Le due bisacce

Post n°37 pubblicato il 20 Marzo 2013 da duetalleri
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...un canto semplice semplice per un compito che di semplice ha poco o nulla, cercare di agire per il bene.

 

 

SEMINA PACE

 

Semina pace nel tuo cammino

semina pace nella giornata

semina pace sul tuo lavoro

semina pace dentro il tuo cuore.

Se semini pace dentro il tuo cuore

nel cuore del fratello fiorire la vedrai!

 

Due bisacce hai sulla schiena,

una bianca e l'altra nera:

quale sacca la tua mano sceglierà

chiedi a Dio, solo Lui guidarti saprà!

Se ti svegli con cuore generoso

e ti senti di...cambiare il mondo,

chiedi a Dio il suo disegno qual è,

se questo è il suo volere, Dio benedirà!

 

Semina pace...

 

Ogni volta che apri bocca,

un semino a terra cadrà!

Seme di pace o seme di discordia

la sacca è sulla schiena, distinguerla non sai!

Chiedi a Dio che guidi la tua bocca

quando vorresti...portare pace

chiedi a Dio che guidi la tua mano

allora e solo allora semi bianchi spargerai!

 

Semina pace...

 

Non si preoccupi il tuo cuore

se nel fare il bene fa un po' di confusione

questo è il peso della natura umana

rimetti a Dio e lui trasformerà!

Chiedi a Dio che si compia il Suo volere

siamo Suoi strumenti, è lo Spirito che compie.

Chiedi a Dio, rimetti tutto a Lui

il male in cosa buona, Lui trasformerà!

 

Semina pace......

 

Semina pace lungo le strade

Semina pace cantando ad alta voce

Semina pace sul deserto e sul giardino

Semina pace alzando un inno a Dio!

Se semini pace dentro il tuo cuore

nel cuore del fratello fiorire la vedrai!

 

“Seminatori di pace”, nel cuore e nella vita.

“Siate sale della terra, la mia Parola vi guiderà.”

 

 

 

 
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IL CARRO

Post n°36 pubblicato il 16 Marzo 2013 da duetalleri
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BAMM…BAMM…BAMM…BAMM…

Fa caldo. Le mosche ronzano insistenti  e mordono  con ferocia la mia pelle impolverata. Sta per piovere, evidentemente. Motivo in più per darsi una mossa. Tiro con forza la cavezza, ma il bue dal mio lato non ha alcuna intenzione di variare il passo e continua a mettere uno zoccolo dopo l’altro seguendo il suo atavico ritmo interiore, senza fallo né sosta.

BAMM…BAMM…BAMM…BAMM…

Come colpi su un tamburo rituale la coppia di buoi fa rimbombare i suoi passi poderosi. Inesorabili e sicuri ma lenti, troppo lenti. Comincio a fremere per la rabbia e l’inquietudine e nonostante la stanchezza sono ormai determinata a prendere in mano  la situazione. Tolgo dal carro una corda robusta e mi infilo tra i due buoi, badando di non disturbare la loro marcia. Fisso le due cime al centro del giogo, creando un’asola che mi faccio passare alle spalle, proteggendo la pelle con un pezzo di cuoio avanzato. Almeno dò il mio contributo anch’io, trainando in qualche modo i buoi che a loro volta stanno trainando il carro, il mio carro. Beh, non è proprio mio, mi è stato dato in prestito ed ora è carico di tutto ciò che mi serve per realizzare il mio progetto. Io avrei preferito un possente carro da fieno, ma hanno preferito darmi un carretto da passeggio e a caval donato non si guarda in bocca.

BAMM…BAMM…BAMM…BAMM…

Stiamo entrando nel paese e devo fare uno sforzo per non stare ad ascoltare le sghignazzate dei popolani, chi l’ha vista mai una donna davanti ai buoi. Più dei lazzi mi feriscono i buoni consigli, chi li ha chiesti? Che ne sanno loro dell’urgenza che ho? Come fanno a non capire che il mio contributo è sì una goccia nel mare, ma tante gocce fanno un oceano? Se proprio vogliono darmi una mano, che prendano anche loro una corda e facciano come me! Che rabbia. Che tristezza. Che stanchezza. Con le spalle dolenti e le mani ormai lacere chino il capo, mi faccio forza e continuo a tirare.

