Ultimo messaggio!!!

Post n°79 pubblicato il 27 Aprile 2007 da DreaminGorilla

Questo blog non ha più senso di esistere. me ne ero completamente scordato. Per chiunque volesse (anche se credo non ci sia nessuno che abbia mai letto sta roba) mi trovate su www.myspace.com/dreamingorillarecords . Enjoy the Gorilla!!!

Ciao ciao!! Il blog chiude definitivamente!!

Cerisola Francesco.

 
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Nuovo mese, nuova recensione: Jollyroger

Post n°78 pubblicato il 02 Novembre 2006 da DreaminGorilla
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Aghaghah!! Eh già, ho fatto un'altra recensione ancora. E' giunto il momento dei Jollyroger. Andate a leggere su www.debaser.it!!

Ciao ciao!! Dreamingorilla!!

 
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Recensione Eazy Skankers!!

Post n°77 pubblicato il 21 Ottobre 2006 da DreaminGorilla
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Che figata, l'ho appena inviata ed è già stata pubblicata!! Parlo della recensione sul nuovo cd degli Eazy Skankers. Andatevela a leggere su www.debaser.it.

Ciao ciao, Dreamingorilla!!

 
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Lezione Musicale Post Rock #8: Post Rock Italiano, Meganoidi e Settlefish

Post n°76 pubblicato il 20 Ottobre 2006 da DreaminGorilla
 
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Ebbene si, finalmente siamo arrivati alla conclusione delle lezioni post rock, questa è definitivamente l'ultima. E come ultimo argomento ho deciso di parlare del Post Rock in Italia. Già, perchè anche in Italia esiste il Post Rock, e lo portano avanti i gruppi più inaspettati (vedi i Meganoidi).

Bè, non ho altro da dire, se non che sono orgoglioso che anche da noi stia nascendo una tradizione Post Rock, che si rifà si alle sonorità d'oltreoceano, ma che sà anche metterci farina del proprio sacco. Non ho altro da dire, vi lascio alle recensioni dei due album che vi consiglio, And Then We Met Impero per i meganoidi e The Plural Of The Choir per i Settlefish. Buona lettura, e spero anche buon ascolto.

And Then We Met Impero-Meganoidi

I Meganoidi non hanno mai nascosto la loro voglia di rinnovarsi e mettersi in discussione. Se con il precedente "Outside The Loop Stupendo Sensation" l’operazione era stata tentata e riuscita solo in parte, questo nuovo ep, fuori per la loro Green Fog Records, è più o meno ciò che ci si poteva e doveva aspettare da musicisti attenti come loro. Dico "più o meno" perché qui c’è di che sorprendere anche chi ipotizzava giustamente un ultreriore passo in direzione rock della band. I cinque pezzi che compongono "And Then We Met Impero" viaggiano ancora più in là, dalle parti del post-hardcore e del post-rock. L’opener And (i titoli dei cinque pezzi compongono il titolo del disco. Irritante, ma rende bene l’idea di compattezza del lavoro) è già uno spiazzante ed evocativo strumentale che altrerna parti movimentate ad altre più malinconiche. E tutto l’album è decisamente denso di atmosfere cupe e claustrofobiche, descritte da brani dalla struttura libera che pescano sì dal post-rock, da certo noise, dalla cerebralità minacciosa di Shellac e da atmosfere pinkfloydiane, ma in verità ci mettono anche parecchio del loro, risultando, seppur alla prima tappa di questo percorso insolito e sperimentale (che contiamo sviluppino anche con il prossimo lp) riconoscibili e personali, forse grazie ai fiati, sempre presenti e ben inseriti, anche se probabilmente ad un primo approccio possono risultare estranei, così come la voce, non di rado recitata, insolita per questo genere ma personale, ben bilanciata tra inglese e italiano, come nel crescendo della splendida We e nella lunga, conclusiva Impero. Viene meno l’impatto fisico a favore di un approccio più cerebrale, subentra una lavorazione decisamente stratificata a far dimenticare i ritornelli appiccicosi di qualche anno fa.
Rimane da vedere come i Meganoidi affronteranno dal vivo questa crescita, ma "And Then We Met Impero" rimane un lavoro curatissimo e degno di attenzione, che probabilmente farà discutere e allontanare molti fan dello ska e i nostalgici di Supereroi, ma certamente ne attirerà di nuovi, che magari dalla musica vogliono qualcosa di più di una pogata e un motivetto allegro da canticchiare.

The Plural Of The Choir-Settlefish

Se The Plural Of The Choir non è tra le migliori uscite del 2005, è solo perché quest’anno deve volgere ancora al termine.
Perché, e giochiamo un po’ ai veggenti dei poveri nell’affermarlo, ci scommettiamo la reputazione che difficilmente in ambito emo possa uscire un disco così bello fino alla fine dell’anno – e forse anche oltre.
I Settlefish, italiani con un piede a Washigton in casa Dischord, alla seconda prova discografica realizzano un ibrido tra post rock ed un emocore che nulla ha da invidiare ai defunti (e quanto compianti!) At The Drive In. Già, incredibile a dirsi, ma dopo che nel 2001 l'autostrada aperta dal gruppo di El Paso stava ormai diventando una provinciale polverosa, qualcuno l’ha calcata, con una forza travolgente, andando addirittura anche oltre a tutto quello proposto.
A conti fatti poi, visto che il disco in fondo non è più classificabile come emo, e post emo sembra più una marca di collanti per dentiere, bisognerebbe definire il lavoro per singoli momenti: e allora via, partendo dalle ritmiche d’impianto fugaziano di The Second Week Of Summer alla ricerca delle spigolosità math delle chitarre di It Wat Bliss, dell’aggressività sbilenca a marchio At The Drive In di The Barnacle Beach e Blinded By Noise (che potrebbe benissimo essere una traccia di Relationship Of Command), degli esperimenti sonori post rock a cura Tortoise di To The North e dell’impianto dissonante indie tra Built To Spill e Pavement di The Marriage Funeral Man, con quella voce che sembra tanto un Malkmus d’altri tempi.. Insomma, inutile dilungarsi, anche perché potremmo tirare ancora in ballo il produttore Brian Deck, Carlo Masu e Ferruccio Quercetti dei Cut, e Jukka Riverberi dei Giardini Di Mirò che collaborano al disco (e quanto si sente!).. ascoltando The Plural Of The Choir avrete una creatura mostruosa che monopolizzerà il vostro stereo per mesi. Disco stupendo, brillante e maturo. Il miracolo della musica made in Italy.

Le recensioni non son fatte da me, mi spiace...

