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la musica, suonare il pianoforte, suonare il mio violino, la luce del tramonto, ascoltare il mare in una spiaggia deserta, guardare il cielo stellato, l’arte, i frattali, viaggiare, conoscere e scoprire cose nuove, perdermi nei musei, andare al cinema, camminare, correre, nuotare, le immagini riflesse sull’acqua, fare fotografie, il profumo della pioggia, l’inverno, le persone semplici, il pane fresco ancora caldo, i fuochi d’artificio, la pizza il gelato e la cioccolata


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l’ipocrisia, l’opportunismo, chi indossa una maschera solo per piacere a qualcuno, l’arroganza, chi pretende di dirmi cosa devo fare, chi giudica, chi ha sempre un problema più grosso del mio, sentirmi tradito, le offese gratuite, i luoghi affollati, essere al centro dell’attenzione, chi non ascolta, chi parla tanto ma poi…, l’invidia, il passato di verdura





 
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Post n°468 pubblicato il 18 Aprile 2014 da enodas

 

 

Era inevitable: el color de las almendras amargas le recordaba siempre el destino de los amores contrariados...

 

Era inevitabile. Che se ne andasse, prima o poi. Anche se persone così grandi, con un talento talmente enorme da diventare un nome familiare, ci sembra a volte abbiano quel potere di farci pensare che saranno per sempre. Certo, in un certo senso sarà così. Cento anni, altri cento e ancora cento. Di sicuro, resterà per me, le sera passate a divorare le pagine, i momenti in cui ho chiuso gli occhi ed ho ascoltato le voci di un mondo che usciva dalle pagine. Cantava la solitudine come non saprei dire, in ogni personaggio, in ogni storia che ha raccontato, e la proiettava nei suoi mondi immaginari e fantastici. Penso al finale dei Cent'anni, ora che leggo una pagina virtuale aperta sullo schermo. Ed ho come l'impressione che a chiudere gli occhi sia stata una persona che conoscevo, che mi ha preso per mano e mi ha raccontato. Attraverso ogni libro. Attraverso una vita spesa nel talento e nell'impegno. Credendo e cercando. Col dono di saper incantare.
Tornerò allo scaffale ed aprirò nuovamente quelle pagine, anche se sarà un po' diverso. Mi é entrato nel cuore, con la sua penna e quel suo mondo che senza averlo immaginato andava a legarmi attraverso fili lunghissimi e sottili a ricordi e pensieri.
E mi mancherà.

 

 

Muchos años después, frente al pelotón de fusilamiento, el coronel Aureliano Buendía había de recordar aquella tarde remota en que su padre lo llevó a conocer el hielo. Macondo era entonces una aldea de veinte casas de barro y cañabrava construidas a la orilla de un río de aguas diáfanas que se precipitaban por un lecho de piedras pulidas, blancas y enormes como huevos prehistóricos. El mundo era tan reciente, que muchas cosas carecían de nombre, y para mencionarlas había que señalarlas con el dedo. Todos los años, por el mes de marzo, una familia de gitanos desarrapados plantaba su carpa cerca de la aldea, y con un grande alboroto de pitos y timbales daban a conocer los nuevos inventos. Primero llevaron el imán. Un gitano corpulento, de barba montaraz y manos de gorrión, que se presentó con el nombre de Melquíades, hizo una truculenta demostración pública de lo que él mismo llamaba la octava maravilla de los sabios alquimistas de Macedonia...

 

 
 
 
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