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la musica, suonare il pianoforte, suonare il mio violino, la luce del tramonto, ascoltare il mare in una spiaggia deserta, guardare il cielo stellato, l’arte, i frattali, viaggiare, conoscere e scoprire cose nuove, perdermi nei musei, andare al cinema, camminare, correre, nuotare, le immagini riflesse sull’acqua, fare fotografie, il profumo della pioggia, l’inverno, le persone semplici, il pane fresco ancora caldo, i fuochi d’artificio, la pizza il gelato e la cioccolata


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l’ipocrisia, l’opportunismo, chi indossa una maschera solo per piacere a qualcuno, l’arroganza, chi pretende di dirmi cosa devo fare, chi giudica, chi ha sempre un problema più grosso del mio, sentirmi tradito, le offese gratuite, i luoghi affollati, essere al centro dell’attenzione, chi non ascolta, chi parla tanto ma poi…, l’invidia, il passato di verdura





 
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Messaggi di Gennaio 2015

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Post n°523 pubblicato il 29 Gennaio 2015 da enodas

 

 

Non lo so perché le cose cambino. Specie quando non si vorrebbe fosse così. Osservo amici allontanarsi, silenziosamente, a poco a poco. Anche quando erano perni a cui sostenersi, qui, ora, in questo luogo, in questo mio mondo, sempre un po' sospeso in tante incertezze. Non lo so, non vorrei, ma non so evitarlo. Cosciente che forse a volte sia capitato anche a me, senza una ragione reale. Lo so, lo so che ognuno alla fine ha il proprio mondo, la propria strada, e che a volte per forza di cose le direzioni divergano, che io vivo il mio tempo come chiunque altro vive il proprio. Ma la verità é che a volte sia qualcosa di impercettibile a cambiare, nell'altro, senza che ci sia un punto di partenza. O forse c'é, ma non sembra collegato. Non ho avuto mai moltissimi amici, nel senso che ho sempre cercato e valorizzato quelle amicizie e quelle sintonie che mi sembravano più profonde. Ciononostante, ho imparato in più occasioni che purtroppo non basta, nel senso che anche delle cose su cui si scommetterebbe a piene mani possono diventare rapidamente un'amarezza. Non perché ci si debba necessariamente aspettare qualcosa, anzi. E' successo e succederà.
Ed in questi ultimi tempi, in un silenzioso evolversi che io credo di percepire mi sta accadendo con una coppia di amici per cui ho sempre avuto grande affetto ed ammirazione. E' una cosa che mi amareggia e mi rattrista, in modo particolarmente sensibile quassu, in questo mio mondo un po' fuori posto, ferito a volte di solitudine.

 

 
 
 

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Post n°522 pubblicato il 21 Gennaio 2015 da enodas

 

 

Ogni volta che lo ascolto é un viaggio simile. Non uguale, perché un viaggio non può mai essere lo stesso. Allora, appena attacca il pianoforte, le sue dita per la sua musica, che porta ovunque, d'istinto é come se gli occhi si chiudessero, o rimanessero fissi su quel pianoforte, un po' lontano, illuminato nell'oscurità della sala, e si spalancassero dentro di me. In un mondo profondo, che scava, strato dopo strato. E' un tumulto di ricordi, di immagini, di sentimenti. Un tumulto gentile, come quelle note, che accarezzano l'anima. Ecco, io sono lì, ascolto, sospeso nel buio, con quel respiro profondo che vuole compensare l'emozione che sale, da dentro, come se stesse passando dal petto, e stringo una mano come a trattenere le note. Note che scivolano via, con leggerezza, cristalline. Sui tasti di un pianoforte.

 

 

"... Se la musica è l'alimento dell'amore, seguitate a suonare,
datemene senza risparmio, così che, ormai sazio,
il mio appetito se ne ammali, e muoia. ..."

