Messaggi di Marzo 2011
Al Salon di rue des Moulins è un dipinto a pastello su carta di cm 111 x 132 realizzato tra il 1894 ed il 1895 dal pittore Henri de Toulouse-Lautrec. È conservato al Musée Toulouse-Lautrec di Albi. Sono rappresentate sei prostitute in attesa dei loro clienti: tutte completamente vestite. Lautrec, come al solito è più interessato ai visi delle "filles" che ai loro corpi, molto generalizzati e per la maggior parte coperti senza tratti di perversione o seduzione, le linee sinuose ,ottenute con un tratto molto sicuro e continuo, interpretano il gusto dell’Art Nouveau dell'epoca. L'ambiente rappresentato nell'opera appartiene a quelle case dette di quartiere, più modeste con un unico grande salone tappezzato di specchi, forse Lautrec in questo modo tenta di banalizzare gli scenari di queste case di basso ceto ed è ben lontano dalla rappresentazione dei "lupanari" aristocratici dell'epoca. Esiste anche una fotografia, probabilmente ideata da Lautrec, scattata da Sescau o Guibert dove si vede l'artista ed una modella nuda davanti all'opera terminata. La modella ha una lancia quasi per essere immortalata come in una rappresentazione "storica", al pari di un capolavoro accademico di Bouguereau, e quindi portatore anche di messaggi morali. Lautrec fu molto cauto ad esporre il quadro, anche se incoraggiato dal giornalista Arthur Huc probabilmente lo espose con le opere delle maisons closes nel 1896 alla galleria Manzi-Joyant.
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La Marchesa Anna Schiaffino Giustiniani (Parigi, 9 agosto 1807 – Genova, 30 aprile 1841), è stata una nobildonna e patriota italiana. Anna Schiaffino, sposa del marchese Stefano Giustiniani Campi, muore suicida a trenta anni per amore del giovane Camillo Cavour di cui ne fu amante, il 24 aprile del '41 gettandosi dalla finestra della sua camera di Palazzo Lercari a Genova. La sua storia è conosciuta per il cospicuo e romantico carteggio con Cavour e per essere stata animatrice di uno dei “salotti” politici repubblicani del primo risorgimento Italiano. Le lettere che si scambiarono e che sono giunte sino a noi in parte furono ritrovate dal collezionista americano Henry Nelson Gay nello stipo segreto di uno scrittoio appartenuto all’avvocato di Stefano Giustiniani, in parte sono state recuperate fra le carte private di Cavour: strette da un nastro assieme a una ciocca dei biondi capelli di Nina. Anna, ma da tutti chiamata semplicemente “Nina”, nasce a Parigi la mattina del 9 agosto 1807, da Maddalena Corvetto e dal barone Giuseppe Schiaffino. La piccola si trova subito immersa nel clima d'una grande epopea. La sua formazione culturale, nel gran palazzo parigino di Rue des Moulins, è sicuramente più libera e liberale di quella delle sue coetanee nobili ed Italiane. Appena diciannovenne Nina è presentata a uno dei più illustri rappresentanti della nobiltà genovese, il marchese Stefano Giustiniani un giovane di ventisei anni, compassato, di media statura e tarchiato. Uomo compassato fino alla noia, scettico sino al cinismo, pronto all’astuzia e all’intrigo, che propugna le idee più reazionarie del tempo, ancorchè al servizio della corte Sabauda, e Nina, abituata al clima della “nouvelle noblesse” napoleonica, sente assai lontano da sé quel giovane. La