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IL SACCHETTO DELLA FELICITA'

Post n°27 pubblicato il 02 Ottobre 2012 da duetalleri
 
Foto di duetalleri

Il Sacchetto della Felicità

 

 

 

Quando i nomadi Deinu si fermarono al paese e ci offrirono le loro variopinte mercanzie, tutti pensammo che sarebbe stato carino comprare loro qualcosa. I Deinu erano un popolo gentile e operoso, che viveva nel rispetto della terra da cui ricavavano solo lo stretto necessario per vivere. Nelle lunghe notti dei freddi inverni uomini e donne si ingegnavano in tantissimi tipi di artigianato, creando a seconda dell'estro e delle capacità complessi rompicapo intagliati nel legno, graziose bamboline e giochi per bambini, meravigliosi tappeti dai colori cangianti. Tutti oggetti che, anche quando non erano di alcuna utilità pratica, sempre portavano a chi li comprava una ventata di allegria e leggerezza. Per questo i nomadi erano ben accolti ovunque e quando si trovavano a passare dalle nostre parti, nei loro lunghi spostamenti primaverili, tutti eravamo ben contenti che si accampassero per qualche giorno alle porte del paese. Fu così anche quell'anno e io e mia cugina ci alzammo presto la mattina per andare a curiosare tra i banchi, in cerca di qualche ninnolo che ci aiutasse a stare allegre per un altro anno ancora. Dora scelse subito una sciarpetta con il ricamo di due agnellini che al solo guardali facevano una tenerezza infinita.

“Ho bisogno di coccole”, disse “quando guardo questo disegno mi sento amata e mi viene voglia di andare in giro ad abbracciare le persone! E tu, hai scelto?”.

Mi venne proprio da ridere... “Abbracciare tutti? Alla tua età? Mah, cugina cara, contenta tu...però è davvero una cosina graziosa. Ora però lasciami guardare un po', che ancora non ho trovato nulla per me...”

Una cosa che mi attraeva moltissimo a dire il vero l'avevo vista subito, ma sapevo che era un oggetto raro e prezioso...e le mie tasche erano ovviamente quasi vuote, come al solito. Si trattava di una fascia fatta di cordoncini rossi, azzurri e oro intrecciati tra loro, ripiegata su se stessa e cucita a formare una piccola tasca, grande a sufficienza perché un bambino potesse infilarci la mano. Era un oggetto grazioso ma non certo prezioso, di per sé, eppure... Anche se ne avevo visto uno solo in vita mia, tantissimo tempo prima, sentivo con certezza che quello non era un oggetto qualunque ma uno dei famosi “Sacchetti della Felicità”. Si narrava che contenessero dei grossi semi, tondi e duri, che crescevano solo nella terra natale dei Deinu; dentro ogni sacchetto c'era anche almeno un seme d'oro, all'aspetto identico agli altri ma che dopo qualche tempo si rivelava per ciò che era. Era sufficiente che il bimbo che l'avesse preso lo conservasse con sé fino a quel magico momento, cosa che poteva accadere dopo qualche giorno oppure mesi o anni. Un tempo era molto facile trovare in giro un Sacchetto della Felicità e quasi tutte le famiglie ne avevano uno; i semi che diventavano d'oro sembravano essere tantissimi e non c'era nessuno che non conoscesse almeno un'altra persona che ne avesse trovato uno...o almeno così diceva. Un po' alla volta, però, molti bambini si stufarono di star ad aspettare che i semi diventassero d'oro; si diceva che fosse tutta una truffa, che i sacchetti contenessero sempre meno semi preziosi o non ne contenessero affatto...così diventarono sempre meno di moda ed i nomadi, ammesso che ne producessero ancora, smisero di esporli sui banchi. Oh quanto mi sarebbe piaciuto poterne avere uno per i miei nipotini! Già mi immaginavo la luce che si sarebbe accesa nei loro occhi nell'infilare la manina nel sacchetto, già pregustavo l'attesa che avrebbe fatto palpitare i loro cuoricini. Certo, sarebbero rimasti un po' delusi nell'aprire la manina e scoprire, con ogni probabilità, un normalissimo seme marroncino; sapevo bene però che non avrebbero gettato i semi ma li avrebbero conservati a lungo con sé, al sicuro nella tasca più vicina al cuore, sbirciando dentro di tanto in tanto con rinnovata speranza. E sapevo anche, con assoluta certezza, che la delusione si dimentica mentre la speranza coltivata con costanza ci fa bene e ci aiuta a vivere.

