Creato da giuliosforza il 28/11/2008
Riflessione filosofico-poetico-musicale

Cerca in questo Blog

  Trova
 

Area personale

 

Archivio messaggi

 
 << Aprile 2024 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
1 2 3 4 5 6 7
8 9 10 11 12 13 14
15 16 17 18 19 20 21
22 23 24 25 26 27 28
29 30          
 
 

FACEBOOK

 
 
Citazioni nei Blog Amici: 3
 

Ultime visite al Blog

giuliosforzafantasma.ritrovatom12ps12patrizia112maxnegronichioooooannaschettini2007kunta.mbraffaele.maspericotichPoetessa9avv.Balzfamaggiore2dony686cassetta2
 

Ultimi commenti

Non riesco a cancellare questo intruso faccendiere che...
Inviato da: Giulio Sforza
il 20/11/2023 alle 07:25
 
Forse nei sogni abbiamo una seconda vita
Inviato da: cassetta2
il 01/11/2023 alle 14:32
 
Ciao, sono una persona che offre prestiti internazionali. ...
Inviato da: Maël Loton
il 18/09/2023 alle 02:38
 
Ciao, sono una persona che offre prestiti internazionali. ...
Inviato da: Maël Loton
il 18/09/2023 alle 02:34
 
Ciao, sono una persona che offre prestiti internazionali. ...
Inviato da: Maël Loton
il 18/09/2023 alle 02:31
 
 

Chi può scrivere sul blog

Solo l'autore può pubblicare messaggi in questo Blog e tutti possono pubblicare commenti.
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 
 

 

« Antonio Croce. "Filosof...Il contagio dannunziano ... »

Il contagio dannunziano. Parte prima

Post n°977 pubblicato il 12 Marzo 2018 da giuliosforza

Post 897

Nel 2013, in occasione delle celebrazioni per il 150° anniversario dannunziano, tenni per gli amici di un circolo culturale di Civitavecchia un discorso che riporto qui senza mende. E’ il mio modo di onorare oggi il 158° compleanno del Pescarese.

IL CONTAGIO DANNUNZIANO*

 Chàirete Dàimones!

A voi il mio saluto classico, e con esso il saluto di Colui dal quale l’appresi, il “Folle” di Röcken, quel Friedrich Nietzsche (“il Barbaro enorme/ che risollevò gli iddii sereni/ dell’Ellade su le vaste porte/ dell’Avvenire”) che del panico Ermapollodionisio pescarese (mio è l’endecasillabo), fu Maestro fra i maestri; al nome del quale, e non certo solo per l’ode celebrativa “Per la morte di un Distruttore”, il suo nome sarà per sempre legato, alla cui Ombra sarà la Sua in eterno inseparabilmente unita, due corni della tessa fiamma, come  l’Ulisse e il Diomede danteschi.

Mi fu data l’opportunità di provare a contagiare della mia passione dannunziana un numerosissimo ed attentissimo pubblico di adolescenti e di giovani, o di spirito giovani, nel nobile liceo intitolato al Vate nella “sua” Città, sulle sponde del “suo” fiume, l’undici marzo scorso, vigilia dell’Anniversario. Ancora caldo e carico di quella grande emozione, una tra le più forti e grandi, se non la grandissima, della mia vita (ché, pur se numerose altre volte abbi occasione di celebrare il vate,  mai mi sarei atteso dagli dei il dono di poterlo fare di fronte ad una platea di adolescenze in fiore nella pienezza della mia ancor vigile vecchiezza, non ancora perciò turpe e tediosa) eccomi ora a voi con l’intenzione di tentar di plagiare, se ce ne fosse bisogno, anche voi della mia passione per Colui che un critico ed uomo politico cattolico, Domenico Magri, in anni in cui pur il solo pronunciare il nome di D’Annunzio era ritenuto blasfemo, ebbe l’animo di celebrarlo, con le parole dal Manzoni  dedicate alla memoria del Còrso (“qui, nell’ode d’Hugo, plus grand que César, plus grand même que Rome/ absorbe dans son sort le sort du genre humain”) come Un di coloro in cui volle Iddio “del creator suo Spirito/ più vasta orma stampar”.

 

Sono qui a dirvi liberamente, senza ritegni, senza remore, senza freni, se non qualche fren dell’arte, affabilmente ma anche affabulatoriamente, ai limiti del cialtronesco (non è forse sfarzo anagramma di Sforza?) della mia  ormai pressoché centenaria passione dannunziana, del mio invasamento, della mia possessione.