sorte vuole però che Stefano la chiedesse in sposa e che i genitori di lei acconsentano, soprattutto la madre che vuole che la figlia abbia, almeno dal punto di vista economico, una vita tranquilla. Nina,dal 1827 tiene salotto, un salotto politico, d’opposizione, lei stessa è una fervente mazziniana, molto schierata; del resto era così di carattere, senza mezze misure. Fra i frequentatori del salotto ci sono anche molti giovani ufficiali della guarnigione militare di Genova, tra questi spicca per cultura e capacità dialettica un giovane ventenne robusto e prestante dall'aria furba: Camillo Benso conte di Cavour (“Verrà il giorno- gli scrive nella prima lettera - nel quale il suo ingegno sarà messo in evidenza”..). Siamo nel 1830, Anna ha venti tre anni e già due figli. Cavour legge e studia molto. Si avvicina alle idee liberali e, per questo motivo, entra in attrito con la sua famiglia. Torino gli sta stretta ed il salotto di casa di Giustiniani, gli appaiono pieni di vita e di fermenti. Il suo spirito e la sua intelligenza iniziano ad attrarre Anna, ma non si può ancora parlare d'amore fra i due. Da quel momento la sua vita è segnata. I due si innamorano, e da allora Nina è assorbita totalmente da questa passione. Curioso che il marito ne sia a conoscenza ma non faccia nulla per impedirlo («Quella per il tenente Cavour? È solo una passione». «La verità è che Nina non è in possesso delle sue facoltà mentali») Cavour viene richiamato a Torino il 15 dicembre del 1830. Un mese prima Mazzini è stato arrestato come carbonaro e rinchiuso nella fortezza di Savona. Il clima insurrezionale a Genova inizia a farsi incandescente e le prese di posizioni liberati del “contino giacobino”, come lo definirà re Carlo Alberto, non piacciono a corte. LA LETTERA DI CAVOUR Lo spirito ribelle ed indomito di Nina è ben rappresentato quando alla morte di Carlo Felice si presenta in teatro con Teresa Durazzo, Carolina Celesia, Fanny Balbi Piovera e Laura Dinegro per più sere con abiti sgargianti, invece che i vestiti neri a lutto. I loro abiti sui toni dell’azzurro, del rosso, del porpora e dell’ocra sono un urlo di ribellione, un inno alla perduta indi pendenza della repubblica di Genova asservita dal Congresso di Vienna a quella casa reale e a quel re che è appena morto. Ricordiamo che Anna Schiaffino è moglie del marchese Stefano Giustiniani che del re appena scomparso è stato gentiluomo da camera. Un uomo che a corte è di casa ed è noto per le sue idee conservatrici per non dire reazionarie. Nella notte tra il 23 e il 24 aprile del 1841, Ninna tenta per una terza fatale volta il suicidio, si getta dalla finestra della sua camera di Palazzo Lercari, in via Garibaldi, in coincidenza dell'anniversario del primo incontro con Cavour. Il salto di undici metri non basta a stroncare all'istante la vita di Anna che deve aspettare alcuni giorni prima di spirare. “La donna che ti amava è morta - scrive Nina nella sua ultima lettera a Cavour - ella non era bella, aveva sofferto troppo. Quel che le mancava lo sapeva meglio di te. È morta, dico, e in questo dominio della morte ha incontrato antiche rivali. Se essa ha ceduto loro la palma delle bellezza nel mondo ove i sensi vogliono essere sedotti, qui ella le supera tutte: nessuna ti ha amato come lei. Nessuna!”.
