Creato da ditz il 21/02/2005

scrittori

a fondo perduto

 

 

I poeti

Post n°256 pubblicato il 14 Maggio 2009 da ditz

Come si scappa a scroscio, a passo stretto e secco.

Come si scampa all'onda ripida, alla nenia mattutina.

Scende un lombrico sulle righe di ferro spaurite

segna il sentiero di bava, lo sente lo straniero

troppo forte. Indaga il pandemonio, la piazza

straborda d'omertà. Nessuno dilapida il tempo

in quest'affaccio a mare, dove pazienza regna

e l'attesa lenta rode la corda d'un orologio.

S'ammutolisce il giorno.

Non servono a niente i poeti: i porti li hanno dissepolti

le gru del mare nel rimorchio di qualche carretta.

I poeti servono a spaccare il capello in quattro alla parola.

A non altro. Non le riempiono le tasche, né hanno gloria.

La delfica deità di Dante li lascia dementi, gli arrancatori,

mentre se ne vanno sicuri con qualche formula magica

nel marsupio e saltano a piedi uniti

con le loro certezze e i loro firmamenti accesi.

I raccomandati arrancatori sociali sono l'antipoeta.

Eppure hanno assonanze, che fortuna. Le hanno gratis.

Un poeta le paga ogni giorno

dal suo solo salario , dal conto in banca,

dal bofonchìo d'una tosse,

dalla sorte rosea,

dal siero terso di maggio,

dal mugghiar come fa mar per tempesta.

Si resta senza poeti e si muore. Si resta senza dribblatori,

senza fioretti, si resta spenti stasera.

 

 

 
 
 

A Cesare Pavese confinato in Calabria

Post n°254 pubblicato il 09 Maggio 2009 da ditz

A te Pavese,

che hai pizzicato la corda in culo al mondo

e la corda in culo al mondo

ha risuonato cupa il verso nero

del mare lento.

Ti sei rotta in due la schiena, Pavese, a tradurre gli americani:

c' hai vinto il premio di un viaggio al confino.

Le Langhe che suono hanno, che suono fanno?

Le Langhe lo battono il tempo del mare nero, del male dentro?

Al confino, al confino. Coi libri dentro alla giacca

hai alzato gli occhi che ti erano rimasti tristi

nonostante il nome fiero. Non so se ti ricordi

di Tito tra i Cesari il più bello. Non so se ti ricordi

di Svetonio che scrive la vita di Tito. E Tito che fa?  Rivive,  sopravanza.

Ci resta la speranza d'un fiato di parole. Oltre la porta

c'è una stanza dove s'annida il nero. Lontano resta il bisbiglio

di uomini in dialetto e passi lenti. Li senti, Cesare Pavese?

C'hai acceso gli orizzonti coi tuoi racconti, e le parole in fila ai versi lunghi.

Eri a Brancaleone per un errore. Ti sei trafitto gli occhi con tutto quel nero davanti.

Tanto che manco lo guardavi, il mare.

Te ne sei andato dal barbaglio accecante delle Langhe,

dai bianchi soffocanti delle nebbie per aver parlato con Ginzburg, con Spinelli.

Il confine è qui: pullula di mare. Di notte si sveste e cresce

con l'amore della luna. Senza falò, per pudore. Così nessuno li vede.

Te ne sei andato, Cesare Pavese, insieme a quelli come te: il nero

s'impiglia sempre dentro a un non so che, Pavese.

 Il millenovecentotrentacinque, Cesare, è stato lungo

e lento, a Brancaleone. A partire dall'estate e forse non è più finito.

Hai letto, quell'anno? hai scritto, Pavese? quanto t'è durato? i calabresi

c'hanno provato ad allietartelo. Ma niente. Il tedio prende sempre il sopravvento,

Cesare.

Lo spleen t'ha arrovellato. Ha bruciato fino al condono. E te ne sei tornato

alla tua terra. Un tuo amico, Davide Lajolo,  t'ha ricordato nel Vizio assurdo.

C'hai portato a spasso con Dos Passos, Pavese. Niente pettegolezzi, come c'hai

lasciato scritto sull'ultimo pezzetto di carta. Quella notte d'agosto del

millenovecentocinquanta. Una bustina di sonnifero di troppo, per terra.

