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Riflessione filosofico-poetico-musicale

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Messaggi del 12/04/2017

Dare in brocca. Novalis, Inni alla notte

Post n°939 pubblicato il 12 Aprile 2017 da giuliosforza

                                                                                                                                          Post 868

Dare in brocca, colpire il bersaglio al centro, come suona uno dei motti del Vate. Io vorrei dare in brocca al Destino, come Ludwig avrebbe voluto afferrarlo per la gola. Ma temo non mi sia dato, come a nessuno, nemmeno a Iddio, temo sia dato. E pensare che fui  negatore della Moira e celebratore del santissimo Caso!

*

Rileggo Novalis e Kafka, Heine e von Platen. La mia mente è capricciosa come questa primavera. Vaga di fiore in fiore, prima che vento pioggia e grandine li strappino ai rami e agli steli. Stamane il mio relitto d’auto, vecchio  come me, è tappezzato del  rosa dell’albero sotto cui sempre più a lungo ahimè riposa. Perché non anche io? Fulcite me floribus, coronate me rosis, quia amore langueo. Nostalgia della sposa del Cantico.

*

A proposito di nostalgia.

Gli Inni alla notte di Heinrich von Hardenberg, in arte Novalis (terra vergine  offerta alla seminagione), ‘fanciullo’ consumato dalla Sehnsucht (desiderio, brama, tensione, attesa, attesa di Casa, la casa  dell’assoluto che ha nome Dio, che ha nome Sophie) tornano a rischiarare e rasserenare le mie notti (i miei giorni). Li rigusto nella traduzione, testo originale a fronte, di Roberto Fertonani a cura di Virginia Cisolti (Biblioteca Mondadori 1982-84).

"Ora so quando sarà l'ultimo mattino - quando la luce non fugherà più la notte e l'amore - quando il sonno sarà eterno e Un  unico  inesauribile. Una celeste stanchezza sento in me.- Lungo e spossante fu per me il pellegrinaggio al sacro sepolcro, opprimente la croce. L’onda cristallina che, impercettibile ai sensi comuni, sgorga dall’oscuro grembo del tumulo, ai cui piedi si frange il flutto terrestre, chi l’ha gustata, chi stette in alto sulle montagne a discrimene del mondo, e ha guardato in giù nella nuova terra, nella sede della notte - in verità costui non tornerà più al tramestio del mondo, nella terra dove in perenne inquietudine la luce dimora" (ivi, IV, p.75).

Dopo un alternarsi irregolare di prosa poetica e di versi, gli Inni si concludono con un’ode, tale non posso non  dirla anche se dimesso ne è il  tono, alla Morte (Sehnsucht nach dem Tode, nostalgia, brama di morte) in strofe di sei versi,  ottonari tronchi  e settenari piani, i primi quattro in rima alternata, tronchi e a rima baciata gli ultimi due. Importante la metrica, quasi da ballata, in questa serena Danza della morte, cui la traduzione non  rende sempre giustizia.

Che cosa ritarda il nostro ritorno, / i più cari riposano già da lungo. / Ci sbarra la vita il loro sepolcro, / ci assale l’ansia e il cruccio. / Ogni nostro cercare è senza scopo (pessima traduzione del verso zu suchen haben wir nichts mehr, che significa semplicemente non abbiamo più nulla da cercare) - / il cuore è sazio – il mondo è vuoto. (vv.43-49)

Questa strofa conforta una riflessione che da sempre è la mia. Allorchè più cupo si fa il sentimento della morte come, per chi non creda nella sopravvivenza dell’anima individuale, il dissolversi della individuale coscienza (coscienza del proprio esserci nell’esserci di tutte le cose) nella impersonalità del Nulla-Tutto, il pensiero che tutti coloro che ho amato, che mi hanno generato e nutrito nel corpo e nella mente, quanti hanno alimentato in me l’ebbrezza della santa Terrestrità e quanti l’hanno con me condivisa, i filosofi i poeti i musicisti che ‘sforzarono’ per la mia gioia ‘il mondo a esistere’ e ispirarono il mio Inno alla Vita, lo sconforto si placa; e quando l’angoscia e il timore, pur superati a livello di concetto, tornano a premere a livello di sensibilità (…Ove più il sole / per me alla terra non fecondi questa / bella d’erbe famiglia e d’animali / e quando vaghe di lusinghe innanzi / a me non danzeran l’ore future /….. / né più nel cor mi parlerà lo spirto / della vergini Muse e dell’amore, / unico spirto a mia vita raminga, qual fia ristoro …) l’idea (l’illusione, la speranza?) di ritrovarmi, una volta ridissolto nell’insondabile Assoluto, in una diversa dimensione  con essi in una qualche comunione ontologica, se non basta a rasserenarmi del tutto, certo un poco lo vale. Gelobt sei dunque uns die ewige Nacht, / gelobt der ewge Schlummer. / Wohl hat der Tag uns warm gemacht / und welk der lange Kummer. / Die Lust der Fremde ging uns aus, / zum Vater wollen wir nach Haus. / Lodata sia tu, eterna notte, lodato sia l’eterno sonno. Se il giorno ci ha dato calore, ci ha avvizziti il lungo affanno. Non ci attirano più terre lontane, vogliamo tornare a casa dal Padre. (vv. 6-12)

Buona Pasqua di Morte e … Resurrezione!

   ­­­_______________________

 

Chàirete Dàimones!

Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

  

 

 

 
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