BAMM…BAMM…BAMM…BAMM…

Fisso con sguardo vacuo la polvere della strada, ogni tanto chiudo gli occhi. Devo averli tenuti chiusi un istante di troppo e ora quasi sobbalzo perché c’è una figura davanti a me.

“Benedetta ragazza, perché ti ostini a fare un lavoro inutile e faticoso?” Vecchio rimbambito, forse perché devo andare avanti, no? Togliti di mezzo, va’.

“Perché tirare i buoi, che già avanzano sicuri?” Ma proprio non ci stai con la testa? Ho fretta e il passo dei buoi è sicuro e inesorabile ma lento.

L’omino fa un cenno a due omoni, che si avvicinano. Si affiancano ai buoi, uno per lato, sincronizzando il passo con quello delle grandi bestie. Tra il sudore e le lacrime vedo che hanno la faccia gentile e lascio fare.

BAMM…BAMM…BAMM…BAMM…

OmoneUno prende con sicurezza la cavezza dei buoi, OmoneDue sfila delicatamente il cappio dalle mie spalle e lo annoda al giogo, poi mi alza di peso e mi posa sul carro.

Omino intanto è rimasto fermo e devo voltarmi per guardarlo.

“Il passo dei buoi è lento ma sicuro e inesorabile. Buon viaggio!” Che stupidi giochi di parole, è proprio un vecchio rimbambito. Mio malgrado mi sforzo di sorridere e faccio un cenno di saluto, a lui e ai due omoni che si sono fermati anch’essi ai lati del selciato. Faccio passare il paese e appena fuori torno là davanti, al mio posto. Sono una dura, io. Magari mi riposo ancora un po’ e poi…

Su una cosa Omino aveva ragione, però. In tutto questo tempo il passo dei buoi è rimasto invariato, che ci fossi anch’io a dare una mano o meno…

BAMM…BAMM…BAMM…BAMM…

 

 
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LA DANZA NEL VENTO

Post n°35 pubblicato il 05 Gennaio 2013 da duetalleri
 
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LA DANZA NEL VENTO

 

 


All'inizio di dicembre 2011 ricevetti un regalo particolarissimo: un sogno così forte e così bello, pur nella sua drammaticità, che ancora oggi mi riempie il cuore di forza. Vedevo la scena dall'alto ma sapevo bene che io stessa ero là, una formichina tra tante formichine, a cercare di nuotare nel vento.


Tante, tantissime persone camminavano su quel pezzettino di mondo. Sembravano formichine, a vederle così dall'alto: tutte indaffarate, chi con animo allegro chi confusione e paura, e tutte che si incrociavano più e più volte in intrecci casuali e senza senso apparente. Quasi nessuno se ne accorse subito, eppure una brezza leggera cominciò ad alzarsi facendo muovere le persone appena un po' più frettolosamente, appena più distrattamente. Il venticello si faceva a mano a mano più insistente e tutti, chi più chi meno, non poterono fare a meno di accorgersene. C'era chi cominciava a sbandare, chi addirittura cadeva e si rialzava, e anche chi si rannicchiava a terra con le mani sugli occhi. Il vento ora era così forte che alcuni, come formichine, venivano trascinati via mentre altri, pochi, tendevano le mani gli uni verso gli altri per cercando di aiutarsi.

Il vento era ormai impetuoso e soffiava da ogni direzione. Chi poteva, chi ce la faceva, si univa in un cerchio fatto di persone che si tenevano per mano. A ogni folata troppo forte il cerchio sbandava e spesso si rompeva, ma le formichine si sforzavano di riunirsi ancora e ancora, facendo rialzare coloro che erano caduti e facendoli rientrare nel cerchio. Non era possibile però recuperare tutti e chi non si sforzava di riavvicinarsi alle mani protese veniva trascinato via.

Ora il vento è diventato fortissimo, quasi un uragano. Pochissimi sono quelli che riescono a rimanere in piedi, saranno dieci, forse dodici tra uomini e donne: si accorgono che un cerchio non basta più e stringono allora in un anello stretto stretto, con le braccia intorno alle spalle dei vicini.