Ciao ciao, DreaminGorilla!!

 
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Mirror Kissers-The Cribs

Post n°75 pubblicato il 17 Ottobre 2006 da DreaminGorilla
 
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Piccolo post per un gran bel video, vedere per credere (cercatelo su www.youtube.com). Mirror Kissers, dei The Cribs, oltre a un bel video una bella canzone.

Ciao ciao, Dreamingorilla!!

 
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Super Cover dei Jolly Roger

Post n°74 pubblicato il 15 Ottobre 2006 da DreaminGorilla
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Eh si, eh si, vi segnalo questa gran canzone rifatta in modo magistrale dai Jolly Roger. Se pensate che sia la solita cover banale e di basso livello vi sbagliate. Andate ad ascoltarla per credere(http://www.jollyrogersite.it/data/main.htm).

Ho deciso, vi scrivo anche il testo, perchè merita veramente, e perchè mi ci far andar sotto, in questo momento, in cui l'unica cosa che dovrei fare sarebbe non andarci sotto...

Via Del Campo

Via del campo c'è una graziosa,
occhi grandi, color di foglia
tutta la notte stà sulla soglia
vende a tutti la stessa rosa

Via del campo c'è una bambina
con le labbra color rugiada,
gli occhi grigi come la strada
nascon fiori dove cammina

Via del campo c'è una puttana
gli occhi grandi, color di foglia
se di amarla ti vien la voglia
basta prenderla per la mano

E ti sembra di andar lontano
lei ti guarda e con un sorriso
non credevi che il paradiso
fosse solo lì al primo piano

Via del campo ci và un'illuso
a pregarla di maritare
a vederla salir le scale
fino a quando il balcone è chiuso

Amar ridi se amor risponde
piangi forte se non ti sente
dai diamanti non nasce niente
dal letame nascono i fior

Dai diamanti non nasce niente
dal letame nascono i fior

Stupenda, senza ombra di dubbio.

Ora vi lascio, vado a dormire, domani è un'altro giorno, speriamo migliore di oggi.

Ciao ciao, DreaminGorilla!!

 
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Recensione The Horizon

Post n°73 pubblicato il 12 Ottobre 2006 da DreaminGorilla
 
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Un breve post per avvisare chiunque passasse di qui che ho recensito il secondo demo degli Horizon, "Situation Normal, All Fouled Up". Andate a cercarla su http://www.debaser.it e se volete lasciate un commento.

Presto farò altre recensioni su altri gruppi miei amici, oltre alle lezioni musicali e altro ancora. Ci vediamo a presto!!

Ciao ciao, DreaminGorilla!! 

 
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Lezione Musicale Post Rock #7: Dredg

Post n°72 pubblicato il 06 Ottobre 2006 da DreaminGorilla
 
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Dopo un'infinita assenza ritorno, e più deciso di prima. Lo si nota già dal fatto che decido finalmente di pubblicare la settima lezione Post Rock, quella su cui ho sempre avuto più incertezze. E diffatti di incertezze stavolta ce n'è davvero da avere, visto che i Dredg, non sono propriamente Post Rock...

I Dredg, infatti sono un gruppo suis generis, al di fuori di tutto, e per questo risultano essere così importanti. A mio parere sono, o per lo meno sono statiper un certo periodo di tempo, l'anello di congiunzione fra il Post Rock e il Metal (e per metal intendo Tool e affini). 

L'album che mi ha fatto capire tale congiunzione si intitola Leitmotif, ed è uscito nel '99, ma poi è stato ripubblicato successivamente dalla Interscope. e' un disco breve (40 minuti scarsi), ma molto importante. Le canzoni sono in tutto 10, ma spesso sono l'una il proseguimento dell'altra, tant'è che ben la metà sono chiamati Movement, ovvero son da intendere come intermezzi. Si inizia con Symbol Song, completata dal 1° Movement e che insieme a Lechium conclude la prima parte di album. Seguono il 2° Movement e Traversing Through The Arctic Cold We Search For The Spirit Of Yuta, il dittico probabilmente più bello dell'intero album, con quelle calme chitarre e una presunta voce mormorante in sottofondo. Termina la prima parte dell'album, e si è già ascoltato molto, schizzi metal quasi alla System Of A Down che si intrecciano a chitarre acustiche, cantati onirici, momenti quasi dream e quella batteria, fra le più creative che abbia mai ascoltato, bellissima, soprattutto in Symbol Song e Movement 2. Dino Campanella (il batterista) sfoggia veramente il meglio, mai più riuscirà infatti a ripetersi. Ma non perdiamoci in altri discorsi. L'album prosegue con il 3° Movement, Penguins In The Desert e il 4° MOvement, sembra che ci sia un calo, ma l'ultimo blocco di canzoni (Yatahaze e Movement 5) ci fanno capire che non è così. Bellissimo l'urlo finale liberatore di Gavin Hayes (cantante). L'album è finito, e sotto le note del delicato Movement 5 ritorniamo alla realtà, lasciando il mondo di sogni che la musica ci aveva permesso di creare.

Un album che comunque risulta molto difficile da ascoltare, e che forse ho elogiato troppo, i miei amici lo hanno denigrato, io lo salvo, se non altro per il fatto che lo considero un'evoluzione del Post Rock, un passo avanti nella musica, un punto di riferimento da cui partire nuovamente.

In seguito i Dredg hanno pubblicato altri 2 album, ma si sono lasciati corrompere dai soldi e hanno soppresso la loro geniale vena creativa. Comunque se volete ascoltatevi anche El Cielo, il secondo album, straelogiato dalla critica. Il terzo, Catch Without Arms, buttatelo pure nel cesso, fà abbastanza schifo...

Beccatevi stà lezione scritta di getto, pubblicata senza neanche rileggerla. Mi scuso per i possibili errori sintattici, lessicali, grammaticali, ma non ho tempo per correggerli, ora devo andare a cenare.

Ci sentiamo in seguito, ho ancora un'altra lezione Post Rock nella manica!!

Ciao ciao!! Dreamingorilla!

 
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A volte ritorno...

Post n°71 pubblicato il 18 Settembre 2006 da DreaminGorilla

Ebbene si!

Si preannuncia il mio ritorno su queste pagine, appena tornerò a essere fisso a Padova comincerò nuovamente a scrivere, a ruota libera!

Per ora, però, continuo a godermi gli ultimi momenti di una strana, stranissima estate.

A presto, ora il sole mi aspetta!

Ciao ciao, Dreamingorilla!!

 
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Dai pozzi...