 
 
 

lupi di mare (tra i boschi)

Post n°253 pubblicato il 09 Maggio 2009 da ditz

 
 
 

ecce est

Post n°252 pubblicato il 06 Maggio 2009 da ditz

 
 
 

il coperchio di piombo

Post n°251 pubblicato il 04 Maggio 2009 da ditz

 
 
 

Al poeta Corrado Calabrò

Post n°250 pubblicato il 23 Aprile 2009 da ditz

 

A Corrado Calabrò

 

T'ho visto, Corrado, con uno dei tre fiammiferi

di Prévert in mano. Poi con Valéry che lascia agli dei

l'onere del primo verso. Se fuggo dalle tue parole è solo

per rispetto verso quell'interruttore che è la poesia: la

chiami commutatore: fa cadere la cataratta della quotidianità.

Non m'è piaciuto il tango sacro dei fronzoli

di noi tutti in coda verso l'ostia d'una tua parola.

Sempre così succede. Che in un momento si crea una fila indiana

lunga lunga di mani strette strette e di sorrisi.

Ce ne siamo andati, Corrado, zitti zitti,

con le parole smozzicate dentro una mano ruvida.

Oggi t'ho visto in quel tuo reading strano

tra gente sempre pronta a riverire.

Mi sarebbe piaciuto dirti piano quanto

c'hai fatto piangere col tuo "angelo scanzonato".

La pelle come carta impecorita

pungeva davanti a quelllo  "scollinare dell'oceano"

o  al "verde opaco d'uno sguardo

stretto di bolina". Se è vero come dici

che il mare va preso come viene

cerco la mano incosciente del tuo dio

che mi metta di prua e faccia al vento

- che non sembri un castigo -

come uno che rimane in sordina per gran tempo

e poi spunta e poi s'affaccia e grida forte

il suo das di parole

dalle "tue finestre di silenzio".

Acqua mielata di tramonto

c'è passata sopra

come spruzzo che sfuma all'infinito.

Non è per gioco

che riscrivo la tua poesia.

Ce l'hai raccomandato prima:

ho obbedito come un bambino

che usa il suo pennino di inchiostro simpatico

per un contatto in più, per l'illusione di creare il mondo.

Una volta tanto ho visto dietro quella tavolata di signori

uno al suo posto senza parole di comizio.

Uno al suo posto, vestito normale,

senza distinzione dal branco dei dottori

dietro al palchetto dei microfoni,

con l'acqua minerale come totem.

Poi t'hanno dato la parola

e ho rivisto in un momento quella veronica di Zidane

quand'è volato a centrocampo

lasciando fermi tutti con la zavorra del loro lignaggio.

Grazie Corrado, perchè mi fai capire meglio

quanto ci sia utile e dolce

questo nostro movimento doloroso

questa nostra rincorsa verso una vetta

questo ricadere giù. Grazie Corrado,

perché rimani limpido fra gli altri. Fra quelli che ho studiato.

Fra Montale e Ungaretti, non mi spavento

di vedervi stretti nell'abbraccio autentico

d'un lento spasimo. E' l'intelligenza che si fa.

Non la disfiamo in code sacre e in strette di mano.

 

 
 
 

Vedere doppio

Post n°249 pubblicato il 07 Aprile 2009 da ditz

Tu se poltrisci mezzora con la schiena rotta, su un divano più piccolo del trepposti classico, tu se ti fermi dietro il tuo film lontano, dietro il ricordo di un nome che sbuca piano piano dalla memoria (grazie al gioco dell'alfabeto), tu se mi aspetti lo stesso anche quando faccio tardi, tu se stai ferma e presente come un macigno, tu se la polveriera spara a cannonate e apri le mani e dici che era a salve. Tu quando la mattina prima dell'alba è già troppo tardi ed esci allo scoperto per aiutarmi col caffè, tu le volte che abbiamo rovinato tutto per un silenzio di troppo. Tu che ridi quando esagero con le mie seghe mentali o quando mi coglie uno dei miei tanti infarti giornalieri. Tu che non sai stare dal lato sbagliato. Tu appena mi rimproveri e io cado dalle nuvole. Tu che non sai abbracciare caldo, ma stringi con la forza ossuta della tua magrezza. Tu che sei contenta di Morgan per il motivo che sappiamo e poi vai a leggere d'un fiato Steinbeck. Lo leggi, se era lui, come quando ti metti in testa di pulire e allora mi scosto dall'uragano, dentro una pagina di giornale che leggo a metà. Anzi, ora ce la faccio pure a leggerla tutta: da quando hanno diminuito le righe e ingrandito i caratteri. Tu che hai risolto qualche macigno come una inezia mentre io incespico sui miei umori neri e mi riprendo in tempo per la partita delle ottoemmezza.

