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Post n°544 pubblicato il 02 Maggio 2015 da enodas

 

 

 

Avevo quasi scordato cosa significhi quell'atmosfera "British" su cui magari si scherza ogni tanto. E' bastato scendere per strada, camminare tra le case in mattoni tutte simili, entrare in un pub rivestito di moquette e mille cianfrusaglie alle pareti e quasi spostare con le mani quell'aria di luogo sovraffollato. E' bastato sentire l'accento e quasi non capire. Ed il profilo dei comignoli, le strade un po' grigie, gli autobus a due piani.
C'é un luogo di Manchester in cui tutto sembra fuori posto. Una via soltanto, lunga poche decine di metri, giusto dietro la cattedrale. Vi si affacciano due pub, un paio di edifici a graticcio ed un apssaggio stretto. E' un'eco momentanea di un mondo talmente lontano, di un passato nascosto, quasi sepolto, da una città moderna che vive da millenni, ha nel nome una derivazione latina, ed ha vissuto in pieno la Rivoluzione Industriale prima, dello sviluppo economico dell'ultimo secolo poi.
E' così che mi sono ritrovato tra i silenzi di biblioteche contenute  tra arcate gotiche e teche di lucido legno scuro, e subito dopo girovagavo nel silenzio di edifici di industria pesante ormai sprofondati in un letargo che é quasi un oblio. Due aspetti che convivono e si fondono.
E poi, ho immaginato soltanto il rimbombo caotico del tifo avvicinandomi ad uno dei tempi del calcio: allora il silenzio irreale di una domenica senza partita rendeva le strade verso l'Old Trafford ancora più deserte. Lo stesso di una mattina dopo una serata da sbornia, quando una nebbia grigiolina prende forma senza che si sia materializzata realmente, ma esala dalle strade ancora dormienti.

 

 

Ho immaginato un cavaliere. Nel buio della sera arrivava, sotto un cielo grigio che rovesciava secchiate d'acqua. Le mura si imponevano dinanzi a lui, ed un portone, tra esse improvviso si apriva. Dentro era un dedalo di strade, stradine, strette e lastricate su cui si affacciavano insegne, locande di legno e case ammassate, qualcuna inclinata, con i graticci di legno in bella vista. Le luci si riflettevano, diffure sui sanpietrini bagnati. E folate di vento attraversavano la via.
Lo stesso cavaliere si muove, tra i vetri istoriati di una finestra enorme, una finestra su un mondo, che narra storie su storie, un Medioevo intero, una sequenza quasi infinita, da perdercisi dentro, tra colori improvvisamente illuminati dal sole e personaggi. Cammino letteralmente su secoli di storia, lungo l'asse di un castro romano, tra le fondamenta dei pilastri della terra.
Eccomi, dunque, tra casate reali, Rose che non sono soltanto quelle fiorite nel giardino dietro le cattedrale, immenso, di York, che svetta nel paesaggio da miglia di distanza. E lungo le mura, di rimando, scruto il mondo oltre, al di fuori, e quell'universo che si cinge attorno a quella cattedrale, all'interno. Eccomi, lungo una stradina che sarà poche centinaia di metri, un tempo appartenuta a schiere di macellai, e come ombre spettrali gli edifici quasi si incurvano sopra la mia testa. E di spettri é piena, la città, non potrebbe essere diversamente, siano essi nomi di re, leggende di uomini o pietre diroccate che tratteggiano linee gotiche. Come figure scure e silenziose scivolano, nella notte, tra le vie chiuse in una penombra, guardandosi bene di nascondersi da quelle fonti di luci e di vita corrente che filtrano dalle finestre. Suggestivo. Scivolo come il vento.

 

 

Sembra di trovarsi in uno di quei film, o tra le pagine di un libro, ancora meglio, di Jane Austen o di una delle sorelle Bronte. Prima ancora di varcare il cancello, lo senti, osservando una linea continua ed un tappeto verde della campagna inglese. Tutto sembra un abbozzo idilliaco, un dipinto dell'Ottocento inglese, un'eleganza ostentata ed un costrutto intero di buone maniere, piacevole e tranquillo. I nomi stessi dei luoghi quasi mi portano tra quelle pagine. Sotto un cielo che é sole e abbozzi di nuvole, lungo la riva di un lago, salendo un pendio e da lontano inseguendo il profilo di un castello, un cancelletto affiancato da due querce si apre sul nulla, ancora verdo, una distesa regolare che si perde alla vista. Passaggio illusorio. E parla, con quell'accento forte, che poi é la lingua reale, la parlata originale, stanza per stanza, dove le informazioni sono persone, personaggi che sembrano usciti da un'altra epoca, ognuno secondo i suoi canoni, che si avvicinano e parlano, testimoni curiosi e reali degli spazi nei quali si muovono, del mondo che rappresentano.

 

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