Post n°70 pubblicato il 04 Giugno 2006 da DreaminGorilla
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Ho deciso di scrivervi il testo di Dai Pozzi, il nuovo singolo dei Meganoidi. E' molto bella come canzone, e anche il video non è poi così male. Potete vederlo a questo sito:  http://www.meganoidi.com/index_int.asp Ah, dimenticavo, è girato a Genova Cornigliano, chi c'è passato se ne accorgerà facilmente (sembra Mordor). Comunque, ecco il testo:

Dai pozzi

Dai pozzi blu
petrolio per
marciare lentamente per
distruggerti

Perdevo blu
dai colli lunghe ombre qui
non vederci più

The bridge is on fire
the bridge is on fire

Non guardare che
ci fa male

Si spaccano i monti da qui
voragini inferte da qui
divelte le porte di un luogo
che non ha più risorse
da incendiare

Scendi e sommergi queste macerie
che non si vedan più
se sprofondassi in bianche distese
forse confesserei
tra queste rive scorreva un fiume
che non finiva mai
portava via cupi presagi
ritorna qui tra noi

Ciao ciao, Dreamingorilla!!

 
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Sono rimasto particolarmente colpito...

Post n°69 pubblicato il 01 Giugno 2006 da DreaminGorilla
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Ho ascoltato alcune canzoni del nuovo album dei Meganoidi ...e sinceramente sono stato particolarmente colpito. Non mi erano mai piaciuti più di tanto (hanno sempre fatto delle canzonette qualunque e ho sempre avuto molti pregiudizi nei loro confronti) però mi sono capitate nelle orecchie alcune delle nuove canzoni e alcuni pezzi di And Then We Met Impero. Sarò sincero, mi hanno stupito molto, non mi sarei mai aspettato canzoni così. Sembra che abbiano tirato fuori le palle veramente. Sono molto contento, sicuramente mi procurerò il nuovo cd.

Ciao ciao, Dreamingorilla!!

 
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Lezione musicale anni '80 #2: U2

Post n°68 pubblicato il 23 Maggio 2006 da DreaminGorilla
 
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Questa settimana non sò cosa fare, perciò posto un'altra lezione muiscale. Si parla degli U2 perchè anche se in generale non mi piacciono più di tanto, ho ascoltato il mini ep "Under A Blood Red Sky", ed è veramente bello!!

Gli U2, destinati a diventare una delle band più popolari della storia del rock, nascono nel 1976, l'anno in cui il futuro batterista Larry Mullen jr. mette un avviso nella bacheca della Mount Temple School di Dublino, la prima scuola non confessionale d'Irlanda: "Cercasi musicisti per fondare band". Rispondono Dave Evans, chitarrista, detto "The Edge", Adam Clayton, bassista, e Paul Hewson, cantante, ribattezzato Bono Vox dal nome di un negozio di apparecchi acustici di una via del centro di Dublino. Cominciano a suonare come Feedback, poi diventano Hype, infine, su suggerimento di Steve Averill dei Radiators, scelgono U2, dal nome di un tipo di aerei spia americani della seconda guerra mondiale.
I quattro sono giovanissimi: Mullen ha 14 anni, The Edge 15, Clayton e Bono 16. "Ero un buono a nulla - racconta quest'ultimo -. L'unico lavoro che riuscivo a fare era il benzinaio. Ma la musica per me era la cosa piu' facile dle mondo, mi aiutava a uscire dalla banalita' di una vita da ragazzo di periferia". La morte della madre, cui dedichera' "I will follow", segna per Bono un punto di svolta: la band e' la sua nuova famiglia. E nel 1978 gli U2 sono gia' cosi' affiatati da vincere un concorso rock a Limerick, Irlanda.
"Eravamo invincibili perche' uniti. Eravamo degli idealisti arrabbiati con la voglia di venire alle mani con tutto il mondo", racconta Bono. Poco dopo, l'incontro cruciale con il manager Paul Mc Guinness segna l'inizio ufficiale di una carriera da sogno. Gli U2 - con oltre 70 milioni di dischi venduti in vent'anni - segnano un caso, piuttosto raro nel rock, di fusione tra impegno politico e risultati commerciali. "Non siamo mai voluti diventare un oggetto di culto - precisa The Edge -. La vera sfida era toccare milioni di persone senza accettare compromessi, e non rimanere integri vendendo solo qualche migliaio di dischi".


Boy e October, i primi due album, sono un cocktail di freschezza, ingenuita' ed energia rock. I suggestivi colpi di chitarra di The Edge e la voce intensa e graffiante di Bono sono gia' il marchio della fabbrica U2. E le prime composizioni sono intrise di spiritualita': Bono, The Edge e Mullen, che frequentano per un certo periodo il gruppo cristiano Shalom, ne sono gli artefici. Solo Clayton ne rimane distante. Mentre le altre band si cibano di sesso, droga e rock'n'roll, gli U2 leggono i salmi. "Ci sono poche cose, credo, che possono rivaleggiare con l'eroina per chi cerca una via d'uscita da una vita mediocre - sostiene Bono -. Nel mio caso e' stata la fede a condurmi in alto. E' piu' una questione di spiritualita' che di religione. I nostri occhi sono aperti a un altro mondo, che esiste oltre i limiti monocromi e unidimensionali di quello che ci circonda". E' un Cristianesimo radicale, rivoluzionario. "Piu' del punk, un movimento della classe media che ha poi costretto la classe operaia a dargli la credibilita'". Il trascinante singolo "I Will Follow", propulso dall'incendiario riff di chitarra di The Edge, è il capolavoro di Boy (1980) e il primo brano a lanciare in orbita la band irlandese.

 

October (1981), in particolare, approfondisce in modo più consapevole il tema dell'adolescenza già affrontato in Boy. E' proprio con questo album che Bono e soci dichiarano apertamente la loro religiosità. Il disco si apre con il grido di Bono che intona "Gloria", che può essere visto come una preghiera, un vero inno a Dio, ma anche come la testimonianza della perplessità per il crescente successo che gli U2 stanno vivendo e del difficile modo di conciliarlo nell'ambito di una concezione cristiana della vita. "Gloria" è uno stupefacente condensato di energia e melodia rock: la strofa trascinante e sorretta dal riff di The Edge ci conduce all’epico ritornello dove Bono ha libertà di spaziare con la propria voce sui ricami effettistici della chitarra e dove l’ispirato basso di Clayton svisa sulla cassa in quattro di Mullen. Il tema portante della religiosità si può incontrare anche in pezzi come "Rejoice", "With A Shout" e "Scarlet" (titolo attribuito in un primo tempo all'album), dove Bono ribadisce il concetto che la sua fede non è uno stereotipo ma un sentimento, radicato nella sua cultura e nella sua educazione irlandese.