Mi piacciono le case tappezzate di cielo blu. Mi piacciono le case senza terremoti. Le finestre grandi. Le partite a calcetto con quelli ormai andati d'età. Quelli che tirano sbilenco se mettono un po' d'effetto. Mi piace il morbido del divano, la sera senza correggere. Ma correggere che? Mi piacciono i teatri durante le prove. C'è l'attore che scandisce bene. Si sente il solista della situazione. Pare che dalla voce gli esca qualche tiro angolato senza respinta della barriera di manichini. In partita è tutta un'altra cosa.

 

 

 
 
 

Blog stop

Post n°248 pubblicato il 15 Febbraio 2009 da ditz

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Paint

Post n°247 pubblicato il 25 Gennaio 2009 da ditz

 
 
 

Non ora, non qui

Post n°246 pubblicato il 24 Gennaio 2009 da ditz

Si conclude questo viaggio al termine della notte  dopo la traversata a bordo di una barca nel bosco per coltivare l'ambizione di sporcare lo spazio bianco fin dentro la zona cieca, tra balene e sogni, alla velocità del gattopardo, alla ricerca del tempo perduto, inseguendo la chimera, con un biglietto di sola andata, per una vita, urlando che questo non è un paese per vecchi prof, senza cognizione del dolore, sapendo che qualcuno prima o poi avrebbe detto ti prendo e ti porto via, con o senza la solitudine dei numeri primi, ehi prof! non ora, non qui.

 
 
 

Il divin monello

Post n°245 pubblicato il 19 Gennaio 2009 da ditz

Arthur.


Quanti altri al mondo come lui? Quanti come lui hanno sognato di farcela? E poi sono ingrigiti nella mediocrità? Quanti istintivi, quanti precoci, quante intelligenze, quanti spiriti sensibili, sognatori, quanti di costoro? Quanti insofferenti alle regole, quanti innocenti, quanti scapestrati, quanti audaci, quanti timidi e silenti geni, quanti?


Arthur.


Quanti imprevedibili in mezzo a tutta quella monnezza di prevedibilità? Quanti moderni in mezzo a un vecchiume di scontate certezze? Quanti anni al liceo? Quanti libri, quanti!


I veggenti, quelli col futuro appiccicato già in testa, a menadito, a memoria. I veggenti.


Arthur che hai inventato il colore delle vocali.


A nera


E bianca


I rossa


O blu


U verde


Hai lasciato la giovinezza per essere adulto. Non più veggente, ora ottuso. Dal colore delle vocali ai formaggi decantati. Ti sei perso prima del tempo, Arthur.


Il divin monello, il cattivo matto giovane Poeta, il Poeta diciassettenne.


Quanti sognano di essere veggenti nel nugolo di veli, nel tedio degli addormentati, negli ospizi per sani, nei documentari sui presidenti eletti, nei corridoi che collegano stanze di incontri semisegreti prima di andare a parlare ufficilamente nei Parlamenti.


Quanti sognano di alzare il canto delle vocali, Arthur?


Arthur senza Dio. Arthur ateo. Arthur che se la fa con l'altro poeta e poi se ne vergogna. Arthur che non scende a patti con la Parola.


Al fondo, in punto di morte, si converte. Il divino monello si fa credente modello. Ce lo racconta meglio l'Amore lontano di Sebastiano Vassalli.


Ci racconta di  Arthur, poeta divino, senza retorichicchia.


 


 


 

 
 
 

La polemica non l'è mica l'opa

Post n°244 pubblicato il 15 Gennaio 2009 da ditz

L'anagramma di adultero è "il duo a tre".

Quello di bibliotecario "beato coi libri".

L'anagramma di Marco Antonio è "antico romano".

Adatto all'ipàllage "altae moenia Romae", le mura dell'alta Roma per le alte mura di Roma.

"I topi non avevano nipoti" è un palindromo. Come 2002.

"Cerbero, il gran vermo" e "Pluto, il gran nemico" lo sono per antonomasia.