Non sono un “esperto” di D’Annunzio, non sono un dannunzista, non sono un filologo, non sono, sia detto senza offesa, uno spulciatore (uno di quelli ai quali dobbiamo la nostra ammirazione e la nostra gratitudine per l’erudita e paziente opera di scavo, di cernita, di ripulitura, di chiarificazione); semplicemente un dannunziano innamorato sono, un “intimo”, anzi intimissimo, di Gabriele, con stigma,  cum labe (et tabe)  originali nunciana conceptus, nato drogato d’abruzzesità e di d’annunzianesimo: come Lui porto “il limo della mia terra (d’elezione) alla suola delle mie scarpe, al tacco dei miei stivali”; i colli e le valli della mia terra equa, dura ed altera come la contigua terra dei Marsi,  respirano abruzzesità con le arie dell’ “Adriatico selvaggio”, del Gran Sasso e della Maiella le quali, travalicati il Sirente, il Velino, i monti della Duchessa, giungono a carezzarli o sferzarli, fresche d’estate, rigidissime d’inverno; ancora l’Ombra del mio possibile avo Muzio Attendolo, fondatore della stirpe sforzesca (potrei aver nelle vene il sangue di uno dei nove figli di Maria da Marzano Contessa di Celano sua moglie) affogato nei turbini del Pescara alle sue foci nel tentativo di strappar loro un suo cavaliero, vaga fra le selve e i monti della mia terra; ancora l’anima di Vittoria Colonna (figlia di  Agnese, figlia di  Battista Sforza e di Federico da Montefeltro, marchesa d’Ischia e di Pescara, confidente e musa ispiratrice -“Un uomo in una donna, anzi uno Iddio”-, nel Cenacolo romano da lei fondato dopo la morte prematura nella battaglia di Pavia del marito Francesco d’Avalos, del solitario di Macel de’Corvi, di Colui che …”nuovo Olimpo/ alzò in Roma ai celesti…”) attraversa con l’Ombra del Sulmonese di stirpe sabella la mia piana del Cavaliere; ancora l’Ombra di Lui, che ebbi ospite assiduo per un trentennio nella casa di via delle Caserme, alla sua casa prossima, messami a disposizione dalla  magnanimità di amici carissimi, colma di Sé, insieme agli Amici di Turingia, i silenzi delle mie stanze romane.

 

Il D’Annunzio di cui vorrei contagiarvi non è certo quello degli stereotipi ricorrenti  che lascio ai cultori di pettegolezzi. Io intendo dirvi di Colui che, come Novalis, intuì il mistero delle cose ed affidò all’arte, che sola ne possiede il segreto, il compito di svelarli; di Colui che fece suo, ed in sé (Orbo veggente, Arcangelo coclite) elevò al massimo grado, spingendolo  fino al parossismo, il programma dall’adolescente Rimbaud (ange ou démon?) affidato al Poeta Veggente: “un long, immense, raisonné dérèglement de tous les sens”; di Colui che, sforzando alle estreme conseguenze il panismo ed il cosmismo bruniani (a loro volta  corollari obbligati delle premesse, cusaniane e copernicane, della Coincidentia oppositorum e del De revolutionibus orbium coelestium, in grado di operare una vera e propria revolutio mentium terrestrium, per le ardite teorie dell’infinità dei mondi, della circolarità dell’essere in cui tutto è centro e periferia, dell’identità di causa creante ed effetto creato, di finito e di infinito, di Dio e Mondo. di Mens super omnia e di Mens insita omnibus: teorie inauguranti l’era dell’immanenza-trascendenza quale tensione interna, eroico furore, “raptamento” atteonico, del particolare che avverte in sé il respiro dell’universale, del Tutto divino che ad ogni ente in cui storicizzandosi si significa conferisce pari divina dignità, fondamento dell’unica possibile ecologia come discorso intorno all’universo mia casa e mio corpo), seppe liricamente rendere (“ par da scorza tu esca”, “sei fatta virente”, heideggeriana, ma già bruniana e nicciana denkende Dichtung, poesia pensante), in tutta la sua vastissima opera, dalle prose e dalle poesie adolescenziali all’estremo, sublime quanto criptico, Libro Segreto o  Cento e cento e cento pagine di Gabriele D’Annunzio tentato di morire, l’invocazione rinascimentale ad una metanoesi e ad una metantropologia che sono ancora tutte, ahimé, di là da venire.  Dell’onnivorace celebratore della Vita voglio dirvi, “dono grande e terribile del dio”, in ogni suo momento ed in ogni suo aspetto, dalla nascita all’odiata vecchiezza, nella gioia e nel dolore, nel bene e nel male, al di là del bene e del male; del curioso insaziabile fino all’estremo anelito, come il Vegliardo dell’incisione giuntalodiana evocata nelle ultime pagine del Libro segreto nella quale un antico Veglio si trascina a fatica col suo girello mentre un cartiglio sulla sua testa recita “Anchora apprendo”; di Colui che nel Notturno confida: “Nulla sfugge agli occhi senza posa attentissimi che la natura mi ha dato e tutto m’è alimento e aumento. Una tal sete di vivere è simile al desiderio di morire e di eternarsi” (parole da incidere, come programma che tutti gli altri annulli, sugli architravi e sugli stipiti delle porte di ogni scuola, dal giardino d’infanzia all’Università); di Colui che con il sindacalista Alceste de Ambris s’inventa nella Carta del Carnaro la più “bella” costituzione del mondo, che tenta in Fiume la costruzione di uno stato etico in quanto estetico, che nei “Fondamenti” (art.14) scrive:

 

“Tre sono le credenze religiose collocate sopra tutte le altre nelle università dei Comuni giurati:

“la vita è bella, e degna che severamente e magnificamente la viva l’uomo rifatto intiero dalla libertà:

l’uomo intiero è colui che sa ogni giorno inventare la sua propria virtù per ogni giorno offrire ai suoi fratelli un nuovo dono:

il lavoro, anche il più umile, anche il più oscuro, se sia ben eseguito, tende alla bellezza e orna il mondo.”;

 

che sesta corporazione dice quella comprendente

 

 “il fiore intellettuale del popolo: la gioventù studiosa e i suoi maestri: gli insegnanti delle scuole pubbliche e gli studenti degli istituti superiori: gli scultori, i pittori, i decoratori, gli architetti, i musici, tutti quelli che esercitano le arti belle, le arti sceniche, le arti decorative”;

 

che  prefigura ed auspica la decima (Energeia Euplete Euretria)  come quella non avente

 

arte né novero né vocabolo. La sua pienezza è quella che è attesa come la decima Musa. E’ riservata alle forze misteriose del popolo in travaglio e in ascendimento. E’ quasi una figura votiva consacrata al genio ignoto, all’apparizione dell’uomo novissimo, alle trasfigurazioni ideali delle opere e dei giorni, alla compiuta liberazione dello spirito sopra l’ànsito penoso e il sudore di sangue.

E’ rappresentata, nel santuario civico, da una lampada ardente che porta inscritta una antica parola toscana dell’epoca dei Comuni, stupenda allusione ad una forma spiritualizzata del lavoro umano:

“Fatica senza fatica”;

 

che nel paragrafo “Dell’Istruzione pubblica” scrive (art, 50):

 

“Per ogni gente di nobile origine la cultura è la più luminosa delle armi lunghe…La cultura è l’aroma contro le corruzioni. La cultura è la saldezza contro le deformazioni…Qui si forma l’uomo libero.

Qui si prepara il regno dello spirito, pur nello sforzo del lavoro e nell’acredine del traffico…

 

e all’art. 54:

 

“Alle chiare pareti delle scuole aerate non convengono emblemi di religione né figure di parte politica.

Le scuole pubbliche accolgono i seguaci di tutte le confessioni religiose, i credenti di tutte le fedi, e quelli che possono vivere senza altare e senza dio.

Perfettamente rispettata è la libertà di coscienza. E ciascuno può fare la sua preghiera tacita.

Ma ricorrono sulle pareti quelle iscrizioni sobrie che eccitano l’anima, come temi di una sinfonia eroica, ripetute non perdono mai il loro potere di rapimento.