Oltre alla fede, October mette in evidenza il clima di tensione che si viveva in quegli anni di scontri in Irlanda del Nord. In particolare, con "Tomorrow" gli U2 affrontano il tema della lotta politica e religiosa che infiamma il loro paese e del sangue versato per le strade di Belfast. "Tomorrow" è la canzone più "Irish" degli U2: la presenza nell'accompagnamento delle tradizionali uilleann pipes, le cornamuse irlandesi, rivela il legame dei quattro dublinesi con la tradizione folk del loro paese. Le cornamuse, affiancate alla voce carica di emozione di Bono, danno a  questa canzone un'intensità particolare, accentuata ancora di più nel finale dal falsetto disperato di Bono.

Ma la canzone che forse dà quel tocco magico all'album è proprio la title-track, "October", pezzo lento e caratterizzato dal suono del pianoforte, che esprime la malinconia tipica dell'autunno. Il disco si chiude con una canzone che è anche una domanda "Is that all?", ovvero è tutto qui quello che abbiamo da dire con la nostra musica? Gli U2 si domandano se la musica sia in grado di migliorare il mondo.

 

I temi sociali e politici aumentano nel terzo album, War (1983). In copertina, il viso sconvolto e inquietante di Peter Rowen, il bambino di "Boy". Ma ora lo sguardo e' severo e le labbra sanguinano: e' l'atto d'accusa dell'infanzia contro la guerra. L'hit e' la marcia di "Sunday Bloody Sunday", che ricorda uno dei drammi dell'Ulster: l'uccisione a Derry, nel 1972, di tredici civili da parte dei paracadutisti britannici. Introdotta dal pattern rullato di batteria su cui si inseriscono l’immortale riff di The Edge e il vocalizzo di Bono, è' un inno di pace, ma sarà scambiato per propaganda nazionalista. Una bandiera bianca, issata da Bono sul palco nel suggestivo scenario rosso-arancio di Red Rocks (Usa) durante il concerto immortalato in Under A Blood Red Sky, chiarira' tutto: "Ho paura quando vedo le persone pronte a uccidere per stabilire un confine - racconta il leader degli U2 -. Mi piacerebbe vedere un'Irlanda unita, ma non credo che si possa puntare una pistola alla testa di qualcuno per fargli assumere il tuo punto di vista. L'Ira ha sempre avuto idee sincere, ma sbagliate. Ora, dopo il Good Friday Agreement, il mio Paese è tornato a sperare".

Il disco sfoggia altri gioielli, come la disperata "Like A Song" o l'intensa "Two Heart Beat As One". Ma forse il vero capolavoro è lo struggente inno di "New Year’s Day": costruito intorno al sognante giro di piano suonato da The Edge, offre un altro saggio della forza vocale di Bono e della qualità compositiva della band, che riesce a equilibrare energia e leggibilità, forza e melodia, in un tutt’uno dall’impatto esplosivo.

 

Il rifiuto della guerra torna in The Unforgettable Fire: il fuoco indimenticabile è quello della bomba atomica di Hiroshima. E' il primo album del sodalizio con Brian Eno, maestro dell'ambient music, e con Daniel Lanois, tecnico canadese del suono. Il rock forte e intenso dell'esordio acquista una patina magica. Le canzoni narrano di un'America in crisi, delusa dalla mancata realizzazione dei suoi ideali. Uno dei brani, "MLK", e' un omaggio al profeta nero della pace Martin Luther King. Il singolo "Pride (In The Name Of Love"), cantato da Bono in un registro epico e disperato, e sorretto da un altro memorabile riff di The Edge, diventa uno dei grandi inni del decennio. La commovente title track, maestosa e sinfonica, è un altro capolavoro del gruppo. Ma il disco vive anche di episodi meno noti, eppure altrettanto vibranti, come l'amara riflessione sui demoni della droga di "Bad" e l'elegia malinconica del ritorno a casa di "A Sort Of Homecoming". The Unforgettable Fire è il primo album degli U2 a entrare nei Top 10 di "Billboard" ed è la svolta dell'intera carriera della band, che accentua il suo impegno sociale. All'esibizione sul palco di Live Aid a Wembley, in cui Bono salta dal palco in mezzo al pubblico, seguono il tour "Conspiracy of hope" per Amnesty International, il contributo a "Sun City" contro l'apartheid, le incursioni con Greenpeace per il caso-Sellafield, e il "Self Aid" a favore dei giovani disoccupati irlandesi.


La rivista musicale Rolling Stone proclama gli U2 "il gruppo degli anni Ottanta". Ma alla vetta delle classifiche di Stati Uniti e Gran Bretagna, Bono e compagni arrivano nel 1987, con The Joshua Tree. Il titolo fa riferimento a un cactus gigante che cresce nella Death Valley, ribattezzato Joshua dai primi mormoni giunti in America, come a paragonare quel luogo alla Terra promessa di Giosue'. E' il disco della maturita', sapiente sintesi tra la tecnologia di Eno, l'irruenza selvaggia del trio batteria-basso-chitarra e l'estensione vocale di Bono, con qualche incursione nel blues e nel country. Il disco frutta autentici hit mondiali, da "Where The Streets Have No Name" a "I'm Still Haven't Found What I'm Looking For". Ma non mancano piccole gemme nascoste, come la commovente "Red Hill Mining Town" o la sommessa denuncia sulla tragedia dei desaparecidos di "Mothers Of The Disappeared". Altre volte, invece, la band sembra annaspare in un Adult Oriented Rock un po' stantio e retrivo ("Whith Or Whithout You", "Bullet The Blue Sky").
In generale, gli U2 si "americanizzano", nei suoni e nel look. E negli Stati Uniti riescono a collaborare con "mostri sacri" del calibro di Bob Dylan, Robbie Robertson, Roy Orbison e B.B. King (con cui si esibiscono nel tour "Rattle & Hum").
Ma in patria gli atteggiamenti "messianici" dei quattro sacerdoti del rock suscitano l'ilarita' di gruppi come The Joshua Trio e Sultans of Ping. Questi ultimi dedicano loro l'irriverente "U talk 2 much" ("gli U2 parlano troppo"). Contro la band dublinese si levano anche gli strali della cantante Sinead O'Connor, che li accusa di gestire in modo mafioso la scena rock irlandese tramite l'etichetta "Mother Records".


