanciati i suoi cani all'inseguimento di Diana, viene infine da questi sbranato, riconosciuto per quel dio che egli fuori di sé va cercando. Federico chiede alla musica ciò che egli già in sé possiede ed è, la musica è la sua autocoscienza, per la musica l'essenza lirica del reale si fa in lui chiara a sé medesima. Che egli poi condivida o no questa mia musicale estetica è di minimo momento: solo per essa egli pure, la sua «musica» natura, può in me puntualmente, attuosamente pensarsi!

Il recente Concerto in S. Lorenzo ed il suo successo hanno felicemente confermato le mie intuizioni. Debuttare con il Ludwig «corrucciato e doglioso che non credeva se non nella Bontà» (così un D'Annunzio confidenziale a Daniele Luise) dell'Ouverture op, 62 e dell'Eroica rappresentava una temibile sfida. Ma Federico l'ha vinta con sovrana disinvoltura e con grande stile, pur no avendo a disposizione il migliore degli organici.
La musica beethoveniana del Coriolano , pensata per il modesto dramma di H. Collin, ha in realtà un respiro scespiriano. L'intimo conflitto dell'animo del leggendario Generale romano, dapprima tempestoso poi profondamente patetico, trova in essa compiti espressione. V'è, secondo Walter Kirchler, «un accanimento, una intensità, una tenebrosità rischiarata soltanto per qualche istante dalla melodie in maggiore; ma c'è anche la forza, altrettanto grande, di dominare l'oscurità». Farsi prendere la mano, in simili circostanze, è fin troppo facile. Costante è il pericolo di forzare o di attenuare i toni, di cadere di volta in volta nell'artificiosità vuoi di un titanismo trionfalìstico, vuoi di un intimismo edulcorato, ambedue estranei alla particolare drammaticità beethoveniana sostanziata classicamente d'epicità. Interpretare Beethoven è sempre rischiare di tradirne la «demonicità», che è in lui sempre, goethianamente sto per dire, controllata.
Federico Biscione ha avvertito il pericolo ed ha dominato la massa sonora plasmandola con perizia e saggiamente distribuendola ove densità o levità lo richiedessero. Il suo dirigere poi a mente, vezzo inutile in chi non sia pregiudizialmente in grado di padroneggiare comunque la materia orchestrale, gli ha consentito un dialogo serrato con gli interlocutori giovani e valenti del Complesso ascolano sen-za pause e senza cadute. Notevolissimo Coriolano davvero, uno dei migliori che mi sia stato dato d'ascoltare.
Quanto all'Eroica, che dire? Destinata ad intitolarsi in un primo tempo Bonaparte essa può veramente ritenersi opera prometeica in grado di celebrare, nella figura del Corso, l'hegeliano «spirito del mondo che cavalca attraverso la Storia». Sentitosi poi Ludwig-Bruto tradito dal cesarismo napoleonico, correggerà la dedica della Sinfonia, la caricherà di sensi nuovi, l'animo rivolto alla glorificazione dell'eroe purissimo che ha in Prometeo il prototipo. Prometeo che invola il fuoco agli dei per illuminare la notte degli uomini, Prometeo che paga il suo ardimento con il supplizio atroce su gli speroni del Caucaso: questi i motivi che la musica beethoveniana attraversa e scava, scandaglia ed illumina, esalta e compiange.
La sua vicenda si celebra tra un epinicio e un epicedio. Quella immane trenodia che è la Marcia funebre sovrasta i restanti movimenti a tal punto che avrebbe potuto introdurli e coronarli. Ma anche se ne sostanzia, se ne lascia penetrare come corpo traslucido, e fa del compianto canto, del lamento peana. Davvero suprema espressione della beethoveniana tensione, l'Eroica fonde divinamente materia e forma, forgia il ferro alle esigenze dello spirito duttile, alle volute, alle trine dell'anima. Impresa davvero da far tremare le vene e i polsi rendere l'anima dell'Eroica!
E Federico ne è stato cosciente, forse troppo cosciente. E per tema di prevaricare ha temuto di osare. Qualche slancio in più, qualche spericolata arditezza, qualche ulteriore approfondimento avrei gradito. Ma infine ho condiviso la scelta prudente. Sarebbe stata in grado la pur brava, ma giovane e ridotta orchestra di rispondere adeguatamente? Ne è risultata un'Eroica polita e forbita, formalmente ineccepibile: E soprattutto non tradita. Che è sempre un esito straordinario.
Ricordatevi di questo nome: Federico Biscione. Potreste un giorno rimpiangere di non averlo conosciuto.

 

 

 

 
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