 
 
 

Canzone rap per rapimenti progressivi

Post n°243 pubblicato il 13 Gennaio 2009 da ditz

La pioggia di oggi chi l'asciuga sui tralicci per le strade senza portici oltre San Luca chi chi? Chi la decifra la mafia se spappola il ventre del cielo a colpi di lupara chi chi? Chi c'era sopra le case dei ferrovieri quando il secondo dopoguerra gli spalancava sorrisi nei primi cinematografi chi chi? Chi è che è rimasto con Nutless chi chi? Chi scova la custodia della concordia. Chi? Chi è quell'amico che passa distratto dentro allo scafandro?

Che è quel vortice di parole belle, quelle di Ermione, se poi si perde il mondo nell'orlo del barattolo sottovuoto. Appesi i pianeti se ne restano alle stringhe degli scienziati. Appesi come scarponi con le punte arrotondate dal girogirotondo. Appesi girano come la balle. Girini danzano la loro danza anfibia. Molluschi grattano. Insetti s'affaticano coi loro tormenti nei paesi dei torrenti secchi. Insetti senza gru telecomandate. Una pizzapane fumante annebbia il monitor. Le idee già non hanno nitore. Un televisore ultrapiatto raglia la nostra nostalgia per i transistor e il bianchennero tiranno non è un chiodo fisso contro il progresso. Più tardi torneranno i decadenti coi loro albatri poetici. Adesso l'ultimo suv scodinzola per aria il suo co2, la bua del mondo dura un secondo nell'eterno giro. Il gettone s'è incastrato nella fessura. Un bimbo allunga la mano dal finestrino. Saluta il suo futuro mentre un vecchio si volta e spegne la tivvù e se l'inghiotte  il buco nero di ogni sera.

 
 
 

Il mare verticale

Post n°242 pubblicato il 08 Gennaio 2009 da ditz

"Non sapevamo dell'esistenza dell'America, e ci eravamo già andati attraverso lo stretto di Bering prosciugato dal succhiare dei ghiacci. Costantemente in fuga, dai climi torridi prima, dal premere degli animali nelle foreste tropicali, dagli altri uomini che scappavano a loro volta dai ghiacci e poi dai caldi brucianti degli interglaciali. Ed è ancora per fuggire che ho imparato a volare, a strisciare vertiginosamente sulle ruote lasciando ogni gorno migliaia di morti".

Quella volta che l'ho letto, questo pazzesco fulminante straordinario romanzo di Giorgio Saviane, ero poco più che un ragazzetto. Leggevo quotidiani, specie sportivi, mi piacevano i pezzi di Vladimiro Caminiti su Tuttoport. Leggevo a stento perché la scuola aveva contribuito a polverizzare la voglia. Ma la curiosità riemerge e investe questo libro. Il mare verticale è un libro che quando sei poco più che ragazzetto non ci fai tanto caso.

Ammantare lo studio e la disciplina e l'erudizione e l'impegno di una cosa sola: poesia.

Il mare verticale è il mare visto con gli occhi del primitivo. Una distesa confusa verso il cielo, un muro celeste che scuote il torpore inerte del primitivo. Un delta a sfociare dubbi sulle sicumere. La paura dell'ignoto ci rende stranieri anche nella privatezza dei nostri possessi. Norma e ribellione norma e ribellione norma e ribellione. Così si fa la storia. Così si muore.

"Da lontano il fuoco mandava una carezza tiepida, somigliava al sole che si tuffa nel deserto. Quante volte avevamo rincorso il tramonto, fino a fiaccarci. Spariva lasciandoci sbigottiti nel buio".

Sbigottiti si rimane a leggere Il mare verticale di Giorgio Saviane. Sbigottiti. Come i primitivi davanti a quel muro, davanti a quel mare.

 
 
 

Telecomio

Post n°241 pubblicato il 15 Dicembre 2008 da ditz

Se prima avevi Internet

e ora non ce l'hai

prova col 187

e avrai soltanto guai.

Una miriade di chiamate

una sequela di insulti

una raffica di provvederemo

ecco l'ode del veleno.

Chiama pure dal cellulare

ti risponde l'operatrice

non c'è testimone oculare

davanti alla nutrice di risposte

a perdifiato, tutte uguali.

Al telecomio infernale

sanno sempre come fare:

un'occhiata al terminale

stermina la pazienza.

L'addiesselle prima o poi arriverà?