Danzano, danzano ruotando nel vento che li sposta un po' di qua e un po' di là ma non riesce più a rompere il cerchio.

Danzano...e quando uno cade gli altri si stringono ancor di più per sostenerne il peso.

Danzano...e danzando un po' alla volta si spostano verso le persone accasciate a terra, facendole entrare -come accudendole- nel grembo protetto del cerchio danzante.

Danzano...e dentro il cerchio un po' alla volta ne nasce un secondo e quindi un terzo.

Dal terzo cerchio si alza un canto, un canto di festa, che il vento non riesce a portare via.


E' passato più di un anno da quando feci questo sogno. Nel passare dei mesi ho sentito alzarsi il vento e ho visto persone cadere e non sempre rialzarsi. Come impegno per l'anno nuovo cercherò di vincere la mia natura di formichina solitaria per provare ad avvicinarmi ad altri che si sforzano di danzare nel vento, invece che farsi portare via.

 
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EduSphere - racconto arrabbiato in 6 puntate - cap. 1

Post n°34 pubblicato il 24 Novembre 2012 da duetalleri
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EduSfere

Capitolo 1.  La Sfera


“Succede a tutti la prima volta…” disse con un sorriso affabile l’uomo del Ministero, guardandolo da sopra gli occhialini ovali “vedrà che in poco tempo non solo apprezzerà appieno l’utilità della Sua EduSfera, ma addirittura essa Le si adatterà così a pennello che nemmeno si accorgerà di averla indossata. Per il resto, tutto chiaro, vero? Tasto verde per entrare e quando è dentro tasto azzurro per uscire. Allora, Professore, io La saluto e Le auguro un buon lavoro. E ancora complimenti per il Suo incarico!” . Vigorosamente, l’ometto strinse ancora una volta la mano del giovane dallo sguardo infelice per poi rivolgersi al corpulento installatore che con un panno stava dando l’ultima lucidatina alla superficie della Sfera. ”Mirko, ci sei? Forza andiamocene, che il nostro Professor Enrico ha da fare!” e se ne andò zampettando sulle corte gambette. Aveva pochi capelli riportati su un cranio lucente e scoperto anche se, ripensando alla scena, Enrico negli anni a venire lo avrebbe sempre ricordato con un cappello in testa, un alto cappello nero a cilindro. Che fesseria, il Ministero della Pubblica Istruzione non si perdeva in simili dettagli e mica passava cappelli ai suoi funzionari, né bassi né alti.

Enrico, anzi il Neo Professor Enrico, guardò con un accenno di residua diffidenza la nuovissima EduSfera parcheggiata di fronte a lui. Sapeva bene che ogni Professore ne aveva in dotazione una ma, ecco, vederne lì una col suo nome e sapere di doverla usare già il giorno successivo non lo riempiva propriamente di entusiasmo. Certo, sarebbe stato auspicabile fare subito un po’ di pratica ma dopo un paio di giri intorno alla…cosa…decise finalmente di aspettare ora di pranzo e il ritorno di sua moglie. Simona aveva sempre il potere di confortarlo e di ridimensionare anche problemi che a lui, senza il suo provvidenziale aiuto, sarebbero parsi immensi e insuperabili. Non era nato eroe, questo è certo. D’altro canto, quella non era una delle qualità richieste per poter avere l’abilitazione all’insegnamento. Per quello, bastava la EduSfera.

“Caro! Eccomi, sono tornata! Allora, come è andata? E la Sfera?”. Enrico si rianimò un poco sentendo la voce allegra della moglie e, dopo averla affettuosamente salutata, la condusse al giardino sul retro, dove aveva appoggiato la EduSfera.

“Ma è questa?” disse Simona guardando perplessa l’involucro semitrasparente dalla forma vagamente umanoide. “Non dico che non sia…ecco…bella, ma ti dirò che mi ero immaginata qualcosa di completamente diverso! Qualcosa che quantomeno somigliasse ad una sfera…” Enrico si schiarì un poco la voce e spiegò:

“Quando vennero utilizzate per la prima volta, intorno agli Anni Venti, le EduSfere avevano effettivamente una forma sferica.”

