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Reincarnazioni. Ancora di Albinati. Ultimi acquisti

Post n°943 pubblicato il 26 Maggio 2017 da giuliosforza

Post 872

Dei quattro quarti in cui è divisa al mia giornata, uno è dedicato al sonno, o al tentativo di dormire, un altro alla lettura e alla scrittura, un terzo ai vagabondari nello spazio reale e in quello virtuale, il quarto alla ricerca di senso dei vari segnali che la turpe, e meravigliosa, vecchiezza mi invia, per individuare quello che presumibilmente sarà il definitivo segnale di morte. Di quale dei miei acciacchi io debba morire, di quale morte morirò: è questa la domanda che  più di frequente ricorre in questa fase conclusiva della mia vita: una domanda, e una preoccupazione, a pensar bene, tra le più inutili e insensate. Del dopo , che è quello che più dovrebbe preoccupare il genere umano, sostanzialmente –stranamente?- mi disinteresso. Che sia in ciò la mia suprema saggezza? Ché, ove non è ‘tempo’, non è ‘dopo’. Le categorie spazio -temporali non s’applicano all’i-tempo che diciamo eternità.  Almeno in questo mi riconosco kantiano.

*

Con grande lentezza e fatica (sono a pagina 1090) procedo nella lettura, a salti , del centone albinatiano. Pagine autobiografiche d’un erotismo estremo ai limiti del porno s’alternano con altre di svariatissimo argomento che apparentemente nulla hanno a che fare con quello  che vorrebbe essere del volume, vale a dire col delitto del Circeo ed il rapporto che esso può avere avuto con la formazione proposta da quella scuola cattolica, il San Leone Magno di Roma, nel cui seno i tre stupratori assassini , e lo stesso Albinati, si formarono. Perch’io insista nella lettura non saprei. Probabilmente un inconscio senso di mia inadeguatezza, e d’umiltà, mi spinge nei confronti di un lavoro portentoso che non avrei saputo nemmeno lontanamente concepire e intraprendere, tanta la mia pigrizia e così diversi il mio gusto, il mio stile di scrittura  e la maniera di intendere natura e fine del fatto letterario. O forse continuo a leggere perché Albinati davvero merita, tanto merita che la sua vincita dello Strega pare fosse già stata decisa mesi prima della …decisione? Strega  In mente Dei.

*

Due recentissimi acquisti: Homo Deus (Saggi Bompiani 2017, pagine 665), del giovane Yuval Noah Harari, professore di Storia della Hebrew University di Gerusalemme; e  A Dio piacendo (Neri Pozza editore, Vicenza, 2016, pp. 426), di Jean d’Ormesson, il nobile di stirpe e di fatto, ora splendido  ironico ed autoironico 92enne (basta osservarlo nella foto di copertina, rimpollaiato su una sorta di trespolo,  gambe accavallate, minuta la statura, naso grosso, vestito  elegantissimo, sorriso ed occhi furbescamente ammiccanti fissati sullo spettatore) del quale ho già forse riferito di star leggendo la spiritosa autobiografia Malgrado tutto direi che questa vita è stata bella (Neri Pozza 2017). Jean D’Ormesson può veramente dirsi nato con la camicia, e una camicia di seta. Figlio d’ambasciatore, discendente di una delle famiglie più titolate della aristocrazia francese, infanzia trascorsa tra un castello avito e l’altro, soprattutto quello di Saint- Fargeau, fanciullezza al seguito del padre nelle tre  sedi diplomatiche di Monaco di Baviera, Bucarest, Rio de Janeiro, ove ha modo di formarsi la cultura cosmopolita che lo distinguerà. Di questo libro riferirò diffusamente a parte,  e perciò torno ai nuovi acquisti, che ancora non ho avuto modo di sfogliare e di cui perciò mi limito a riportare, dietro sollecitazione della mia amica curiosa Maria Salvi, le presentazioni editoriali .

Di Homo Deus trovo scritto:

Sapiens, il precedente libro di Harari, ci ha mostrato da dove veniamo. Homo Deus ci mostrerà dove stiamo andando.

Nella seconda metà del XX secolo l’umanità è riuscita in un’impresa che per migliaia di anni è parsa impossibile: tenere sotto controllo carestie, pestilenze e guerre. Oggi è più probabile che l’uomo medio muoia per un’abbuffata da Mc Donald’s piuttosto che per la siccità, il virus Ebola o un attacco di al-Quaida. Nel XXI secolo, in un mondo ormai libero dalle epidemie, economicamente prospero e in pace, coltiviamo con strumenti sempre più potenti l’ambizione antica di elevarci al rango di divinità, di trasformare Homo Sapiens in Homo Deus.