Nel 1991, con Achtung Baby, gli U2 inaugurano la svolta tecnologica degli anni Novanta. L'elettronica spinta e rumorista, che attinge un po' furbescamente alla moda "industrial", vuole esprimere "le contraddizoni di una societa' in trasformazione". Brani come "The Fly" e "Until The End Of The World", colonna sonora dell'omonimo film di Wim Wenders, hanno un vago sapore apocalittico; il capolavoro del disco è con ogni probabilità lo struggente lento elettrico di "Love Is Blindness", ma il nuovo hit mondiale e' "One", ballata classica dai toni soul.

 

Il successivo show "Zoo Tv", ispirato dall'universo cibernetico dello scrittore William Gibson e dal famigerato "villaggio globale" di McLuhan, è un inferno di suoni e di informazioni, che bombardano il pubblico da decine di teleschermi collegati a due satelliti. Durante il tour viene registrato Zooropa, passo ancora piu' azzardato (e stavolta decisamente fallimentare) nei meandri del pop elettronico, con suoni campionati e brani disco come la vacua "Lemon", che Bono canta in falsetto.
Ma l'impegno sociale resta. La Jugoslavia dilaniata dagli odi etnici appare agli U2 una metafora del conflitto irlandese tra cattolici e protestanti. Parte, insieme a Brian Eno, il progetto-Passengers: "Miss Sarajevo", cantata con Luciano Pavarotti, e' una commovente preghiera di pace in cui l'elezione di una reginetta di bellezza diventa il simbolo della normalita' perduta nella guerra. "Questa notte dobbiamo vergognarci di essere europei", grida Bono durante un concerto. Poi, sempre sul terreno politico, arriveranno gli incontri con Salman Rushdie e il concerto con i premi Nobel per la pace nordirlandesi John Hume e David Trimble.

 

I sacerdoti del rock cambiano pelle. Lustrini e occhiali da sole a goccia al posto dei giubbotti da liceali; capelli rasati al posto di quella zazzera post-punk che - come dice Bono - "ha contagiato intere schiere di calciatori di serie B". L'intimismo degli esordi ha lasciato spazio all'ironia. Il bersaglio e' il "mercato globale", che fagocita tutto e tutti. Anche le rockstar. Addio salmi. Benvenuti al supermarket rock del Duemila.

"Il rock è invecchiato", dichiara Bono dopo l'uscita di Pop (1997). "Cambiare e' il solo modo per sopravvivere", precisa il chitarrista The Edge. Così i quattro apostoli del "fuoco sacro" d'Irlanda approdano addirittura in una discoteca post-moderna che centrifugava suoni, rumori e immagini. Motivi pop, piu' facili ed effimeri, testi meno impegnati e ritmi martellanti stile techno, vogliono rappresentare, nelle intenzioni di Bono e soci, "l'industria della musica". Ma gli U2 sanno benissimo di essere ingranaggi di quel sistema, con i loro capricci da rockstar e i loro show faraonici. Così, ormai, preferiscono affidarsi all'ironia, nelle canzoni e nelle scenografie dei concerti.
La parabola dell'apocalisse consumistica di fine secolo, iniziata con lo show di "Zoo Tv", raggiunge l'apice sul palco del "Pop Mart tour", un supermercato ambulante del rock decollato da Las Vegas e approdato anche in Italia per due date, a Roma e Reggio Emilia. Tutto diventa eccessivo, dall'immenso arco giallo che sovrasta il palco a un limone di nove metri, da un'oliva infilzata su uno stuzzicadenti di 35 metri a un megaschermo da 700 metri quadrati traboccante frammenti psichedelici e pop-art. Il suono puro degli U2 si trasforma in una miscela impazzita di atmosfere ipnotiche dance e di ritmi accelerati techno e jungle, di sprazzi pop "easy" stile Oasis e di elettronica contaminata alla Depeche Mode e Chemical Brothers. Una incursione nel mondo luccicante ed effimero delle discoteche, in cui c'e' spazio per la dance volutamente triviale di "Discotheque", ma anche per gli assoli di chitarra di "Staring at the sun", unica consolazione dei nostalgici.

Ma si può parlare davvero di una svolta commerciale per i quattro ex-integralisti del rock'n'roll? "Non vogliamo restare schiacciati da queste influenze, ma documentarle - si difende Bono -. E' un po' come facevano i Beatles. Gli U2 non saranno mai un gruppo dance. Se la gente ballera' con i nostri pezzi, lo fara' a casa, non sulla pista". Ma per i nostalgici dei primi U2 non c'e' piu' spazio: "Il rock - si giustifica Bono - rischiava  di mummificarsi come la musica folk. Dovevamo venir fuori dal rigore anni Settanta e imparare a prenderci in giro. E' quello che stiamo facendo con i nostri ultimi show".


Soltanto nel 1988, cantavano in "God part II" (da Rattle & Hum): "Non credo negli anni '60, nell'eta dell'oro del pop/ Si glorifica il passato, mentre il futuro e' sempre piu' sterile". Oggi, gli U2 scoprono il pop e guardano al futuro. Per loro, come per altre rockstar (David Bowie, Bruce Springsteen, Sting), il rock e' diventato un vestito troppo stretto, e il trasformismo quasi una necessita'. "Le nostre canzoni piu' interessanti sono nate dalla sperimentazione - spiega il chitarrista The Edge -. Tentiamo cose inedite, perche' e' il solo mezzo per mantenerci in vita. All'improvviso la formula basso-chitarra-batteria e' diventata logora. Invecchiando, il rock si e' appesantito. Ora stiamo lavorando su nuovi ritmi, ma non possiamo fare i cambiamenti rapidi di Bowie; dobbiamo sempre tenere conto di quattro opinioni diverse".

 

Così, per venire incontro all'anima più "tradizionalista" della band, nel 2000 gli U2 tentano un (parziale) ritorno al passato con All that you can't leave behind, ovvero "tutto quello che non puoi lasciare indietro". Nelle undici tracce, la band irlandese tenta di recuperare la semplicità delle origini, dispersa negli ultimi anni tra show futuristi e incursioni in discoteca. Ma in realtà il furore degli esordi è un lontano ricordo, e si ha l'impressione che la deriva pop di Bono e compagni sia ormai irreversibile. L'album, infatti, lascia nel complesso indifferenti, salvo qualche eccezione, come il singolo "Beautiful Day", che racconta della banalità di come un uomo possa perdere tutto, ma essere ugualmente felice. Un pezzo che regala qualche momento d'emozione, anche se, musicalmente, ruba la melodia a "The sun always shines on tv", un vecchio successo degli A-Ha.

