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Messaggi del 16/01/2018

Rossini. Donizetti. Harun Yarya

Post n°972 pubblicato il 16 Gennaio 2018 da giuliosforza

Post 892

Ero immerso in pensieri impegnativi  e seriosi (non aver  filosofi dell’educazione e pedagogisti come compito quello di distribuir modelli ma quello ben più difficile  d’individuare i segnali provenienti dall’ultimo bambino nascente al mondo, rappresentante la punta avanzata dell’evoluzione, dalla quale ognuno di noi  è in ritardo di tanto quanti sono i suoi anni, e attraverso cui sono da individuare i tratti dell’uomo futuro della metantropologia, diversamente detto del super – oltre - uomo; donde l’inversione dei ruoli e dei fini educativi tradizionali: non più il bambino guidato ma il bambino-guida) quando dalla televisione  perennemente accesa  su Rai 5 o su Cine Sony, mi sono arrivate le prime note del “Barbiere di Siviglia” ritrasmesso dal Regio di Torino in una bella edizione di qualche anno fa. E così ho smesso di pensare e sono corso al sdraiarmi sulla mia scomoda poltrona a dondolo di primo ottocento deciso a ”godermi” l’opera, solo solo piano piano zitto zitto, come all’incirca canta Figaro. Ho virgolettato ‘godermi’ perché per la verità Rossini, sia quello comico che quello serio, seriamente comico o comicamente serio, non è tra gli autori da me, beethoveniano-wagneriano mahleriano richardstraussiano incallito, più frequentati e goduti. Ma oggi ho cercato di sgombrare la mia mente dai pregiudizi, di liberarmi dagli “idòla specus” e accingermi ad offrire l’anima spoglia ai sortilegi e alle moine della Musa galante del Pesarese. Ed oh miracolo: tre ore filate, se non di estasi, di godimento della musica non solo, ma delle parole persino del libretto orrendo, della cui ridicolaggine pure m’è parso essere l’ironia rossiniana cosciente, e capace anche da essa di prendere lo spunto per indurre al riso canzonatorio. Figaro, Lindoro-Acquaviva, Don Bartolo, Rosina, Don Basilio li ho trovati tutti bravi ed esilaranti, spigliati quanto basta per dimostrare una finalmente acquisita capacità attoriale, che i burattini dell’opera tradizionale immobili sul palcoscenico, solo intenti, “hianti ore”, a combatter con gli scioglilingua e gli arzigogoli vocali della partitura, nemmen si sognavano. Qualche giorno prima gli stessi sentimenti avevo provato all’ascolto, sulla stessa rete, del Don Pasquale. Non ho dovuto attendere la adorata serenata di Ernesto del terzo atto (Come è gentil la notte a mezz’april, che mi fa stranamente pensare a Napoli) per godere della vena melodica del Bergamasco dal quale insieme a Bellini mi rifugio quando ho bisogno di riposarmi dagli affanni tragici. Una tradizione orale vuole che Donizetti, marito infedelissimo di una Teresa Vasselli di Riofreddo, abbia provato alcuni passi della Lucia appositamente trascritti per banda sulla piazza del mio paese, a Riofreddo prossimissimo, in occasione della festa patronale di Maria Santissima Illuminata (e quando ho pellegrinato alla sua tomba a Bergamo mi ha confermato  direttamente, peggio per voi se non ci credete, la veridicità della tradizione). Per questo anche lo amo.

 

Scusate se vi rovino i festeggiamenti. Ma in questa notte di varco io vedo Il Tempo assolvere lo stesso compito di Minosse :
"Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia: 
essamina le colpe ne l’intrata; 
giudica e manda secondo ch’avvinghia
". 
(Inferno, V, 3-6)
Mi auguro che Minòs sia benevolo

*

Mamma li Turchi! (Iniziato l’attacco capillare ideologico all’occidente?).