Chi lo sa.

Siamo figli di una divina volontà.

 
 
 

Se a Torino il liceo ci crolla in testa

Post n°240 pubblicato il 22 Novembre 2008 da ditz

Se a Torino il liceo ci crolla in testa

non c'è pace

nel cielo di calce.

Un agguato è il fato stasera

se lo svarione umano

è un aggroviglio lento

delle budella contro il mattino tetro.

In sordina si resta.

C'è un'aula rotta e le penne

e quei banchi a gambe per aria

e quelle sedie tra i calcinacci

prese a calci da chi ha potuto

nel dribbling disperato

nel fuggi fuggi

della calca verso la vita.

Uno non ha potuto:

rimane un celeste terso

d'una foto cristallina

nel putiferio grigio d'un giornale,

nel nero periferico d'una notizia,

d'una sconfitta.

 
 
 

Burningstone story

Post n°239 pubblicato il 20 Novembre 2008 da ditz

L'altro giorno gli sono passato accanto. Per un attimo la tentazione di parlargli è stata forte. Burningstone, te lo dico o no? Il lato pusillanime trionfa sempre nelle inezie della vita. Le azioni cedono all'asilo politico dell'anima. Il tonfo che si sente è un no comment. L'arringa finale parla parole lunghe di silenzi. Spenti.

Così ho preso il culo e me ne sono andato. L'ho lasciato che entrava in un negozio, miaster Burningstone. Aveva tutta l'aria di uno che ha intenzione di buttarci un bel po' di soldi lì dentro. E invece era per un incontro. E anche stavolta me lo sono perso, scommetto.

 
 
 

L'incontro

Post n°238 pubblicato il 11 Novembre 2008 da ditz

Si attarda nei passi lenti e malinconici, mister Burningstone. Gli passano alla rinfusa mille ricordi. Lo vedo rincorrere un piccione, poi fermarsi di colpo, poi ripartire soprappensiero. Lo vedo un attimo prima del tram acceso di gente e giallo. Poi svanisce in uno dei suoi bluff.

Quando mi riappare lo vedo che volteggia, lo vedo piroettare per acchiappare quel filo penzolante dietro al cappotto. Come un cane che rincorre la sua coda. Poi ritorna normale e lento nell'andatura verso l'incontro. C'è un mondo rigido e tumefatto, c'è un incurvarsi morto del nostro Burningstone mentre si piega addosso al suo davanti per sistemarsi un bottone che tiene e non tiene.

M'hanno assicurato che sarà memorabile l'incontro di Burningstone. E lo vedo da vicino, ormai. Da un po' di tempo gli passeggio in faccia. Mi verrebbe di dirglielo. Vorrei ratificare l'inganno. Poi rimando. Il taglio del vestito da vicino mi sembra sartoriale. La cravatta allentata sulla deglutizione è un assist all'ennesima botta d'emozione.

Il volto me lo immagino da giovane lineare e bello. Mentre attraversa la strada gli cade l'ombrello tra le gambe. Si ferma per raccoglierlo: nell'inclinazione fino a terra rischia di non risalire. A rilento riprende credibilità. La goffaggine si affievolisce mentre i rumori del traffico dileguano verso le case.

La sera getta la maschera. Si presenta nella litania di una brezza fredda. In un film di media qualità l'attore lascerebbe al gesto d'istinto la copertura del bavero. Burningstone fa come per scaccolarsi. Ma è solo l'annaspare delle dita contro la paura d'un ricordo. Poi si ferma.

 
 
 

Burningstone

Post n°237 pubblicato il 02 Novembre 2008 da ditz

Alla fine Carmelo Burningstone era uscito dall'auto che lo aveva intrappolato. Ed era uscito  assieme a macerie di pensieri. Se solo avesse saputo che c'eravamo organizzati perché non ci sfuggisse se non per brevi tragitti. La sua routine era la nostra. Solo che noi la vivevamo a tratti, lui per forza di cose non poteva abbandonarla. Magari c'aveva pensato un sacco di volte. Ma noi, a parte il fatto di osservare e poi di trascrivere la sua vita, mica ci mettevamo a fare gli inseguitori dei pensieri di Carmelo Burningstone?

Così era deciso.

Ora si dirigeva al centro. Poi sarebbe andato in un bar a sorseggiare un caffè. Poi ancora... Ma ecco che tocca a me. Lo vedo. Ecco che s'incammina. Rompe la routine, prende una strada insolita. A quest'ora? Ma dove diavolo...