E allora cosa accadrà quando robotica, intelligenza artificiale e ingegneria genetica saranno messe al servizio della ricerca dell’immortalità e della felicità eterna?  Harari racconta sogni e incubi che daranno forma al XXI secolo in una sintesi audace e lucidissima di storia, filosofia, scienza e tecnologia, e ci mette in guardia: il genere umano rischia di rendere se stesso superfluo. Saremo in grado di proteggere questo fragile pianeta e l’umanità stessa dai nostri nuovi poteri divini?”.

Di tutt’altro genere A Dio piacendo,l’in buona parte autobiografico (una sorta di manniano Buddenbrook). Le Figaro così l’ha presentato: “La fragilità delle vicende umane in un romanzo che narra della sopravvivenza della tradizione in un mondo destinato a congedarsi da essa”.  E la Repubblica: “Come Teseo che segue il filo del labirinto, Jean d’Ormesson ripercorre il grande romando del mondo, quella storia iniziata oltre tredici miliardi di anni fa e sulla cui fine continuiamo a interrogarci”. Così invece l’esaustivo risvolto di copertina:

“A Dio piacendo è la storia di un’antica famiglia aristocratica francese, una di quelle famiglie apparse al tempo delle crociate, con un maresciallo della fede e dell’esercito di Dio che non deve aver goduto di buona fama nei dintorni di Damasco. Una famiglia nella quale chiunque nasca è di colpo consegnato a un mondo che guarda indietro, dove il passato conta più del futuro.

Un mondo custodito nei pensieri di un bel vecchio, diritto come un fuso, che vive nel ricordo. Sua madre ha ballato alle Tuileries con il duca di Nemours, sua moglie a Compiègnes con il principe imperiale.

La vita, per lui, è una cosa estremamente semplice, dove hanno peso il curato, la caccia a cavallo, il culto della bandiera bianca e il nome della famiglia. Dove non passa mai per la testa di nessuno di partire per la Siria, per le Indie, per il Messico, poiché negli spostamenti c’è sempre qualcosa di confuso e di impercettibilmente volgare.

L’unico luogo degno in cui è aggirarsi è il castello e i dintorni del castello in cui la famiglia ha vissuto attraverso i secoli e le generazioni, una dimora stipata dei lasciti del passato: i comò, i secrétaires  a cilindro, le consoles a intarsio o a mezzaluna, gli arazzi di Aubusson o delle Fiandre, i quadri di antenati in grande uniforme negligentemente appoggiati a uno scrittoio.

Nei suoi momenti di ottimismo, che si alternano alle crisi di abbattimento, per la degradazione dei costumi, il vecchio sogna un tempo in cui l’ordine delle cose si ristabilisca intorna alla Chiesa e al trono, dove ciascuno ritrovi il proprio posto e il proprio rango di ufficiale, soldato, artigiano, contadino, pittore e letterato, e il cognome della famiglia sia di nuovo venerato….

Romanzo che ha consacrato il talento di Jean d’Ormesson.  A Dio piacendo  è una delle opere più importanti della narrativa francese contemporanea. Al suo centro figurano un personaggio –il nonno, fedele al passato, refrattario al progresso e ai suoi cambiamenti, custode della tradizione e dei costumi degli avi- e un luogo: il castello di Plessis-lez-Vaudreuil, la culla della famiglia, dove dalle Crociate ai giorni nostri si avvicendano gli eventi del casato. Matrimoni d’amore e di interesse, imprese eroiche e viltà, fedi e passioni, tutto ciò in cui la famiglia ha creduto, e che ha fatto suo, viene passato in rassegna, finché ogni cosa si sgretola. Subentrano i costumi e i furori della modernità, e si aprono via via delle brecce nella fortezza della tradizione”.

Nell’affollata sala d’attesa d’un reparto d’ospedale romano, leggo oggi le prime cinquanta pagine. Puro godimento per un che,  fra le mille vite tutte diverse che ha sognato d’aver  vissuto, una particolarmente risalta, quella che lo vede Condottiero e Castellano d’un maniero, magari  di quello ormai diruto del suo paese, o di qualcuno dei numerosi  dei suoi omonimi Sforza; e che, reincarnato o no, avverte fra il vecchio del romanzo, i suoi turbamenti e il sentimento estremo del vanitas vanitatum et omnia vanitas (il d’annunziano tutta la vita è senza mutamento, / ha un solo volto la malinconia…) una profonda corrispondenza. Spero, quando ne ridirò al termine della lettura, di non aver cambiato opinione. Ma di D’Ormesson ho grande fiducia. Quando lo guardo fissarmi sornione dalla foto di copertina di  Je dirais malgré tout que cette vie fut belle, sento che non mi tradirà.

    ­­­_______________________

 

Chàirete Dàimones!

Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

 

 

 

 
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