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Ancora di Hoffmann e di un adolescente. Albinati e il suo 'romanzo'. Hoelderlin

Post n°929 pubblicato il 17 Dicembre 2016 da giuliosforza

Post 858

Un  maturo adolescente di mia conoscenza, molto intelligente e sensibile, che non ha avuto, come la maggior parte dei suoi coetanei, la fortuna di amare la carta stampata e di scoprire i tesori che in essa si celano,  corre il felice rischio di essere da me ad essa recuperato, complice  E. T. A. Hoffmann.

Si dà il caso che il suddetto maturo adolescente sia abituale consumatore delle orrifiche vicende dei personaggi virtuali che lo schermo del computer e dei video-giochi gli propina, vada pazzo per il genere horror in tutte le sue componenti, il fantastico, il farsesco, il burlesco, lo spaventoso, il vaneggiante, il tenebroso: tutte componenti, guarda caso, reperibili nell’opera del königberghese, l’antesignano di tutti quei grandi che, da Poe in poi, si sarebbero col genere confrontati. Ebbene, gli ho appena donato i Racconti e Gli Elisir del diavolo e pare il miracolo stia avvenendo. Il giovanotto legge, e ne è conquistato. Soprattutto Gli Elisir lo attraggono, “questo capolavoro di un romanticismo dilacerato e ormai al tramonto, scritto tra il 1814 e il 1815, che esibisce nelle sue pagine, secondo le parole di Heinrich Heine, un campionario delle ‘immagini più terribili e spaventose che lo spirito possa ideare’ e introduce nella letteratura europea la figura del sosia; tenebroso fantasma e inquietante proiezione dell’Io, emblematica rappresentazione del male e metafora del lato oscuro dell’uomo moderno; narrazione faustiana e dongiovannesca, il primo grande romanzo di Hoffmann che è anche una lucida rappresentazione della catastrofe che minaccia l’individuo abbandonato dalle certezze dell’età illuminista e della stagione romantica: un requiem per i miti e le mitologie del soggetto che costellano l’alba della modernità” (dalla quarta di copertina).

        Se ai miei tempi avessi messo tra le mani di un adolescente un libro di cotal fatta, sarei stato radiato dall’albo dei pedagogisti. Ma quante cose, grazie agli dei, sono da allora cambiate! Quali mutamenti nella visione dell’uomo e del mondo di cui anche le psicologie dell’età evolutiva son chiamate a prendere atto! Vere e proprie mutazioni genetiche , che rendono ancora più abissali gli iati fra le generazioni. Amo ritenere che attraverso una così anomala iniziazione alla lettura il maturo adolescente  si  innamori della carta stampata, dei profumi dei suoni dei sapori dei colori, addirittura dei fremiti sensuali che al solo tatto da essa emanano e che nessun esclusivo frequentatore di algidi schermi di ebook sarà mai in grado di immaginare.  

*

Ripresa la lettura del malloppo di Edoardo Albinati La Scuola cattolica, non tanto per motivi letterari (non riesco a riconoscere a quel dispersivo centone dai mille stili un valore che i giudici dello ‘Strega’, di bocca evidentemente assai più buona della mia, gli hanno riconosciuto, non ne amo la lingua ,di una sciattezza programattica  che fa di una enfatica antienfasi il suo orgoglio)  ma per una curiosità autobiografica, avendo io, per circa tre anni, a cavallo tra il cinquanta e il Sessanta, insegnato nella scuola attorno a cui ruotano le vicende, fra le quali il delitto del Circeo (che tra i suoi protagonisti ebbe anche un condiscepolo dell’Albinati) narrate nel ‘romanzo’: il SLM di Roma. Quella scuola aveva fatto parlare molto di sé già a metà degli anni cinquanta, all’epoca dello scandalo Montesi, allorché era ancora ospitata nei locali dell’edificio di via Montebello che dà su piazza della Croce Rossa, addossato alle  mura aureliane, sui cui spaziosi camminamenti un prof di botanica aveva ricavato un ameno giardino. Quella costruzione era stata poi acquistata dallo Stato per ospitarvi il liceo scientifico statale Plinio Seniore che immagino ancora vi abbia sede. Il padre di uno degli implicati maggiori in quel caso, il musicista Piero Piccioni fratello di Leone, fine critico, collaboratore e poi storico di Ungaretti, era Attilio, allora ministro degli esteri, se ben ricordo, obbligato dallo scandalo a dimettersi; lo ricordo frequentatore assiduo del San Leone, non so se in qualità di ex alunno o di padre di ex alunni. Altro particolare che sarebbe stato interessante per Albinoni: il falegname del San Leone, abitante in Tagliamento verso piazza Verbano, e quindi ancora in zona Trieste, era il padre della Montesi, la povera ragazza trovata morta sulle sabbie di Torvaianica: delitto rimasto in parte insoluto, dopo anni e anni di dibattito in tribunale, la cui maggiore attrazione era rappresentata dalle perorazioni dell’avvocato Carnelutti, grande oratore, scrittore e poeta: per andarlo ad ascoltare  si faceva la fila dinnanzi al ‘Palazzaccio’, ora sede della Corte di Cassazione, ma allora ospitante il tribunale penale.  Mi chiedo cosa avrebbe potuto scrivere Albinati se ne fosse stato testimone. Le mille e trecento e passa pagine del suo ‘romanzo’ fiume sarebbero diventate minimo duemila! Intestardendomi a leggerlo, sto sottraendo del tempo prezioso alla mia senescente vita per un puntiglio: voglio vedere quanti, come me, che hanno iniziato la lettura de La scuola cattolica, riusciranno ad arrivare alla fine.