Al cellulare l'invadenza non intercettava un bel niente. Io ero troppo lontano per ascoltare. Cercavo di interpretarne gli umori dalle espressioni e dai gesti, dai movimenti del corpo, dal lento incedere o dal ticchettio rapido e secco. Burningstone, tutto questo a te. Chi poteva dirlo, caro Carmelo Burningstone?

Il mio continuo battito sulla tastiera mentre ti vedo, mi raggomitolo e ti viviseziono come un fenomeno da baraccone. C'è stato chi ha pensato che volessi fare di te una leccornia per i miei successi. Burningstone!

E invece no. Un motivo c'è se abbiamo deciso di aggiustare le nostre sette vite su di te. Un cappotto si muove per strada e nasconde buoni ottanta chili di chissà quale vita. Ma non cediamo mai alla tentazione della psicolofilia. Un lusso che non ci interessa.

 
 
 

Generazione S. La scuola raccontata a mio padre

Post n°236 pubblicato il 30 Ottobre 2008 da ditz

Carò papà,

questo è il mio spazio. Oggi almeno lo sento tutto mio. Lo spazio libero, aperto, la pioggia in faccia, i tamburi, quella lì che balla come fosse tarantolata. Non si entra a scuola. Non si può entrare a scuola. Non ha senso. C'è il mondo qui fuori. Il mondo di fuori è meglio del mondo di dentro, oggi. Un mondo tutto colorato contro le aule incrostate di sapere stantìo. Mi sono scocciato del mondo di dentro. Se il mondo di dentro mi annulla allora me lo cerco fuori il mio spazio.

Sono uscito di casa  con le cuffie che sembravo tutto concentrato come i calciatori che escono dai pullman prima di una partita. Che poi più è importante la partita, più quelli hanno cuffie enormi. Io no. Ero con le cuffiette da treno. Sembravo assorto dentro ai miei pensieri sfumati, alle mie sensazioni, alle lampadine che si accendono per un istante. E invece stavo attento. A tutto. Non mi ero autoradiato dal mondo. Il mondo era all'unisono con me.

Quando mai mi succede. Di solito mi dileguo per non soccombere agli altri. I decibel mi disorientano e me ne fuggo contento verso quintali di solitudine. E poi riappaio. Quando non ne posso proprio più. Oggi invece era una di quelle volte che tutto mi appariva più sintonizzato. L'Onda mi sembrava dalla mia parte. Mi sono fatto cullare dall'Onda. Me la sono proprio gustata.

Ma quale politica! Papà, mi ci vedi a zompettare con qualche bandiera logora e ammuffita?  Per andare dove? e con chi? io il giardino me lo innaffio da solo. Io ballo da solo. Ho la forza dell'età, dalla mia.

E voglio la scuola come dico io. Non come vuole la ministra. Sennò che venga lei a scuola. Rimanga in classe lei. Se proprio insiste.

 
 
 

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È RIDICOLO CREDERE

È ridicolo credere
che gli uomini di domani
possano essere uomini,
ridicolo pensare
che la scimmia sperasse
di camminare un giorno
su due zampe

é ridicolo
ipotecare il tempo
e lo è altrettanto
immaginare un tempo
suddiviso in piú tempi

e piú che mai
supporre che qualcosa
esista
fuori dall'esistibile,
il solo che si guarda
dall'esistere.



(Eugenio Montale, Satura; Satura II)

 
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TAMARA

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PARANOID ANDROID - RADIOHEAD

Please could you stop the noise
I'm trying to get some rest?
From all the unborn chicken voices in my head
What's that, what's that

When I am king you will be first against the wall
With your opinion which is of no consequence at all
What's that, what's that

Ambition makes you look pretty ugly
Kicking squealing gucci little piggy

You don't remember, you don't remember,
why don't you remember my name
Off with his head man, off with his head man
Why don't you remember my name?
I guess he does

Rain down, rain down, come on rain down on me
From a great height, from a great height, height
Rain down, rain down, come on rain down on me
From a great height, from a great height, height

That's it sir, you're leaving,
the crackle of pig skin,
the dust and the screaming
The yuppies networking
the panic, the vomit,
the panic, the vomit
God loves his children,
God loves his children, yeah

 
 

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