http://www.giustiniani.info/ninagiustiniani.pdf |
La Galleria Bottegantica, con il patrocinio della Provincia di Milano, apre la nuova stagione espositiva 2011 con una grande mostra dedicata a Giovanni Boldini; saranno esposti alcuni fra i più importanti capolavori dell’indiscusso maestro del ritratto nonché opere totalmente inedite provenienti dall’Atélier dell’artista, autenticate e catalogate dalla moglie Emilia Cardona. Nel catalogo della mostra saranno inoltre pubblicate alcune fotografie inedite che documentano l’allestimento della storica retrospettiva su Boldini tenutasi nel 1963 presso il Musée Jacquemart-Andrè di Parigi. Saranno una sessantina le opere esposte, fra le quali gli incantevoli ritratti di Irene Catlin, della marchesa Franzoni, della Principessa C. d’Isemburg-Birstein,dell’attriceJane Renouardt,della moglie Emilia Cardona e diMrs. Lydig;oltre ai celebri The summer stroll, La Lettera, La visita e Al parco, tutti eseguiti fra il 1872 e il 1874. Solo pochi tratti, ma intrisi di dinamica essenza, lasciano l’indiscutibile e fascinoso segno di un artista che ha saputo essere unico nelle opere inedite che la Galleria Bottegantica presenta in anteprima: un Autoritratto,Le amiche al cabaret,Signora in abito lungo (studio preparatorio per il Ritratto di Donna Franca Florio), Al «Vestiaire»,Prove d’orchestra,Conversazione al caffè(Parigi), che sul retro riporta un ulteriore disegno a matita, le Figure sedute al caffè,Folla a teatro,leGondole a Venezia e un ulteriore piccolo gioiello, come leGondole in laguna,oltre aNudo sdraiato,Studio per Spettatori di un teatrino ambulante eAbito e ombrello sul letto, solo per citare alcuni fra gli inediti. La danza vertiginosa del pennello sulla tela, incomparabile tecnica del maestro ferrarese, che ha tracciato aristocratici e raffinatissimi ritratti delle donne più belle dell’alta società e borghesia internazionale dell’800, è la stessa che Boldini fa compiere alla matita e ai pastelli sulla carta. La straordinarietà di quel vortice artistico e gestuale che racchiude figure, paesaggi e oggetti non manca di stupire e creare grande ammirazione in questi disegni che dopo la mostra di Milano verranno esposti a Parigi. Giovanni Boldini, breve ritratto storico-critico (abstract dal saggio in catalogo di Stefano Bosi e di Enzo Savoia)
Uomo allegro e curioso, Boldini (1842-1931) raccolse nella sua casa-atélier di boulevard Berthier le immagini della Parigi della Belle Epoque, le carrozze con i loro cavalli in corsa, la pioggia e la neve sui boulevards, tutti i segni di una borghesia indaffarata e felice, scene di genere di piccole dimensioni e ampie viste sulla città, brillanti paesaggi suburbani, e rappresentazioni informali di musicisti, artisti, e frequentatori dei caffè. Boldini iniziò la sua formazione artistica in tenera età, imparando soprattutto dal padre Antonio, pittore e restauratore di una certa fama a Ferrara. Il giovane Boldini non ebbe una formazione accademica regolare e dopo aver ereditato una cospicua somma di denaro dal prozio, decise di trasferirsi a Firenze nei primi mesi del 1864. A quel tempo, Firenze era sede di una comunità di giovani artisti, i cosiddetti Macchiaioli, con i quali Boldini fece presto amicizia e dai quali fu ispirato e, probabilmente, aiutato a rinnovare il proprio repertorio iconografico. Boldini fece il suo primo viaggio a Parigi nel maggio 1867, e in una lettera scritta subito dopo il suo ritorno a Firenze affermò: “tutto il mio pensiero finché starò qui sarà quello di pensare per andare a stabilirmi a Parigi”. Nell’ottobre 1871 lasciò Firenze senza rimpianti, conservando tuttavia alcune amicizie e ritornando talvolta a respirare l’aria delle colline toscane nella villa di Collegigliato, presso Pistoia, degli amici inglesi Falconer, villa che poi acquisterà dandole il nome di Falconiera. Come a Firenze Boldini aveva accolto il messaggio naturalista dei Macchiaioli, così a Parigi, richiamato dal prestigio cosmopolita della capitale francese dove risiedevano i grandi mercanti d’arte come Adolphe Goupil, si era