Tra le tonnellate di cartacce pubblicitarie che giornalmente stipano le nostre cassette delle poste, avviene di trovare ogni tanto qualcosa di interessante. A me per esempio è capitato ieri di imbattermi in questo opuscolo, graficamente esemplare, addirittura prezioso, stampato completamente a colori su carta patinata, e ricchissimo di illustrazioni dei più vari e rari fossili, completamente dedicato alla confutazione della teoria evoluzionistica. Turco ne è l’autore , Adnam Oktar, che scrive sotto lo pseudonimo di Harun Yania, nato ad  Ankara nel 1956; turca la stampa in italiano, turca la diffusione. E siccome par sia tradotto in tutte le lingue del mondo e mondiale ne sia la diffusione gratuita, ci si provi ad immaginare che anima di capitale, non solo di denaro ma anche di fede, deve essergli dietro. La mia curiosità è tanta e m’accingo a scorrerlo senza pregiudizi, non essendo particolarmente interessato alla questione (nella mia visione del mondo creazionismo o evoluzionismo ha poca rilevanza) e, pur avendo letto parecchi degli scritti antropologici Di Charles Darwin nell’edizione longanesiana curata da Giorgio Celli (Milano 1971, pp. 1205), non potendo dirmi un esperto nel campo. L’intento apologetico dell’opuscolo è apertamente dichiarato (e questo va a suo merito o demerito, secondo i punti di vista), ma proprio perciò son portato a star cauto nel dar credito alla validità delle argomentazioni scientifiche rivendicate. Ho sempre diffidato di una scienza, come di una filosofia, ancillae theologiae . Trascrivo la quarta di copertina:

“…Dal 1980 l’autore ha pubblicato numerosi libri su tematiche connesse alla fede, alla scienza e alla politica: E’ noto come autore di importanti opere che svelano gli inganni degli evoluzionisti, le loro effimere affermazioni e l’oscura connessione tra il darwinismo e le ideologie sanguinarie come il fascismo e il comunismo.

Tutte le opere dell’autore condividono un unico obiettivo: trasmettere il messaggio del Corano, incoraggiare i lettori a riflettere sulle questioni basilari legate alla fede quali l’esistenza di Dio, la sua Unicità e l’Aldilà, e dimostrare la fragilità delle fondamenta dei sistemi laici e delle ideologie distorte. Le sue oltre 300 opere, tradotte in 73 lingue diverse, si sono diffuse  presso un vasto pubblico di lettori in tutto il mondo.

Con la volontà di Dio, i libri di Harun Yahya saranno un mezzo attraverso il quale gli esseri umani del ventunesimo secolo arriveranno alla pace, alla giustizia e alla felicità promesse nel Corano…”. E ancora: “Il libro che hai tra le mani dimostra, attraverso prove scientifiche incontrovertibili, che il darwinismo è un inganno e che esistono i più di 700 milioni di fossili che smentiscono totalmente l’evoluzione, e dichiara al mondo intero che niente, nemmeno una singola proteina, può essersi originato per caso. Questo libro svela la mendacità e la sfacciataggine della dittatura darwinista che ha imposto al mondo intero la teoria dell’evoluzione, attraverso l’utilizzo di prove false, e contiene le prove scientifiche che confutano il darwinismo. La demagogia non gioverà più in alcun modo ai darwinisti”.

Questo sì è avere le idee chiare, questo sì è parlar chiaro! Che Tertulliano e tutti gli apologisti cristiani al confronto?  E ancora, a rincarare la dose:

“Il libro che hai tra le mani dimostra, attraverso prove scientifiche incontrovertibili, che il darwinismo è un inganno e che esistono più di 700 milioni di fossili che smentiscono totalmente l’evoluzione, e dichiara al mondo intero che niente, neppure una singola proteina, può essersi originata per caso. Questo libro svela la mendacità e la sfacciataggine della dittatura darwinista che ha imposto al mondo intero la teoria dell’evoluzione, attraverso l’utilizzo di prove false, e contiene le prove scientifiche che confutano il darwinismo. La demagogia non gioverà più in alcun modo ai darwinisti”.

Che aggiungere. Questo tono da iconoclasti suona così stonato a un orecchio di pensatore libero, capace di intendere ogni linguaggio tranne quello dei dogmatismi, che la tentazione di cestinare il libretto sarebbe grande. Ma alla tentazione resisto. Il tollerante è condannato ad esserlo anche con l’intollerante. E poi così tante e così belle sono le illustrazioni che per uno che non è un naturalista e non ha dimestichezza con le paleontologie e le antropologie (sue assidue frequentazioni sono semmai le metantropologie alle quali con ogni sforzo anela) che sarebbe davvero un peccato perdersele. Mettiamola così: in nome dell’arte sono disposto a passar sopra anche al più becero degli oscurantismi. Ove dell’oscurantista non do alle teorie antievoluzionistiche in sé: so che ne esistono di molte, e molto serie. Ma al tono, che è esso a far la canzone.