Eppure proprio Bono, reduce dalla fresca esperienza di attore e musicista nel film di Wim Wenders "The Million Dollars Hotel", aveva parlato chiaro alla vigilia dell'uscita dell'album. "E' un ritorno alle nostre ballate vecchio stampo - aveva annunciato -. Il pop dice alla gente che tutto va bene, mentre la nostra musica dice il contrario". Concetti simili a quelli già espressi molte altre volte dal leader degli U2, che però ultimamente sembra aver smarrito il senso della coerenza. Dopo All that you can't leave behind, l'impressione che gli U2 si siano trasformati in un gruppo di musica leggera non si è attenuata, ma semmai rafforzata.

 

Il lavoro del gruppo di Dublino nell'ultimo decennio è stato raccolto in U2 - The Best of 1990-2000, album che, in versione limitata, contiene un secondo cd dal titolo The Best of B-Sides, un bonus Dvd con un esclusivo "History Mix" che copre la carriera degli U2 negli anni '90, un trailer del Dvd "The Best of 1990-2002" e una versione inedita live di "Please" e il "backstage" del video del nuovo singolo "Electrical Storm". La versione standard, comprendente un solo cd, raccoglie invece solo i classici (per lo piu' singoli) del decennio 90, oltre ai due brani inediti: il suddetto "Electrical Storm" e "The Hands That Built America", realizzato per la colonna sonora del film di Martin Scorsese "Gangs of New York".

 

Nel 2004 gli U2 recuperano il vecchio produttore Steve Lillywhite per registrare How To Dismantle An Atomic Bomb.

By Ondarock...

Ciao ciao, DreaminGorilla!!

 
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Eh eh!! Alla fine ho scritto una recensione...

Post n°67 pubblicato il 22 Maggio 2006 da DreaminGorilla

Eh si, finalmente ho scritto una recensione di mio pugno. La potete trovare a questo indirizzo: http://www.debaser.it/recensionidb/ID_10121/Tool_10000_Days.htm

...peccato che me la abbiano già stroncata... vabbè, mi rifarò con la prossima!!

Ciao ciao, DreaminGorilla!!

 
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In risposta a molti post...

Post n°66 pubblicato il 18 Maggio 2006 da DreaminGorilla

Mi sento tirato in causa ...forse perchè sento di essere stato io a tirare sù questo polverone riguardo alla finale dello Sband, perlomeno qui in internet. Per prima cosa spero di non essere stato io l'elemento propulsore di questa situazione. Secondo, sia ben chiaro che io non ce l'ho con nessuno, anzi sono ben contento della vittoria dei Malvasia, perchè se la meritavano (e l'ho scritto chiaramente nei commenti di Aldo). Terzo, io ho semplicemente riportato le voci che mi erano giunte e volevo chiedere se c'era qualcosa di vero. Io sono a Padova, non sò nulla della situazione lì a Savona, non sò se c'è gente che stà spalando merda contro i Malvasia. Se è così, mi dispiace. Mi sembra che questo concorso allora sia stato preso troppo sul serio. Non sò che altro dire, sono smangiato dal caldo. Me ne vado a studiare e a dormire, visto che stasera devo essere in forma per andare a bere qui in Prato della Valle. se volete commentare fatelo pure, vi risponderò qualcosa.

Ciao ciao, DreaminGorilla!! 

Bè, visto che và di moda consigliare canzoni del giorno ...ascoltatevi Teenage Riot dei Sonic Youth!!

 
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Lezione musicale anni '80 #1: Cocteau Twins

Post n°65 pubblicato il 07 Maggio 2006 da DreaminGorilla
 
Foto di DreaminGorilla

Ho deciso di cambiare argomento, perciò  d'ora in poi si parlerà di lezioni muiscali anni '80. Non ci sarà questa volta però un ordine cronologico. Prendetele così come vengono. Per questa prima lezione parlerò dei Cocteau Twins.

 

I Cocteau Twins sono partiti dalle tenebre del dark-rock, all'alba degli anni Ottanta, per approdare a un pop etereo, visionario e onirico. Da qui, la definizione di "dream-pop" per il genere che loro stessi hanno ideato e che annovera, tra gli altri, gli inglesi Talk Talk e Slowdive, i norvegesi Bel Canto e le giapponesi Angel in Heavy Syrup. Senza di loro band come Curve, Sugarcubes o Chemical Brothers, forse, non sarebbero mai esistite. Ma, in realtà, la musica dei Cocteau Twins ha molte radici, dal folk celtico alla psichedelia, dal gotico alla tradizione araba, dalla classica all'ambient music. Non si tratta di "canzoni", nell'accezione tradizionale, ma di una miscela di melodie, accordi, dissonanze, echi, riverberi, su cui fluttua libera la voce di Elizabeth Fraser. Una voce cristallina, che, spaziando lungo suggestive escursioni di registro, alterna sussurri e litanie, cantilene infantili e grida angosciate. Il risultato è un clima claustrofobico di grande effetto, una sorta di trance ipnotica, in cui possono coesistere il peggior incubo e la visione più celestiale. Seppur figlio della psichedelia, il dream-pop non insegue "paradisi artificiali" della mente, ma scava nei recessi più profondi dell'inconscio, alla ricerca della spiritualità.

I Cocteau Twins nascono a Grangemouth, Scozia, come un trio: Elizabeth Fraser (voce), Robin Guthrie (chitarra e tastiere), Will Heggie (basso). Il loro esordio avviene nel 1982, con il singolo "Peppermint Pig", subito seguìto dall'album Garlands. L'impronta di fondo è il gotico pomposo di Joy Division e, soprattutto, Siouxsie, di cui la giovane Fraser è grande fan. "Da ragazzina ero la punk più dolce che si potesse incontare - racconta -. Ho sempre avuto le braccia piene di tatuaggi di Siouxsie e dei Sex Pistols, ma mi sono sempre vergognata di mostrarli in pubblico. Probabilmente, la gente pensava che stavo sempre con le maniche lunghe perché ero una eroinomane.". Lo spirito della "regina della notte" aleggia sulla distorta "Wax and wane" e sulla cupa "I'm not". Tanto che i critici più maligni arrivano a definire Fraser "una Siouxsie in sedicesimo". Ma il disco conquista subito il pubblico underground britannico, grazie al suo sound ipnotico e suggestivo.
Heggie abbandona presto la band, mentre tra Guthrie e Fraser si stabilisce anche un solido legame sentimentale (i due avranno una figlia, Lucy, nel 1989). E' da questo duo che nasce "Head over heels", trascinato dalla vorticosa "In our angelhood" e dalla frizzante "Sugar hiccup", destinata a diventare uno dei loro motivi più celebri.
Le sonorità sono sempre più rarefatte, e scaturiscono da fluide progressioni di accordi e dal fresco soprano di Fraser, che frammenta testi liberi da regole grammaticali. "Le storie delle mie prime canzoni erano tutte metaforiche - racconterà la vocalist in seguito-. Erano frutto dell'inconscio, delle mie paure, che col tempo si sono attenuate". Non si è mai attenuata, invece, la sua timidezza e la sua ritrosìa verso tutto ciò che è "star-system": difficile vederla in video o sulle copertine dei dischi, quasi proibitiva un'intervista. Anche questo contribuirà a rendere i Cocteau Twins un gruppo di culto per il pubblico della new wave.