accostato al sorgere dell’Impressionismo. A Parigi strinse una forte amicizia con Degas con il quale condivise l’uso di tecniche artistiche allora inconsuete, come il disegno, l’incisione e soprattutto il pastello, medium antico ma “rilanciato” proprio dall’artista francese nei primi anni Settanta, adatto agli abbozzi, studi e rapidi schizzi della vita moderna amati da impressionisti e pittori alla moda. Su questa scia Boldini sperimentò inquadrature e soluzioni formali inedite che poi tradusse sulla tela con straordinaria spontaneità. Lo testimoniano bene le sue piazze animate, i suoi giardini freschi di rugiada, le slanciate apparizioni femminili, le vedute veneziane fasciate di luna e i suoi disegni col guizzo del genio, come pure i suoi ritratti che lo resero celebre in tutto il mondo. Alla fine del XIX secolo i dipinti del maestro ferrarese erano diventati ormai tra le icone più significative della Belle Epoque, oggetti del desiderio di coloro che aspiravano a provare quelle sensazioni non encore éprouvées e che trovarono il proprio interprete nel Des Esseintes, protagonista del romanzo A rebours (1884) di Joris-Karl Huysmann. Con l’aprirsi del nuovo secolo Boldini, geniale come sempre, ebbe il coraggio di rinnovare la propria arte, dedicandosi a composizioni più audaci, animate da uno straordinario dinamismo e da segni astratti: specchio di una tensione artistica profonda, di un desiderio di superamento dei propri limiti che generò spesso malcontento e ansia nel pittore. Una insoddisfazione rivolta prima di tutto alla propria opera che, pur portando a sperimentazioni inedite con risultati per certi versi affini a quelli della contemporanea avanguardia futurista, continuò tuttavia a trarre fondamento da quel sapiente virtuosismo tecnico che aveva garantito a Boldini fama e successo in tutto il mondo fin dall’inizio la sua carriera. http://www.giovanniboldini.org/
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Trovandosi a Parigi, vale la pena un passaggio al Palais De Tokyo. Alla prima occhiata risulterà alquanto bizzarro affacciarsi agli ampi finestroni del Palais che offrono un punto di vista unico verso l'elemento più caratterizzante della Ville Lumière, la Tour Eiffel, per poi ritrovarsi in un ambiente prettamente nipponico. Oggettistica giapponese di ogni genere, mostre d'arte, performances live, un ricco calendario di eventi di ogni genere e un ristorante giapponese tra i più tradizionali che si possano trovare a Parigi. Il Palais De Tokyo rappresenta una delle più riuscite testimonianze d'oriente in Europa. PALAIS DE TOKYO, Nomiya Space Restaurant: semplicemente spettacolare... |
Nel 1909 Gustav Klimt partecipa alla seconda mostra della Kunstschau Wien. Tra le altre vi figurano anche opere di van Gogh, Bonnard, Matisse e Munch. Lo stesso anno effettua un viaggio a Parigi. Ha modo di conoscere meglio l'opera di Toulouse-Lautrec e la pittura dei "Fauve".La linea nervosa di Toulouse-Lautrec e l'energia cromatica di Matisse, Bonnard e Munch suscitano in Klimt l'esigenza di una nuova freschezza. L'artista conferisce maggiore vitalità e leggerezza alla linea. Abbandona definitivamente l'uso dell'oro. |
La Sainte-Chapelle é stata costruita nella seconda metà del XIII secolo dal re Louis IX, per custodire le reliquie della Passione di Cristo: la corona di spine e un pezzo della Croce. Ornata da uno stupendo insieme di quindici vetrate e da un grande rosone che formano dei veri e propri muri di luce, la Sainte-Chapelle rappresenta un gioiello dell'arte gotica. I finestroni lavorati sono alti ben 15 metri e si elevano fino al tetto, separati gli uni dagli altri da sottili montanti che terminano in eleganti pinnacoli. La Sainte Chapelle è divisa in due piani: la cappella inferiore è dedicata alla Vergine la cui statua è proprio all'ingresso. L'interno riempie di stupore per il locale piuttosto piccolo ma armoniosamente progettato con abside poligonale. http://sainte-chapelle.monuments-nationaux.fr/ Attualmente sconsacrata, costituisce spesso lo sfondo suggestivo per concerti e rassegne musicali.