(W.Shakespeare)


 
 
 

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Post n°521 pubblicato il 16 Gennaio 2015 da enodas

 

 

 

Era apolide. Nel senso che non ebbe mai passaporto. Non poteva essere presente quando i suoi dipinti venivano esposti. Non poteva osservare i dipinti presentati dai suoi contemporanei, se non per immagini riportate. Eppure giunse talvolta a soluzioni estremamente simili.
Ma sorattutto, non doveva essere una personalità semplice. Il suo sguardo passa attraverso un foglio di carta ed un segno a matita, profondo entro abissi sconosciuti, come in una successione di ritratti che trascendono il volto dell'uomo e lo caricano di significati, di simboli appunto, dell'artista eroe che sacrifica se stesso. Si apre così, sui ritratti, nel corso di una breve esistenza - poco più di quarant'anni appena, la mostra su Giovanni Segantini. Si apre su una delle parole chiave, Simbolismo, filone da cui declinano molte delle opere in mostra. A partire da se stesso. Ciò che veniva rappresentato era più di una figura, ma una concatenazione di idee, una reazione emotiva, uno sguardo oltre.
E prosegue, per temi, intrecciati alla vita, di Segantini. Di sala in sala, si entra nel mondo milanese, si attraversano gli sguardi dei ritratti, si osservano le nature morte. Fino ai grandi paesaggi, lontano dalla città, quindi verso le montagne, tutti accostati a dei bozzetti, ripresi come variazioni di uno spartito su cui stendere la melodia definitiva, alcuni addirittura modificati, stravolti, colore sopra colore, figura sopra figura. C'erano poi le suggestioni letterarie, quelle di un periodo in forte trasformazione, il progetto per l'Esposizione di Parigi ed infine il tema della maternità. Un'ossessione, un solco profondo, nella vita di un uomo rimasto orfano in tenera età.
Non doveva essere una personalità semplice. Passato di mano da bambino, recluso per vagabondaggio, infine avviato alla nascente fotografia. Il disegno, la pittura, lo salvarono e lo fecero emergere prepotentemente come figura di spicco e sensibilità cristallinia. Riflettendo sulle emozioni e sui significati intrinsechi, sulla potenza del colore, sui tratti brevi ed intensi con cui essi venivano applicati.
E questo mi é piaciuto della mostra, l'avermi fatto conoscere ed approfondire un nome che non conoscevo raccontandomi al tempo stesso una storia, quella dell'uomo accanto a quella della fine di un secolo e l'ingresso nel Novecento, periodo critico di passaggio culturale. Lungo una serie di dipinti intensi e di grande bellezza, che recavano un'unica, profondissima, firma.

 

 

E' un colore intenso e pastoso. Più mi avvicino, più diventa denso, spesso. E' un azzurro fatto di rosa, di verde, di blu.
E' uno sguardo assorto e silenzioso. E rimanendo a fissarlo appare chiaro che é ciò che accade dietro, oltre una finestra, la riflessione stessa di quegli occhi fissi in un punto nel vuoto.
E' quasi un cerchio, quello che si disegna sull'acqua. E nella luce crepuscolare sembra quasi risplendere il suono di una campana, lontano, in un silenzio che ha colore. Riflessi in movimento. A fronte di infinite variazioni, una accanto all'altra. Riflessi nell'acqua, in un cerchio perfetto, ed una scena umile e tenera che risplende.
Risplende. Come la luce. Una luce luminosa, calda, che prende corpo. Attraverso quel colore, così fitto, così spesso, e quei tratti, uno sull'altro, strato su strato. Nei paesaggi più ampi, su vette irraggiungibili, o dentro il focolare degli umili, quando una fiamma risplende sul volto di due madri messe a confronto. E la tenerezza di questo legame, profondo, può trasformarsi in cruda allegoria di figure al limite del fantastico, o declinare sull'abbraccio della vita, prima di tornare a quel mondo semplice  di luminosa umiltà.