Ma in quel periodo la formazione britannica non rinuncia a sperimentare, e lo fa soprattutto con una moltitudine di ep, in cui si possono trovare chicche come lo spiritual "Hitherto" o la ninnananna lisergica "Pepper-tree". A dare forza al sound, oltre alla voce di Fraser, sono le tastiere lugubri di Guthrie, gli arpeggi eterei della chitarra e l'incedere mozzafiato della batteria.
Ingaggiato il percussionista Simon Raymonde, la band indovina il disco della consacrazione con Treasure (1984). Un lavoro elegante e complesso, in cui Fraser insegue le orme di vocalist d'avanguardia come Laurie Anderson e Meredith Monk, e la band amplia lo spettro delle sue influenze musicali. Si passa così dalle danze orientali di "Ivo" al barocco di "Lorelei", dal jazz-rock di "Pandora" all'abulia psichedelica di "Otterley". Tutto l'album è fortemente intriso di miti medievali, favole gotiche ed esoterismo. Una fiamma di pura follia onirica pervade i brani, che alternano vertigini e visioni, surrealismo e spiritualità, in un clima magico, dominato dai gorgheggi eterei di Fraser. " Elizabeth non ha alcun rispetto per gli arrangiamenti miei e di Simon - scherza Robin Guthrie -. Arriva sul più bello e comincia a cantare in tutti i momenti che riteniamo sbagliati. E il risultato è molto migliore.".
All'apice del suo successo, il gruppo britannico pubblica Victorialand, in cui rinuncia quasi completamente alla sezione ritmica e si concentra sui suoni acustici, privilegiando chitarre, fiati e voci. Nasce così la complessa partitura di "Lazy calm", in cui i bisbigli di Fraser si innestano su soffici arpeggi di chitarra. Il gruppo sembra però aver perso la forza onirica degli esordi e indulgere verso una musica ambientale, ai confini della new age.

Dopo una serie di Ep e il passaggio a vuoto di Moon and melodies, i Cocteau Twins tornano con Blue bell knoll (1988), forte della title-track, una ballata struggente con echi di sonorità arabe, e degli acuti stile-Kate Bush di "Itchy gloubo blow". Ma il disco non fa che confermare l'inizio della loro parabola discendente.
Heaven or Las Vegas tenta così di introdurre delle variazioni: il ritmo ritrova spazio ed Elizabeth Fraser canta in inglese, rinunciando alle sue cantilene astratte. Ne scaturisce l'hit "Cherry-coloured funk", ma anche una pericolosa propensione per la musica pop più vacua e commerciale. Una volta limitata la sua carica visionaria, la musica dei Cocteau Twins è come svuotata, sterilizzata. Non riuscirà a invertire la rotta Four-calendar cafè (1993), malgrado la verve del singolo "Evangeline", né il successivo Milk and kisses, in cui la band scozzese vira verso il trip-hop, come nel singolo "Rilkean heart", e si concede un omaggio alla "Suzanne" di Leonard Cohen qual è "Half-gifts". La crisi è profonda e coinvolge anche la vita privata della Fraser, in preda a un esaurimento nervoso che la costringe a un duro confronto con il suo passato: "Non capivo che cosa andava storto - racconta -. Ho dovuto fare i conti con la bulimia. E in terapia, negli Stati Uniti, ho avuto la conferma che i miei problemi erano connessi alle violenze della mia infanzia". Elizabeth, infatti, subì abusi sessuali dal patrigno e venne cacciata di casa a soli sedici anni.

Gli episodi migliori degli anni Novanta arrivano così da altre strade. Come le partecipazioni alle colonne sonore di "Dredd" (l'algida "Judge Dredd") e di "Io ballo da sola" (l'incantevole "Alice"), e le collaborazioni di Elizabeth Fraser con Craig Armstrong (il singolo "This love") e Massive Attack (la splendida "Teardrop"). Lo scioglimento dei Cocteau Twins, nel 1997, non fa che prendere atto dello stato delle cose. Chi ne guadagna è certamente Elizabeth Fraser, divenuta una delle "voci" più richieste del panorama rock mondiale. Ma già si preparano antologie celebrative. E resterà sempre il ricordo di tutti quei sogni in musica che la band scozzese ha saputo far vivere.

Lullabies To Violaine (2005) è un box-set di quattro cd contenente (quasi) tutto il materiale della band non contenuto negli Lp.

By Ondarock...

Ciao ciao, Dreamingorilla!!

 
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Pagina con video dei Tool...

Post n°64 pubblicato il 06 Maggio 2006 da DreaminGorilla
Foto di DreaminGorilla

In questo periodo sono veramente fissato... comunque, ho trovato questa bellissima pagina dove potete vedere quasi tutti i video dei Tool http://toolshed.down.net/video/

Ditemi cosa ne pensate.

Ciao ciao, Dreamingorilla!!

 
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Recensione Tool -10,000 days

Post n°63 pubblicato il 03 Maggio 2006 da DreaminGorilla
 
Foto di DreaminGorilla

...e come avevo promessoecco qui la recensione del nuovo album dei Tool... come sempre non fatta da me...

Il silenzio è stato tutto ciò che ha circondato i Tool in cinque anni, tenendo all’oscuro quanti attendevano il seguito di "Lateralus" da tutto ciò che balenava nelle menti dei componenti del gruppo, alla ricerca costante di nuovi immaginari da scoprire, passaggio dopo passaggio, costruzione dopo decostruzione.
"10000 Days" è la ricomparsa, la nuova manifestazione degli immaginari creati dalla band in precedenza: dapprima con "Ænima" e il suo sanguinante bisogno di espressione, quindi con "Lateralus" e il suo mondo abbietto e claustrofobico. Due sagome e filosofie unite ma distanti, attraversate da un filo conduttore che è la mente umana, affollata di indecifrabili spettri. E sono proprio questi spettri a essere ora rappresentati in "10000 Days".