http://www.classictic.com/it/Concerto-di-Pasqua-a-La-Sainte-Chapelle/16933/114057 |
“Potrei benissimo rimanere ospite del cielo in cima al Duomo di Milano”. (Hermann Melville) “ Un grande sfavillio di marmi proviene dalle ampie falde del tetto, dove il caotico addensarsi di pinnacoli che sorreggono statue, simili agli alberi di una flotta o alle picche di un esercito, ferisce l’impalpabile azzurro; ma da qui soprattutto si gode il più bel panorama della Lombardia, addormentata nella sua compatta... luce transalpina, simile, con quelle sue case bianche e le cuspide all’orizzonte, ad un vasto mare verde, punteggiato di navi. Dopo due mesi di Svizzera, la pianura lombarda offre un intenso riposo alla vista, e la luce gialla, liquida, liberamente fluente, quasi che i vasi celesti si fossero riversati nella prediletta Italia, acquistava per me un fascino tale da farmi pensare alle grandi e opache montagne come ad un’invasione blasfema degli spazi atmosferici.”
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Figlio del pittore postimpressionista Giovanni Giacometti e di Annetta Stampa, cominciò a disegnare, a dipingere e a scolpire assai giovane. Dopo aver frequentato la Scuola di arti e di mestieri di Ginevra, nel 1919, si iscrisse a Parigi ai corsi di scultura di Émile-Antoine Bourdelle, all'Accademia della Grande Chaumière nel 1922. Disparate esperienze culturali orientarono in direzioni diverse la sua operatività di questi anni. Lo testimoniano i suoi disegni, caratterizzati dalla frantumazione cubista, analitica, di ogni dettaglio, e sculture. Nel 1928 Giacometti entrò a far parte del gruppo surrealista (con cui ruppe nel 1935, pur partecipando alle mostre fino al 1938). In questo periodo, sul lavoro a memoria prevalgono l'immaginazione e, spesso, l'inconscio, che conducono Giacometti alla creazione di sculture assai importanti per l'idea surrealista di oggetto a funzionamento simbolico: Uomo e donna, (Parigi), e Boule pendu (Sfera sospesa, del1930, Kunsthaus di Zurigo): una forma sferica oscillante che sfiora una mezza luna allungata dentro un'ingabbiatura di ferro, introduce il problema dello spazio e della sua delimitazione, che da allora si precisa come una costante della ricerca estetica di Giacometti.
Le sculture ritraggono i modelli preferiti di sempre: il padre, la madre, la moglie Annette, la sorella Ottilia, il nipote Silvio e i fratelli Diego e Bruno. Il ritratto del 1937 di quest’ultimo, ad esempio, si rivela attraverso un modellato tormentato che prova la difficoltà di trovare una forma che corrisponda alla visione, evidentemente non in senso ottico-scientifico, della figura umana. Sempre del 1937 è il busto Ottilia, scolpito dopo la tragica morte della sorella e forse per questo, esempio prematuro di quella fase riduzionista che Giacometti attraversa negli anni quaranta: in questo periodo le figure diventano piccolissime, fino quasi a scomparire sopra lo stesso piedistallo. Un secondo gruppo propone invece un campione rappresentativo dei lavori del dopoguerra: figure intere maschili e femminili, un Homme qui marche, una Femme debout del 1952 a figura intera immobile, corrosa ed evanescente, una Femme de Venise e diversi busti della moglie Annette.