Ma ricorrono sulle pareti le imagini grandiose di quei capolavori che con la massima potenza lirica interpretano la perpetua aspirazione e la perpetua implorazione degli uomini”;

 

di Colui che nel paragrafo “Della edilità (art. 63) rinnovella il collegio degli

 

Ufficiali dell’Ornato della città” che “impedisce il deturpamento…allestisce le feste civiche di terra e di mare con sobria eleganza…persuade ai lavoratori che l’ornare con qualche segno di arte popolaresca la più umile abitazione è un atto pio….si studia di ridare al popolo l’amore della linea bella e del bel colore…”;

 

di Colui che nel paragrafo “Della Musica”, con cui emblematicamente la Carta si conclude, stabilisce (art. 64):

 

“Nella Reggenza italiana del Carnaro la Musica è una istituzione religiosa e sociale.

Come il grido del gallo eccita l’alba, la Musica eccita l’aurora, quell’aurora…

Intanto negli strumenti del lavoro e del lucro e del gioco, nelle macchine fragorose

che anch’esse obbediscono al ritmo esatto come la poesia, la Musica trova i suoi movimenti e le sue pienezze.

Delle sue pause è formato il silenzio della decima Corporazione…;

 

e nell’art.65, l’ultimo:

 

Le grandi celebrazioni corali e orchestrali sono ‘totalmente gratuite’ come dai padri della Chiesa è detto della grazia di Dio”.

 

     Sfido chiunque a trovare in qualsiasi Costituzione esistente così elevati pensieri e proponimenti più puri, a tal punto sublimi ed impegnativi da essere spinti a pensarne impossibile la realizzazione; sfido chiunque a trovare un testo legislativo che attribuisca alla cultura, all’arte in generale ed alla musica in particolare un tale valore educativo e sociale. Come per il Baudelaire delle Fusées (“la musique creuse le ciel), per  il Verlaine de L’art poétique (“De la musique avant toute chose”), per il Marcel del Quatuor en fa dièse (“La musique dit vrai, la musique seule), per l’estensore della Carta la musica è qualcosa di più di un puro ébranlement nerveux, è ragione partecipativa, è strada diretta all’Essenza, scorciatoia per l’Assoluto, meglio e più della religione e dell’amore. Utopie? Forse, Ma esse son lì, testimonianza di una tensione etica ed estetica che non ha pari in alcun progetto istituzionale di nessuno Paese al mondo.

 

Sono nello scrittore e nell’uomo D’Annunzio (“categoria” in cui lo Spirito, per dirla hegelianamente, si è in maniera unica ed irripetibile spazialmente e temporalmente determinato, “avatar”, per dirla coi linguaggi più accessibili delle spiritualità iniziatiche orientali, in cui il divino si è reincarnato),  un tale bergsoniano élan vital, una tale faustiana tensione (Streben), una tale “romantica” nostalgia (Sehnsucht) d’assoluto che proporlo ad esempio educativo (positivamente “dis-esducativo”, nel mio linguaggio, in quanto de-gregante, affrancatore dal gregge prono) non è provocazione e blasfemia, è dovere. Vivere la vita sub specie Nuncii, mi consentirete questa arditezza, è ritenere il mondo caos, nonsenso, non-essere prima che l’umano-divino soffio dell’Arte (quell’Arte che “sforza il mondo a esistere”, così in Maia) lo vivifichi, prima che la parola dell’artista lo pronunci); è ritenere l’umano pensiero creatore di sé e del mondo, un’operazione, nella sua astrattezza, concreta, nella sua concretezza astratta (“Pensieri scintille dell’Atto/ faville del ferro percosso,/ beltà dell’incude…, ancora in Maia): ché vuoto un pensare che non si traduca in azione, cieca un’azione che dal pensiero non sia illuminata. “Ardire non ordire”, “memento audere semper”, “clausura fin che s’apra, silentium fin che parli”, sono solo tre dei mille motti che il vate a sé propone , e a chi legge la sua opera scritta o fatta pietra, ad incitare l’anima

( segue nel prossimo post)

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 
Commenta il Post:
* Tuo nome
Utente Libero? Effettua il Login
* Tua e-mail
La tua mail non verrà pubblicata
Tuo sito
Es. http://www.tuosito.it
 
* Testo
 
Sono consentiti i tag html: <a href="">, <b>, <i>, <p>, <br>
Il testo del messaggio non può superare i 30000 caratteri.
Ricorda che puoi inviare i commenti ai messaggi anche via SMS.
Invia al numero 3202023203 scrivendo prima del messaggio:
#numero_messaggio#nome_moblog

*campo obbligatorio

Copia qui:
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963