La forma caotica e circolare viene aggredita da un'urgenza espressiva che nei dischi precedenti non si era mai incontrata in modo così perfettamente chirurgico come nella traccia d’apertura: "Vicarious" si accosta a un turbine in crescendo, in un'apocalisse che si manifesta nella spietatezza retorica (ma non banale) del testo, un j’accuse sullo scempio mediatico del dolore. La religiosità di Keenan che cozza contro la brutalizzazione, per coniugarsi con un’aggressività strumentale più secca e nuda, un vortice potente che stupisce laddove la voce scandisce come un motivetto pop "La, la, la, la, la, la-la-lie", portando sullo stesso piatto il ridicolo e la stupidità.

La ruvidezza del suono e la continua costruzione—decostruzione ricorda i Meshuggah tanto quanto gli Slint e il movimento "post"; e se i primi possono essere chiamati in causa per "Jambi", sorta di "Pushit" del nuovo millennio, carica di aggressività animale e ambivalenza tra rabbia e amore, tutta l’esperienza post-rock viene invece riletta dai Tool nella title track (in due movimenti), che rappresenta uno dei picchi artistici ed emotivi del gruppo.
"10000 Days": diecimila giorni per 27 anni di dolore. Un brano incentrato sul profondo rapporto di Keenan con la madre Judith, con la voce sussurra e scandisce i versi intrisi di gratitudine e disperazione: "Didn’t have a life. But surely saved one". La rarefazione degli strumenti ricorda le atmosfere eteree dei
Labradford, che vengono poi caricate di pathos nella seconda parte, in cui il ritmo diventa nervoso e incalzante; il pulsare di batteria e basso in crescendo assieme alla chitarra di Adam Jones costruiscono un ambiente paranoico e claustrofobico, in cui si dibatte la necessità di riappacificazione con il proprio passato da parte di Maynard.

È questa la chiave di lettura per ciò che precede e segue nel disco; appare chiaro come tutto sia volto a celebrare e ritualizzare un rapporto madre-figlio difficile e turbolento, e per la prima volta i testi mostrano chiaramente un lato umano estremamente sensibile, un impatto emotivo violento e senza compromessi lirici.
Da qui si snoda un percorso di autoanalisi, in cui vengono rivissuti tutti gli ostacoli e le difficoltà di relazione, ed è emblematico l’esempio di "The Pot" in cui lo stesso Keenan fa il verso alla madre in apertura di canzone, per poi scendere in un inferno sonoro che strizza l’occhio al post-core e ad accelerazioni vicine, per irruenza, a "Lateralus". Proprio dal disco precedente sembra essere uscita la base costruttiva di "Rosetta Stoned", dove il drumming torna a essere potente e continuo, alternando, con modalità forse un po’ troppo di maniera, momenti di tensione con dilatazioni ritmiche, sui cui fluiscono come un magma le parole e i riff serrati della chitarra di Adam Jones.

Il trittico finale, come da prassi, rappresenta un leggero distacco sonoro dal resto dell’album. La litania di "Intension" è un lento addio agli incubi che avvolgevano le precedenti tracce. Percussioni africane e un basso morbido costruiscono un tappeto per la nenia recitata: il distacco avviene totalmente, e proprio nell’ottica del tornare in sé stessi si sviluppa "Right In Two", la parte razionale cerca i perché di tutto quel che è successo; in un crescendo parallelo tra consapevolezza e potenza del suono, vengono riprese le percussioni e il panorama sonoro si dilata, divenendo una scia in cui Keenan ripete la frase "cutting our love in two", a simboleggiare la necessità dell’abbandono.

La chiusura è affidata all’indecifrabile "Vigenti Tres", nella quale si rinnovano rumori somiglianti a un respiro affaticato e stanco, o forse altro. Su questo si sveneranno i cervelli dei codificatori tooliani , sebbene questo disco si presenti molto meno ermetico dei precedenti. La svolta verso un suono più diretto e comunicativo è palese, così come la capacità di creare una proposta unica sul panorama musicale attuale. A evolversi è il modo di comunicare, e con questa ennesima svolta i Tool marchiano a fuoco una decade esatta, cominciata nel 1996 con "Ænima".

Ciao ciao, Dreamingorilla!!

 
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Tool: 10,000 days

Post n°62 pubblicato il 02 Maggio 2006 da DreaminGorilla
 
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Finalmente è uscito il nuovo album dei Tool dopo 5 anni di attesa. Da buona fan me lo son già comprato e il primo ascolto ha suscitato un buon giudizio. In seguito metterò una recensione, ora vado ad ascoltarlo per la terza volta, ciaooooo!!

Ciao ciao, Dreamingorilla!!

 
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Il ritorno dei Pumpkins!!

Post n°61 pubblicato il 22 Aprile 2006 da DreaminGorilla
 
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...e questa si che è una grande notizia!!! Finalmente è ufficiale la reunion dei pumkins!!! E' grandioso, finalmente potrò andare a un loro concerto, stupendo, non vedo l'ora!!

Sarò sincero, la cosa però mi puzza un pò di mossa commerciale. Mi sà che ormai non ci sarà più niente di grandioso da aspettarsi dalle zucche. Si, sarò pessimista, però non credo che il caro Billy possa incominciare improvvisamente a sfornare nuovi capolavori, soprattutto dopo gli ultimi passi falsi che ha fatto. Sinceramente da un certo punto di vista avrei preferito che non si fossero mai riuniti, sarebbero rimasti in questo modo un mito, invece così rischiano di diventare un gruppo che torna insieme per motivi commerciali e che cerca di aver successo rispolverando sonorità di tempi ormai passati.

vabbè, si vedrà cosa succederà, io comunque sono contento perchè di sicuro mi vado a vedere un loro concerto!!

Ciao ciao, DreaminGorilla!!

 
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All is full of love - Bjork

Post n°60 pubblicato il 22 Aprile 2006 da DreaminGorilla
 
Foto di DreaminGorilla

Questa volta vi parlo del video di Bjork per la canzone "All is full of love", perchè è uno dei video più belli che abbia mai visto. Una lancia spezzata a mio favore è il fatto che sia stato presente alcuni anni fa alla Biennale di Venezia... scusate se è poco!! E io c'ero a vederlo!! Non c'è che dire è veramente un bel video, perciò non dirò niente, se non andatevelo a vedere. Cliccate su questo link se lo volete guardare: http://www.glassworks.co.uk/search_archive/jobs/bjork_all/ 

Ah dimenticavo, il merito della bellezza del video è di Chris Cunningham, il regista. 

Bè, ora vi lascio, me ne vado a dormire.

Ah, dimenticavo ancora, qualcuno sà dirmi come fare a inserire i membri???

Ciao ciao, DreaminGorilla!!

 
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