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l’ipocrisia, l’opportunismo, chi indossa una maschera solo per piacere a qualcuno, l’arroganza, chi pretende di dirmi cosa devo fare, chi giudica, chi ha sempre un problema più grosso del mio, sentirmi tradito, le offese gratuite, i luoghi affollati, essere al centro dell’attenzione, chi non ascolta, chi parla tanto ma poi…, l’invidia, il passato di verdura





 
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Post n°512 pubblicato il 05 Dicembre 2014 da enodas

 

 

C'é un fiume a Valencia, che attraversa la città e, tra un paio di curve, arrive ino al mare. E' un fiume verde, perché l'acqua non c'é più, deviata dopo un'alluvione disastrosa, un parco lungo chilometri, sottoelevato, sormontato da ponti, che respira all'unisono con chi abita qui.
Tra terra e mare, la prima é storia, mercato e la gestione di una campagna ricca di acqua e generosa di frutti, la seconda una baia infinita, i profili del porto dietro una lunghissima striscia di sabbia. Fa impressione arrivare qui, una sera di fine novembre, dove tutto sembra un'eco dormiente, quasi lontana, di un mondo pieno di vita ora lasciato a se stesso. Cammino strizzando gli occhi, ogni tanto, quando parte una folata di vento e sento i granelli di sabbia impattare sul viso ed il sapore del mare. Innato, sale alle narici, entra nel profondo, sempre, ogni volta che un orizzonte piatto si affaccia, lontano, come una linea sottile ed inafferrabile.

 

 

Almeno così, la sera nel centro. Gioia di vivere. Credo anche più di quanto possiamo intenderla noi. Nelle strade, nel clima mite che riempie i tavoli fuori, sui marciapiedi e nei vicoli, così come nelle piazze. Quelle stesse che si riempiono di figure danzanti in abiti tradizionali. Di fronte al profilo di chiese che, quasi agglomerate una sull'altra, preservano nascosta una fede profonda.
E' qualcosa che non si può piegare, ma che ormai credo abbia lo stesso colore della luce e la stessa intensità dell'azzurro del cielo, dell'azzurro del mare, anche una sera di fine autunno, su un litorale deserto spazzato da folate di vento.

 

 

Forse é un'astronave. O il profilo di un'onda. O forse la volta scheletrica di una cattedrale. O forse un occhio che mi fissa, ancora più profondamente quando si accende nella notte. Al termine di quel fiume verde c'é qualcosa di strabiliante. Una selva di linee che mi seguono, mi catturano, mi conducono attraverso un mondo fantastico. Un mondo di acqua, di terra, di cielo e di spazio profondo. Perché é mano umana quella che disegna, nello spazio tridimensionale, ma é natura, innata come la conosciamo, quella che vi interpretiamo. Muta, continualmente, con la luce del giorno ed i colori della notte, quasi estraendo dalla mente stessa le sue forme, rievocate, così, in una tela nella quale mi muovo, io, in prima persona, diventando sempre più piccolo man mano che mi avvicino, riflettendendomi su un pelo d'acqua stesa ad arte, come uno specchio, e poi un altro ancora, perché tutto ciò che vedo si moltiplichi, in un'altra dimensione, quella che non esiste, un mondo sottosopra che esalta le simmetrie, ritrasforma tutto quello che già avevo visto, sotto un disegno nuovo che era nella mia mente ma ancora non conoscevo.

 

 

Penso che questo sia un po' uno di quei luoghi dell'anima. Quando esco ed é buio, e tutto é illuminato ad arte. Quando le strutture bianche, i vetri scuri e le acque immobili risplendono su una cortina buia. Non fa freddo. Ed io cammino, piccolo così, come altre ombre che si muovono su uno sfondo candido, ogni voce é un brusio attenuato, e tutto questo spazio, questo silenzio che non é silenzio, si fondono nella bellezza di questo piccolo mondo nascosto sul letto di un fiume.

 

 

 
 
 
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