*

Son solito trascorrere da sempre la notte di San Silvestro in solitudine, un po’ per snobismo un po’ perché nostalgico delle irrecuperabili chiarità elleniche e dei loro thiasi, ricordando, meditando, ascoltando Palestrina Beeth e Wagner, scrivendo. E la cartelliera della mia biblioteca pseudorinascimentale trabocca di manoscritti, in parte rilegati in un grosso volume dal titolo Notti di San Silvestro,  ai quali, più che alle cosucce che ho pubblicato, è affidata post mortem la mia immortalità. Siano avvisati eredi e posteri : tutto vada perso, donato, venduto, bruciato, ma non le quasi diecimila pagine manoscritte di varia  diaristica che, con Notti di San Silvestro,  stipano gli scaffali della mia amata cartelliera. Ripeto, da quelle dipende la mia immortalità!!!

Questa volta  tra l’altro ho scritto:

Un giorno, credendo di fare a una donna assai bella e, presumevo, intelligente, di me venticinque anni più giovane, il più bel complimento, le dedicai il bellissimo verso di Michelangelo (il primo della stanza  del Canzoniere  scritta  per Vittoria Colonna): Un uomo in una donna, anzi uno dio che io trovavo e trovo semplicemente straordinario, lapidario come un colpo di scalpello  (il Capresano scriveva come scolpiva, e bene scrisse di lui il Berni contro i petrarchisti:  E’ dice cose, e voi dite parole).  Che fece la sciocca? Non dico che s’offese, ma di certo non lo gradì, trovandolo … maschilista. Erano i tempi dell’invasamento, e glielo perdonai. Non lo farei adesso che l’uomofobia mi par  vivaddio meno di moda, prestandosi più attenzione, per la verità una attenzione anch’essa  ossessiva, all’omofobia (senza dire che, date le tendenze sessuali michelangiolesche, nel verso è possibile cogliere più sottili allusioni). Avesse lei detto a me Una donna in un uomo anzi una dea! Ma me lo attesi inutilmente:  non era persona da tanto, pur essendo una persona fine. Che destino abbia avuto  non so; voglio immaginare, e sperare, sia una di quelle splendide sessantenni che sempre più spesso oggi si incontrano. E anche che, senza darmi la soddisfazione di dirmelo, sia una delle mie cinque lettrici; e che, levigata dalla vita, sia in grado di godersi, magari con quel tanto di ironico disincanto che a una sessantenne si addice, i versi che oggi, per dispetto, le ridedico per intero.

Un uomo in una donna, anzi uno dio
per la sua bocca parla,
ond’io per ascoltarla
son fatto tal, che ma’ più sarò mio.
I’ credo ben, po’ ch’io
a me da lei fu’ tolto,
fuor di me stesso aver di me pietate;
sì sopra ’l van desio
mi sprona il suo bel volto,
ch’i’ veggio morte in ogni altra beltate.
O donna che passate
per acqua e foco l’alme a’ lieti giorni,
deh, fate c’a me stesso più non torni.

*

Saluto l'anno, e gli amici, coi versi che chiudono la terza raccolta delle mie poesie neoclassiche Aqua nuntia Aquae juliae , e che potrebbero intitolarsi 'Amore e Morte'. Di essi la cosa più notevole mi pare, oltre al prestito schilleriano-beethoveniano, l'ultimo verso il quale, riferendosi alla Morte come all' Amata immortale'l, la chiama coi nomi con cui la denotarono le principali lingue antiche e moderne, così formando un perfetto endecasillabo che ha oltretutto il merito di non suonar affatto macabro. O no?

."Amare, amare, amare, non temere
di morire d’amore. Oh belle mort!
Non cedere all’inedia
della mente e del cuore, della quiete 
eterna inverecondo
simbolo. Seid umschlungen, 
Millionen! Dieser Kuss 
der ganzen Welt
! Migliore 
allenamento al mondo non si dà
al bacio ed all’abbraccio 
dell’Amata immortale, 
Thanatosmorstoddeathmortmuertemorte.
*

__________________

Chàirete Dàimones!

Laudati sieno gli dei, e magnificata da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima et absolutissima causa, principio et uno (Bruno Nolano)

 

 

 

 
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