“Le piace, signora? Perché non lo prende, le porterà tanta gioia” disse gentilmente la giovane venditrice porgendomi il sacchetto, che però non presi.

“Lo comprerei volentieri, ma non credo di potermelo permettere. So che è un oggetto molto prezioso.” I Deinu sono un popolo cortese, ma non stupido. Inutile fare finta che qualcosa non ci piaccia o non abbia valore per cercar di spuntare un prezzo migliore.

“E' davvero un oggetto prezioso, ma non costa molto”, disse un vecchio nomade che nel frattempo si era avvicinato. Anzi, diciamo pure ”un vecchissimo nomade” perché di certo aveva sulle spalle ancora più primavere di me.

“Come fa a costar poco qualcosa di tanto valore?”

“Lei sa perché si chiamano Sacchetti della Felicità, vero?”

“Certo, il bambino che trovasse il seme d'oro...” cominciai un po' seccata per il repentino cambio d'argomento, ma i suoi occhi antichi mi guardavano così intensamente che abbassai il tono di voce e sussurrai: “La felicità non sta nel trovare il seme, vero? Sta nello sperare che il mio seme possa diventare d'oro...”

“Forse”, disse lui, “o forse sta nell'essere certi che quello che ho scelto è un seme d'oro che ancora non posso riconoscere come tale. Comunque il costo di questo sacchetto è quello del semplice pezzo di stoffa, bella ma senza alcuna proprietà magica ”. Scrisse il prezzo su un foglietto, che mi porse. Era un prezzo veramente irrisorio anche se corrispondeva, in pratica, a tutto ciò che avevo in tasca. Lo pagai e finalmente presi in mano il sacchetto, vuoto. Il vecchio si chinò, tirò fuori da sotto il banco un pacchettino con dei semi e me lo diede. Ne versai il contenuto nel sacchetto e tirai i lacci.

“Allora è tutto qui” dissi, un po' delusa “Nessun seme d'oro”. Non so perché, eppure contro ogni logica mi sarei aspettata di vedere almeno qualche luccichio dorato.

“Ma certo che il seme d'oro c'è, altrimenti che Sacchetto della Felicità sarebbe? Solo che deve mettercelo dentro lei.” Mi fece l'occhiolino e sparì dietro la tenda.

Mia cugina, che non aveva seguito il discorso ma si era attardata a chiacchierare gaiamente con la giovane nomade, mi prese sottobraccio e mi trascinò via mentre ancora stavo borbottando tra me e me sulla faccia tosta che aveva avuto quel tipo, alla sua età poi. “E dove lo vado a prendere io un seme d'oro? E con quali soldi? Mica sbucano dal nulla!”. Di botto mi fermai. Che pensiero strano mi era venuto. Poteva mai essere? Quanti anni erano passati dall'ultima volta che avevo controllato il mio seme? Da bambina non passava giorno che non andassi a controllare se il miracolo fosse avvenuto, ma nell'ultimo decennio di certo non ci avevo più pensato...Non avrei mai potuto gettarlo, ero troppo affezionata a quel seme che avevo scelto tra tanti nel buio caldo di un sacchetto di cordoncino, all'età di sei anni. Cacciai quindi le dita nel piccolo taschino della mia casacca preferita e ne sentii sotto i polpastrelli la superficie sferica e rugosa. C'era ancora, per fortuna. Beh, ovviamente, visto che a suo tempo avevo cucito per bene l'apertura del taschino, lasciando solo un buchino per controllare. Per tirarlo fuori dovetti allentare un po' la cucitura, ma era vecchia e non oppose troppa resistenza. Ed eccolo lì il mio seme, tutto splendente d'oro, luminoso e quasi allegro nel sole del mattino. Era talmente bello che neanche volendo avrei avuto cuore di venderlo per mangiare qualche frittata in più. Prima che la mia svagata cugina se ne accorgesse feci scivolare il prezioso seme nel sacchetto, dove immediatamente tornò grigio e marroncino come tutti gli altri. Mi voltai un secondo a guardare verso il campo nomadi e, come mi aspettavo, il vecchio Deinu era lì che mi guardava, da lontano. Anche da quella distanza vedevo che aveva gli occhietti che brillavano di contentezza; mi fece un mezzo inchino e poi si incamminò tra la folla che ora cominciava a riversarsi tra i banchi di mercanzia.

“Che dici, Dora, andiamo?” dissi allora a mia cugina, che nel frattempo si era persa a contemplare un banco stracolmo di fiori di cristallo e di farfalle d'argento, “Dai che anche questa volta ci siamo guadagnate il nostro anno di allegria. E i nipotini ci stanno aspettando”.

 
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