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Post n°561 pubblicato il 09 Luglio 2015 da enodas

 

 

Varchero' questa soglia immaginando di essere calato dall'alto, come dal culmine di una grotta. Rabbrividero' del calo di temperatura istantaneo, del silenzio che preannuncia spazi enormi e sospesi, del buio che mi avvolge. Spostero', immaginando, valanghe di terra e mura aggiuntive poste a damnatio memoriae. Andando oltre le montagne accumulate nei secoli, e quanto ancora non e' venuto riscoperto. Ed allora si spalancheranno finestre, inondate di luce, dell'oro piu' sfarzoso, riflesso su marmi finissimi, giochi d'acqua, musiche e dipinti a parete. Poi tutto torna silenzio, buio e spazi vuoti. Lontani, su quei muri sfondi bianchi, affraschi, e disegni sfolgoranti. Nascosti sotto una patina di tempo e dimateriale che contemporaneamente nasconde, sbiadisce e protegge. Colori vivaci, ed una varieta' infinita di figure, astratte, umane, di oggetti. Un racconto, la gioia di vivere, una rappresentazione teatrale che l'uomo fa di se stesso. In queste figre, che ancora in parte rimangono nascoste, che si intuiscono su una parete lontana, un soffitto sopra di me, c'e' un'umanita' profonda e senza tempo. Arrivarvi cosi' e' un'emozione intensa e particolare. Grandi maestri, una volta scoperti per caso alcuni accessi a questi spazi sconosciuti, si calarono nel buio ed a lume di candela, distesi su uno strato di terra, iniziarono a copiare, leggere, imparare. Li chiamarono grottesche.

 

 

Difficilmente esiste un luogo che sia piu' strada di questo. Blocchi di pietra levigati dal passaggio dei secoli, una via che correva chilometri e chilometri, verso il mare. Difficile immaginare un luogo cosi', aspettarselo appena fuori dalle mura romane, questo mondo di pace e silenzio, dove improvvisa si apre la campagna e non resta che un alito di vento a smuovere fruscii d'erba e rami degli alberi. Sara' pure che e' un giorno di festa. Sara' che non sono mai stato qui. Ma e' come avere attraversato le porte di un altro mondo. Precario, delicato, quasi salvato all'ultimo istante. Pietra dopo pietra, solco dopo solco, si susseguono vestigia antiche, profili accennati dietro campiture di colore uniforme, passaggi nascosti, che conducono al ventre della terra, e luoghi colmi di memoria storica. E' una scoperta, quella che prende avvio da una diramazione, e si protende lungo un filare di pini, senza una meta precisa, apparentemente. Quo vadis. Ed ogni passo ne porta semplicemente un altro, in avanti, come solo una strada puo essere, una destinazione che rimane sospesa, un miraggio, al termine di una linea rettilinea che si perde laddove l'occhio non arriva, si ferma e lascia l'anima andare oltre. Questo e' un altro passo, nel frattempo, perche' un contorno diventi piu' chiaro ed oltre appaia qualcosa di nuovo, un dettaglio inaspettato, un frammento di pietra, o forse nient'altro. Perche' la strada non e' fatta che di passi.

 

"Chi dice Appia Antica dice Mura Aureliane, Appia Pignatelli, Via Ardeatina, Via Laurentina, e viceversa: chi dice Appia Antica dice campagna romana vergina sconfinata, dice solitudine incontaminata, invito alla memoria e all'intelligenza, dice silenzio, vuoto, deserto, orizzonte infinito."

(A.Cederna, 1953)

 

 

Questo e' il mondo dei morti. Quasi alla raffigurazioen dell'Ade, uno penserebbe, se non si trattasse di tombe cristiane. Buio aguzzo e silenzio finissimo, si scende nell'oscurita' e nella speranza umana. Ed un alito gelido che e' quasi un brivido ti sfiora leggermente. Scavando, scavando, sempre piu' in profondita', queste citta' sotterranee hanno preso forma in un tempo cosi' lontano. Si sono sovrapposte, intricate, annodate. Come quei nodi che stringevano l'anima di chi, ancora vivo lasciava andare qualcuno. Dolore e speranza, tutto racchiuso in una miriade di fessure strappate alla roccia, in una trama di corridoi che sembra, forse non ha, fine. Livello dopo livello, nel ventre della terra. Sono queste speranze, queste storie anonime, che rimangono chiuse qui, intrise nella roccia friabile anche dopo che altri uomini hanno razziato, aperto, violato, che fanno di questi luoghi posti partiolari, eternamente silenziosi ed allo stesso tempo eternamente racconto, di persone cosi' lontane nel tempo ma cosi' vicine nella paura estrema, nella ricerca di un significato a se stessi, nel desiderio ultimo di affidare il proprio ricordo ad una fiammella ad olio accesa nel buio e lasciare un segno immutabile nella pietra che la sostiene.

 

 

Sono solo pochi passi sulla Via Ardeatina. Eppure, attraversare la strada e' come attraversare due millenni di storia. Laddove un'estrema speranza lascia spazio ad esistenze spezzate ed estrema disperazione. Entro in questo piccolo santuario che e' una cava silenziosa e, poco piu' in la' oltre una stradina tortuosa, una lunga fila di blocchi squadrati. Lapidi. E nomi, professioni, eta'. Sepolti sotto il silenzio di una calda giornata d'estate, nessuno in giro ed una bandiera che sventola leggermente.
Silenziose strade di Roma, tornano alla mente, la sera prima, quasi per caso, tra le case del vecchio ghetto. Spinto da un ricordo, una canzone e passi sparsi. Basta deviare un attimo per lasciare ogni rumore alle spalle. E lasciare che siano i riflessi delle strade, le forme delle finestre, i portoni chiusi a raccontare cio' che non c'e' piu' ma e' accaduto e vivo rimane.

 

"Sono gocce di memoria
queste lacrime nuove
siamo anime in una storia
incancellabile

Le infinite volte che
mi verrai a cercarenelle mie stanze vuote
inestimabile
e' inafferrabile
la tua assenza che mi appartiene..."

 

 

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