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Post n°551 pubblicato il 27 Maggio 2015 da enodas

 

 

 

La Rosa di Fuoco era Barcellona. Una mattina d'estate, agli inizi del Novecento, prese questo nome. Un mondo sta scomparendo, avviato a quel cambiamento che avrà come spartiacque la Grande Guerra. Il mondo borghese ha affinato una nuova sensibilità del gusto, sta conoscendo la modernità e le sue conseguenze. A fianco, gli invisibili, la parte della società che pagava dazio a quella stessa modernità e popolava i sobborghi di un'altra città, ai margini della prima, una polveriera pronta ad esplodere. Anche tra le vie della città catalana.
La Rosa di Fuoco non é soltanto un nome evocativo, che associa passione e furore, ma é anche un nome passato alla storia per indicare eveti di sangue e battaglie sociali. Proiettata in avanti dall'Esposizione Universale di fine secolo, che celebrava sviluppo economico, culturale ed urbanistico, Barcellona viveva la sua Renaixenca.
A cavallo di questa epoca, coinvolti in un vortice, gli artisti si interrogavano, scomponevano, indagavano nuove forme e nuovi canoni di bellezza e di rappresentazione della realtà. Il più geniale degli architetti ed il più graffiante talento della pittura del suo tempo provenivano da Barcellona. L'uno viaggiava, sconvolgeva l'ambiente parigino col suo talento e figurativamente era capostipite di quegli artisti catalani che dalla capitale francese importavano una visione nuova; l'altro costruiva edifici arditi e quasi fiabeschi sfidando la gravità ed ammirando la natura, per riportarla in pietra.
Accanto a loro fluiva il genio di altri nomi nell'indagare la società del loro tempo, e la sua espressione più potente, quella donna fatale, quasi dotata di poteri magici ed ancestrali. E poi, quella esausta sul divano dopo un ballo, quella abbandonata agli effetti della morfina, quella assorta nella lettura di un romanzo. Sulla tela si svolgevano istantanee di vita moderna, tra café e locali notturni, tornava il teatro, e cartelloni riempivano gli spazi della città raggiungendo anche i ceti più popolari, mentre il paesaggio compariva marginalmente nell'interpretazione, al limite dell'astratto, di una profusione di colori.
Di contro, quasi vittime di quella stessa esplosione economica e sociale, gli ultimi vivevano relegati in un inferno urbano e quotidiano. Sugli ultimi, quasi spettri, sui miserabili, si concentrava il racconto della solitudine e del dolore, della sofferenza di sopravvivere in un mondo che procedeva ad un'altra velocità. E lo facevano con un colore ben preciso, un blu che era sensazione di freddo ed assenza di spirito. Del resto, di questa spietata visione, la fine stessa di Gaudi fu racconto inclemente: travolto da un tram, rimase per ore sul ciglio di una strada, tradito dagli abiti modesti che lo fecero scambiare per un barbone, prima di essere trasportato in in ospedale cittadino, dove mori' in pochi giorni. Cosi' la Rosa di Fuoco era anche distruzione e disgregazione della coscienza umana.

 

 

Sono arrivato attratto da questo titolo, questo nome quasi magnetico nell'associaretumulto e delicatezza. Mi sono trovato immediatamente nel mondo rovesciato di Gaidi e nelle proiezioni immaginate che evocavano le foto alle pareti. Eppure... eppure, mi sono presto perduto, lungo un percorso che abbozzava, suggeriva, ma continuamente mi sembrava povero e mancante. Cosi' che, rileggendo me stesso, adesso, colgo il significato, passaggio dopo passaggio, di una storia suggerita ma, a mio parere non ben raccontata. Piuttosto breve, un po' carente. Sono uscito deluso, con la sensazione che un po' le parti fossero accozzate dietro un nome ed un'idea affascinanti. E non parlo dei nomi. Anzi, alcuni sono stati stupore e piacere, sguardo nuovo e diverso. Mancava tutto il fuoco, da narrare.
Resteranno impressi lo sguardo di un giovane Picasso, emerso d'istinto su un foglio ingiallito e da un carboncino veloce, la stanchezza di una donna esausta in un salotto d'inizio secolo, ma soprattutto quel blu insistente che chiudeva il percorso espositivo. Toccante, fortemente indagatore, ed estremamente sofferente, l'immagine di chi rimane ultimo e distante, cosi' come l'aveva saputo cogliere questo gruppo di artisti catalani. Profondi, come il colore che li accompagna, scendono nell'anima.

 

 

"La rosa de fuego. La Barcellona di Picasso e Gaudí evoca la straordinaria fioritura che, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, ha cambiato il volto della città catalana e ne ha fatto uno dei più effervescenti centri dell’arte e dell’architettura in Europa.
I capolavori di Antoni Gaudí e di Pablo Picasso rappresentano i vertici assoluti di questo periodo aureo, accanto alla produzione non meno significativa di un’ampia cerchia di architetti, pittori, scultori, musicisti, poeti, scrittori e drammaturghi, protagonisti di quel movimento di rinnovamento artistico e culturale che ha preso il nome di modernismo catalano.
La mostra presenta un ritratto a tuttotondo della scena artistica di Barcellona tra il 1888 e il 1909, mettendo in luce la sua variegata fisionomia. L’entusiasmo per il dinamismo della vita moderna convive con la consapevolezza delle profonde lacerazioni che proprio la modernizzazione portava con sé. Di qui il titolo della mostra – “la rosa de fuego” – nome in codice attribuito all’epoca a Barcellona in alcuni circoli anarchici internazionali a causa delle aspre tensioni sociali che ne hanno contraddistinto la storia.
Di questi orientamenti si fanno, di volta in volta, interpreti i grandi nomi dell’arte catalana, a partire da Lluís Domènech e Gaudí, geniali innovatori del linguaggio architettonico e delle arti decorative; accanto ad essi un gruppo di artisti, tra i quali Ramón Casas, Santiago Rusiñol, Hermenegildo Anglada Camarasa, Isidre Nonell, Juli Gonzalez e il giovane Picasso, che mettono in scena con stili differenti una sorprendente rappresentazione della vita moderna tra Barcellona e Parigi, loro seconda patria.
I capitoli della mostra mettono a confronto le multiformi espressioni di questa stagione creativa, dai dipinti ai manifesti, dagli arredi ai gioielli, dalle scene teatrali alle sculture, facendo risaltare una rete di influenze reciproche e di interessi comuni."

(dall'Introduzione alla mostra)

 

 

 
 
 
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