“Come certo sai,” continuò il professore a cui si scioglieva la lingua non appena avesse la possibilità di tenere una lezione, fosse pure alla sua paziente moglie “ la loro introduzione si rese necessaria per creare una barriera protettiva intorno all’insegnante in modo che non rischiasse lesioni permanenti a causa dell’indisciplina degli alunni. Si era dapprima provata una forma di insegnamento virtuale a distanza, ma i risultati in termini di preparazione e maturazione psico-sociale degli alunni erano stati a dir poco disastrosi. Nel mondo accademico quindi la prima EduSfera -più correttamente “SchulKugel”, per chiamarla col suo nome originario-nata su brevetto del Prof. Winklerhaus di Brema, fu accolta con grande entusiasmo; la sperimentazione delle SchulKugeln diede fin dall’inizio risultati talmente promettenti che immediatamente arrivarono richieste e prenotazioni da tutto il mondo. Il progetto fu quindi perfezionato giusto quel tanto da garantire un minimo di affidabilità ed in brevissimo tempo fu adottato dai Ministeri della Pubblica Istruzione di tutti i paesi civilizzati. A quel tempo, come già anticipato, il guscio esterno della EduSfera era pressoché sferico, con dei fori in basso per far fuoriuscire le gambe dell’insegnante. Questa soluzione tecnica garantiva una notevole separazione fisica tra insegnante e alunni, ma aveva alcuni importanti punti deboli: innanzitutto le gambe risultavano poco protette, in secondo luogo la sfera era piuttosto ingombrante rendendo i movimenti dell’insegnante particolarmente goffi, cosa già di per sé non positiva, impedendone per di più la posizione seduta. I primi modelli vennero così progressivamente sostituiti da nuove forme sempre più interattive e adattabili alla corporatura dell’utilizzatore, sino alle attuali EduSfere realizzate su misura e attivabili mediante riconoscimento di impronta retinica e digitale, come questa che vedi qui. Le caratteristiche di base rimasero in ogni caso le stesse, studiate in modo da dotare l’insegnante di un sistema di autodifesa attivo e passivo e, soprattutto, da favorire nell’utilizzatore l’instaurarsi di una visione del mondo consona allo svolgersi dell’incarico di insegnamento. In particolare, ogni EduSfera è dotata di un impianto neurale capace di potenziare il livello di propriocezione di chi la indossa inducendo uno stato lievemente sovraeccitato che a sua volta si esplicita in una incrollabile sicurezza di sé, una spiccata attitudine al controllo della situazione contingente e un filtraggio automatico degli imput indesiderati in ingresso, quali rumori molesti o altro. Nell’ultimo decennio si è avuta poi l’innovazione più importante: il perfezionamento del Sistema di Autoproiezione Imago.”

“Si tratta di quella cosa che fa sì che la EduSfera praticamente scompaia, una volta indossata?” chiese cautamente Simona approfittando di uno dei rari momenti in cui il marito rallentava il ritmo per prendere fiato. Di solito era un po’ infastidita dagli sfoghi di saccenza del marito, ma quel giorno non poteva fare a meno di accettarli di buon grado e anzi incoraggiarli tanta era la sua curiosità. Era infatti almeno da metà degli Anni Trenta che tutta la faccenda delle EduSfere era diventata pressoché top secret, quantomeno nei dettagli. Tutti ovviamente erano al corrente che gli insegnanti di ogni ordine e grado erano caldamente incoraggiati dal Ministero ad esercitare la loro professione utilizzando con continuità le EduSfere, che anzi venivano fornite gratuitamente. Anche se ufficialmente non erano classificate tali, di fatto venivano considerate alla stregua di dispositivi di protezione individuali obbligatori in quanto le assicurazioni si rifiutavano di risarcire i danni in caso di mancato utilizzo. Da quando era stato perfezionato il sistema Imago, nessuno al di fuori degli insegnanti aveva più potuto verificare quale fosse l’effettivo aspetto esterno di una EduSfera.