Nella speranza di vivacizzare un po’ questo blog ho chiesto aiuto ad una mia ex allieva per anni educatrice a Rebibbia, attendendomi da essa notizie fresche e originali di prima mano sull’Autore, da un ventennio insegnante di lettere in quel carcere. Mi ha solo saputo dire di averlo visto e di avergli parlato  poche volte, e che le era oltretutto antipatico, troppo cosciente della sua bravura e della sua fisica prestanza, che non passava indifferente in un ambiente come quello carcerario. Metto perciò fine a questa chiacchierata non senza avere prima, per onestà morale e intellettuale, reso omaggio alla vastissima informazione, in ogni campo, non so fino a che punto maturata in cultura, dell’Albinati, e della sua facilità di comunicazione, fin troppo ostentata, in una lingua, come ho detto, programmaticamente  antiretorica, a tal punto da decadere  nella retorica dell’antiretorica, e perciò in un realismo sfiorante una fastidiosa piattezza.  Albinati può scrivere, nelle sue lunghe divagazioni, di tutto, di sesso, di famiglia, di scuola, di  psicologia, di sociologia, di letteratura con una competenza ed una profondità invidiabili, con originalità e indipendenza di giudizio: un vero e proprio, ma a ragion veduta, bastian cuntrari l’Albinati ; le sue disamine, lunghe lunghe lunghe e così precise da rasentar la pignoleria, sono davvero impressionanti. Solo mi chiedo se per arrivare al clou della narrazione, che inizia intorno a pagina 450, era proprio necessaria  una tal profusione di divagazioni e di incisi, perdonabili solo a un Balzac.

*

Mi rifaccio con Hölderlin.

        “Essere uno con il tutto, questo è il vivere degli dei; questo è il cielo per l’uomo.

        Essere uno con tutto ciò che vive e ritornare, in una felice dimenticanza di se stessi, al tutto della natura, questo è il punto più alto del pensiero e della gioia, è la sacra cima del monte, è il luogo dell’eterna calma, dove il meriggio perde la sua afa, il suono la sua voce e il mare che freme e spumeggia somiglia all’onde di un campo di grano.

        Essere uno con tutto ciò che vive! Con queste parole la virtù depone la sua austera corazza, lo spirito umano lo scettro e tutti i pensieri si disperdono innanzi all’immagine del mondo eternamente uno, così come le regole di un artista davanti alla sua Urania, e la ferrea fatalità rinuncia al suo potere e la morte scompare dalla società delle creature e indissolubilità ed eterna giovinezza rendono felice e bello il mondo.

        Sovente mi innalzo a questa altezza, ma un momento di riflessione mi butta giù. Rifletto e mi ritrovo, così come ero prima, solo con tutti i dolori di ciò che è mortale, e infranto è l’asilo del mio cuore, il mondo eternamente uno, e la natura mi chiude le sue braccia e io sto davanti a lei come un estraneo e non la comprendo.

        Oh! Non avessi mai frequentato le vostre scuole! La scienza che ho seguito fino al fondo del suo pozzo e dalla quale io, giovanilmente folle, attendevo la conferma della mia pura gioia, mi ha sciupato ogni cosa:

        Sono diventato, presso di voi, un individuo così ragionevole, ho imparato a distinguermi perfettamente da ciò che mi circonda e sono ormai isolato in questo mondo bello, sono stato scacciato dal paradiso della natura, dove ho vissuto e sono fiorito, e mi inaridisco nel sole del meriggio.

        Oh! Un dio è l’uomo quando sogna, un mendicante quando riflette e, quando l’estasi si è dileguata, si ritrova come un figlio fuorviato che il padre cacciò via di casa e contempla i miseri centesimi che la pietà gli ha dato per il suo cammino” (Friedrich Hölderlin, Iperione, traduzione e cura di Giovanni V. Amoretti, Feltrinelli, Milano, 1991, pp 29-30).

 

_______________________

 

Chàirete Dàimones!

Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano) 

 

 

 
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Utente non iscritto alla Community di Libero
giacomo il 23/12/16 alle 23:13 via WEB
Gentile Professore , leggo da molto tempo i suoi interventi, molto stimolanti e creativi. Non c'è bisogno di vivacizzare il sito. Basta un suo post, perchè vampate (ardenti) provocanti risveglino le assopite menti dei più. Grazie del tempo e delle idee che ci dona.
(Rispondi)
giuliosforza
giuliosforza il 27/12/16 alle 08:16 via WEB
Caro Giacomo, il suo commento mi lusinga! Grazie, lei è uno di quegli spiriti che mi fanno ancora sentire vivi e mi stimolano a persistere.
(Rispondi)
giuliosforza
giuliosforza il 27/12/16 alle 08:18 via WEB
Leggi "sentire vivo".
(Rispondi)
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