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Post n°464 pubblicato il 02 Aprile 2014 da enodas

 

 

 

E' una fiumana di gente quella che mi investe quando riemergo dalla metropolitana. Non potrebbe essere diversamente, immagino, il sabato sera, nel punto più centrale di Madrid. Ma a me sembra di riemergere da un mondo lento e silenzioso, fatto di scorci e di eco, appena sfiorato, da un tramonto osservato dietro il finestrino di un autobus, e ripiombare nella vita caotica e chiassosa di una metropoli, quando sono solo luci a sfrecciare per le strade come flash continui sul volto.
Eppure, non mi manca molto, di questa capitale europea, per sfilarsi e trovare il proprio angolo. Due isolati oltre, verso l'Opera ed il Palazzo Reale, o due calli dietro, in un giardino o la mattina presto, per le strade del centro. Allora, sono soltanto la figura china di un uomo che avanza per la strada col pane tra le braccia, o i colori pastello che si alternano lungo le pareti esterne delle case, interrotti da piccoli quadri di ceramica che marcano i nomi ed i temi delle calli. O come quando la sera, infine, torno a sedermi in qualche punto della Plaza Mayor, quasi semplicemente a respirare.

 

 

C'é qualcosa che mi piace di questa città, così come sulla scia di luoghi e paesaggi che mi ha portato fino qui, in un punto imprecisato di una piazza enorme ed elegante. E' qualcosa che credo si riassuma in quella cioccolata calda che, ostinatamente, per cinque giorni ho ordinato la mattina da qualche parte assieme a del pane caldo ed all'olio d'oliva, nella sua consistenza, nel gorgogliare che sentivo mentre la preparavano dall'altro lato del bancone del bar. E' la sensazione che la vita sia diversa, che ci sia un modo differente di intenderla, di goderla, che ci si debba domandare cosa sia la propria definizione di qualità della vita. Alcuni anni fa non avrei notato tutto questo con tanta forza, ora invece mi entra nel profondo. Come sembra nel profondo della gente, semplicemente, guardando la disposizione dei tavoli ed i banconi in fila nelle cervezeria. E' forse niente più che l'aria, come il sole, ed un sorriso diverso. E' così che cammino per Madrid, accompagnato da questa sensazione, che magari sarà anche un po' suggestione da viaggiatore, ma non solo. Scendendo per calli, varcando portoni di angoli misteriosi come i conventi da romanzo ottocentesco, attraversando piazze colme di tavolini e di ombre intense come i colori abbaglianti sopra i quali contrastano. Lascio indietro molto, da vedere, un'altra volta, di una città che mi ha sorpreso su qualcosa che non avevo previsto, che non saprei raccontare ma che pure rimane lì, ancorato ad una sensazione che riemerge, specie la sera, quando mi siedo in un angolo indefinito di una piazza e sui sanpietrini illuminati dalla luce dorata dei dei lampioni, passano ombre in movimento sparso.

 

 

A lato di tutto questo, delle strade caotiche e delle suggestioni frenetiche, ci sono tre musei enormi che ho visitato. Ripercorrendo peraltro buona parte della storia dell'arte, paradossalmente a ritroso, dall'arte moderna, entro cui mi muovo con rapida difficoltà indietro attraverso la Spagna della Guerra Civile e delle sollevazioni dell'Ottocento fino a quella più profonda della Controriforma e delle sontuose collezioni reali. Così, é con una soggezione istintiva che entro al museo del Prado, verso sera, quando l'accesso é gratuito, per vedere quanto più riesco. Quasi impossibile in un labirinto di forme e colori che colmano questa raccolta piena di tesori. Quasi impossibile senza perdersi, fisicamente. Accontentandomi allora di cercare solo alcune sezioni, passando in principio dalla scuola italiana per approdare alla ricchissima controparte spagnola. El Greco, Velazquez, Ribera, Murillo. Un filo lungo con tratti ben distinti ad ogni passo. E se i ritratti di Velazquez non sono i miei preferiti, e tutti i colori contrastati del Greco hanno già trovato ampio spazio nella mia mente questi giorni, é la dolcezza della pittura di Murillo, dei suoi personaggi, in particolare i volti dei bambini a riempire gli occhi, così come, per contrasto gli sconcertanti chiaroscuri di Ribera. Mi muovo tra infinite vie di colore ed infinite strade dell'arte. Velocemente, con poche parole. L'approdo finale é la pittura di Francisco Goya e chi, subito dopo di lui, ha cercato di imitarne lo stile ed i temi. Il Goya dell'ultimo periodo, quello più moderno per intendersi, quello dell'uomo che iniziava a perdere la vista, che culmina nella "pintura negra", che sconcertante ed inquietante penetra fino alle ossa. Una sala che in un certo senso fa rabbrividire. Così che uscire, quando le porte del museo si chiudono alle spalle, nella calda sera di Madrid é quasi un respiro. Un riemergere, ancora una volta.

 

 

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