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Nella residenza newyorkese di Robert Sterling e Francine Clark alle pareti erano appesi una ventina di quadri tra Monet, Pissarro, Renoir, Sargent, Manet e altri maestri dell'Ottocento francese. Un insieme di capolavori che i due anziani collezionisti avevano deciso di affidare, insieme al resto della loro raccolta, non a un grande museo di New York o Washington, ma al Williams College, università a indirizzo umanistico di Williamstown (Massachusetts) dove aveva studiato nonno Clark, prestigiosa ma defilata e certamente al di fuori dei principali circuiti dell'arte. http://www.clarkart.edu/ Lo Sterling and Francine Clark Art Institute, che da oggi al 19 giugno approda al Palazzo Reale di Milano con la sua collezione di 71 capolavori francesi dell'Ottocento, da Toulouse-Lautrec a Monet, da Degas a Corot, da Morisot a Renoir, di cui Clark è stato uno dei principali collezionisti al mondo e di cui vengono presentati ben ventuno dipinti. In effetti, Robert Sterling Clark, uno dei più importanti collezionisti americani del Novecento, aveva già salvato a fatica i suoi quadri da due guerre mondiali visto che costruirsi un proprio museo era stato il sogno di tutta la sua vita, ma soprattutto la logica conseguenza di un contegno ostinatamente indipendente e appartato: una precoce fregatura (un Ghirlandaio restaurato spacciatogli come integro) l'aveva convinto a guardare con definitivo sospetto a mercanti, consulenti e storici dell'arte, spingendolo anche a negare qualsiasi prestito di ogni sua opera e, sul mercato, a fare da sé, fidandosi della sua impressionante capacità di individuare, inseguire e quindi far propri dipinti di altissima qualità. Va detto che Sterling Clark era bello, ricco, indipendente, si era laureato in ingegneria civile, era stato soldato ed esploratore in Cina (la partecipazione alla repressione della rivolta dei Boxer gli era valsa una stella d'argento) e tra gli amici, molti dei quali ignoravano la sua attività di collezionista, era noto soprattutto come allevatore di cavalli e amante delle competizioni ippiche (nel 1954 il suo purosangue Never Say Die avrebbe perfino vinto il prestigioso derby di Epsom). Poi (cavalli a parte), tutto era cambiato e Clark si era trasformato in un vero parigino con passaporto americano. L'arte aveva preso il sopravvento (i suoi stessi genitori erano discreti collezionisti): suo scopo iniziale, complice una disponibilità economica non comune, era stato quello di arredare sontuosamente il suo nuovo appartamento, poi era stato conquistato da autentica passione. All'attrazione per il Rinascimento era subentrata quella per la pittura americana e gli impressionisti francesi. Il risultato era stato una collezione di grande livello, raccolta nei decenni tra New York e Parigi, dove Clark, in rotta con la sua ricchissima famiglia, si era trasferito per oltre dieci anni in piena Belle Époque. Qui aveva conosciuto Francine Juliette Modzelewska (in arte Francine Clary), bellissima attrice della Comédie Française che, inasprendo ulteriormente il dissidio con la sua famiglia, era poi diventata sua inseparabile compagna e suo «punto di riferimento» nel giudizio sui dipinti. Così, a poco a poco, la sua casa era diventata un piccolo museo, caratteristica che, come abbiamo visto, aveva conservato anche quando i coniugi Clark, in fuga dalla guerra, erano tornati a New York con quadri, argenti inglesi, stampe pregiate e una preziosa biblioteca. |
Lunedì, a Santa Marta, in California, è toccato anche a Jane Russell. Era il giorno degli Oscar. Lei non ne aveva mai vinto uno, non era nemmeno mai stata nominataSi è spenta nella notte degli Oscar. Aveva 89 anni. La lanciò «Il mio corpo ti scalderà», la consacrò «Gli uomini preferiscono le bionde» con Marilyn Monroe ambientato a Parigi. La sua carriera cinematografica, iniziata nel pieno della seconda guerra mondiale, non fu molto lunga, appena una quindicina d'anni, eppure alcuni dei non molti film che ha interpretato sono entrati nella storia del cinema. A partire da quello che la lanciò nel 1943, Il mio corpo ti scalderà. Un western atipico, psicanalitico, notturno, che racconta per l'ennesima volta la storia di Billy The Kid. Lei era Rio, la donna del bandito. Proprio la sua sensualità, il vitino di vespa sovrastato da un petto prorompente, esaltato da una scollatura accentuata dalla spallina del vestito che cadeva sul braccio, creò un sacco di problemi con la censura. Il film uscì solo nel 1950 e in versione censurata. Ma intanto le fotografie di lei distesa o seduta sulla paglia erano diventate popolarissime tra i soldati impegnati sui vari fronti bellici e divenne una delle pin-up più amate. Nonostante i tagli, comunque, la scena del bacio a metà film, con le sue labbra carnose che avanzano verso l'obiettivo (e quindi lo spettatore), resta una delle più memorabili di ogni tempo. |
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