“Questo sistema” riprese Enrico “consente infatti di proiettare al di fuori della superficie della Sfera l’immagine presente al suo immediato interno, correggendo ovviamente la distorsione prospettica. L’effetto ottico risultante rende praticamente invisibile l’involucro della EduSfera, come giustamente hai detto tu. L’introduzione del sistema Imago ha ridotto di molto gli attacchi diretti agli insegnanti anche quando non sono protetti perché, di fatto, non è mai possibile avere la certezza che la persona stia indossando la Sfera o meno. E tutti sanno cosa succede ad attaccare una EduSfera attivata…”

 

...continua…

 

 
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EduSphere - racconto arrabbiato in 6 puntate - cap. 2

Post n°33 pubblicato il 24 Novembre 2012 da duetalleri
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EduSfere

Capitolo 2.  Galli da combattimento


Già, pensò Simona, cosa succedesse ad attaccare una EduSfera attivata non era un mistero per nessuno purtroppo. Come non lo era il fatto che in qualche modo le EduSfere manipolassero la psiche di chi le utilizzava, come se gli effetti indotti dal sistema neurale non fossero propriamente ”transitori”. Ma questo era un pensiero quasi eretico, e lo tenne per sé.

“Allora, da domani si inizia!” disse invece, simulando un caldo entusiasmo. “Come ti senti? Sarai emozionatissimo immagino…il tuo sogno finalmente si realizza!”

“Più che emozionato” gemette Enrico, di colpo tornato ad essere il timido ragazzo di sempre “sono in preda al panico…riuscirò mai ad abituarmi a quella cosa?”

Con un sospiro, Simona riprese il solito ruolo di mogliettina affettuosa e rassicurò il marito con un caldo lungo abbraccio che avrebbe voluto essere tenero ma suonò quasi come un addio. Preparò quindi un sostanzioso pasto che in breve rinfrancò l’animo di entrambi; passarono poi il resto del pomeriggio a provare e sperimentare tutti gli utilizzi della EduSfera. A sera, già le cose andavano molto meglio.

“E’ proprio vero” disse Enrico con un accenno di allegria, dopo aver finalmente riposto la Sfera, “dopo un po’ ci si fa l’abitudine e sembra quasi di non averla indosso”.

“Vedi un po’ di non abituartici troppo, non vorrei mai che prendessi l’abitudine di andarci anche a dormire…”

“E dài, ma lo sai che questo è l’incubo di tutte le mogli degli insegnanti di ruolo?”

“Ah, ecco…”

“Non ti preoccupare, averla indosso attutisce tutti i rumori e l’effetto è piacevole come avere entrambe le orecchie tappate: magari ci si abitua, ma non è per niente simpatico. Quindi, va da sé, non hai nulla di cui preoccuparti.”

Simona a quel punto cominciò a sentirsi vagamente inquieta. Ci impiegò un po’ a capire il motivo, poi nella sua mente si focalizzò il fatto che il marito aveva inserito ben due rassicurazioni nella stessa frase. Due rassicurazioni per lei, quando in sette anni di matrimonio era sempre accaduto il contrario. Cominciò quindi a preoccuparsi sul serio. Che la EduSfera stesse ancora facendo effetto? Eppure era lì, appesa con cura nell’atrio di ingresso.

Nonostante i timori di Simona, le cose procedettero senza inconvenienti per tutto il mese successivo. Enrico tornava a casa a volte stanco, a volte arrabbiato e a volte entusiasta per il buon esito della lezione quotidiana ma il suo carattere era rimasto sostanzialmente lo stesso. Appena abbandonata la EduSfera presso l’attaccapanni di casa, riacquistava la usuale insicurezza ma anche quella sua particolare gentilezza e sensibilità che tanto lo avevano reso caro al cuore di Simona. Spesso si lasciava andare a raccontare coloriti aneddoti di vita scolastica che sicuramente animavano le casalinghe serate autunnali. La sua storiella preferita riguardava quei professori che, alle riunioni del corpo docente, si dimenticavano di disattivare le EduSfere e pertanto davano corso ad apocalittiche dispute sui massimi sistemi: ognuno di loro era assolutamente certo della propria ragione in quanto non era in grado di comprendere le ragioni dell’altro, classificate come “rumore molesto” e pertanto automaticamente filtrate dal sistema di sicurezza. E pensare che sarebbe bastato che premere il famoso “tasto azzurro” per disattivare la propria EduSfera riportando la discussione ad un livello normale.

“Dovresti vederli” diceva il professorino “sembrano galli da combattimento”.

 

...continua…

 
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