 

 

"Giovanni Segantini (1858-1899), uno dei più grandi artisti europei di fine Ottocento, ebbe in Milano una vera e propria patria dello spirito, una città di riferimento per tutta la sua breve vita. Anche a seguito del trasferimento nei Grigioni, infatti, Milano continuerà a restare il fulcro della parabola segantiniana e piazza favorita per l’esposizione delle sue opere.
Il suo avventuroso pellegrinaggio dai colli della Brianza alle creste granitiche dell’Engadina narra la storia straordinaria della creatività culturale che si sviluppò nelle valli tra l’Italia e la Svizzera all’inizio del secolo scorso.
[...]
Nell’anno che precede l’Expo, la mostra è una straordinaria celebrazione della “milanesità” dell’artista: un’intera sezione è dedicata proprio agli esordi milanesi del pittore, che con il suo ingresso all’Accademia di Brera diede il via a un promettente e fecondo percorso artistico. Pittoreschi scorci dei Navigli rievocano lo splendore della Milano di fine Ottocento.
Non mancano sezioni dedicate alla natura morta e al ritratto. "Costume grigionese", "La mia Famiglia", "Ritratto della Signora Torelli" e alcuni autoritratti, non sono in mostra solo per permettere allo spettatore di ripercorrere i legami affettivi dell’artista, ma soprattutto per testimoniare la sua indubbia potenza di ritrattista.
Immancabile, poi, il percorso dedicato a Natura e vita nei campi. Un nutrito numero di quadri, tra i quali possiamo citare i bellissimi "Sul balcone" e "L’ultima fatica del giorno", esalta il ruolo della montagna nella sua opera pittorica, che offre in mostra uno spaccato del paesaggio alpino, con le sue scene di vita nei campi, i suoi costumi caratteristici e una peculiare rappresentazione della società contadina.
La sezione Natura e Simbolo, nella quale si possono ammirare i celeberrimi "Mezzogiorno sulle Alpi" e "La raffigurazione della Primavera", esplora il dualismo iconografico caro a Segantini: una fusione tra i due opposti che determina la ricchezza del suo linguaggio.
Infine, a ideale conclusione del percorso della mostra, una sezione dedicata al tema della maternità ospita "L’Angelo della vita" e "Pascoli di primavera", capolavori delle istituzioni milanesi: la Galleria d’Arte Moderna e la Pinacoteca di Brera.
Una nutrita raccolta di lavori provenienti da numerose e importanti istituzioni museali europee e statunitensi, a cominciare dal Museo Segantini di St. Moritz, che si fa testimone, attraverso il cammino artistico, della stessa vita del maestro: dall’infanzia trascorsa nella vivace metropoli post-unitaria, al trasferimento sulle Alpi svizzere, uno degli ultimi, incontaminati, paradisi naturalistici."

(dall'Introduzione alla mostra)


[...]


 

 
 
 

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Post n°520 pubblicato il 13 Gennaio 2015 da enodas

 


Mi sento inghiottito dalla terra. Eppure cammino sospeso nel vuoto, sopra un canion profondo decine di metri. Là, in fondo, rigurgita rabbioso uno dei tanti fiumi sotterranei di queste parti, si spezza sulle rocce che lo costringono ed immediatamente riscompare nel buio. E buio sarebbe, ovunque, in questa stanza gigantesca dove il freddo là fuori scompare, ed il rumore si amplifica, si amplica ancora di più, assordante, spaventoso, in questo mondo fatto di giganti , personaggi immaginari, ombre di pietre costriute dall'acqua migliaia di secoli. Sorgono dal terreno scosceso, si calano dal soffitto, su quelle stesse pareti dove i segni lasciati dai primi esploratori si intravedono appena, nei gradini appena sbozzati, nelle assi pericolanti di un ponte aggrappato al nulla.
Fino a quando é luce, abbagliante, infine, ed un alito gelido che spira, dalle rocce imbiancate, letteralmente ghiacciate, e come una gemma incastonata a forza, come fosse aggrappato sul nulla, si trova un castello. Silenzioso, come il gelo che lo circonda, che blocca il portone e fa scendere lentamente il sole oltre la vallata. La neve si tinge gradualmente dell'azzurrognolo di un cielo senza luce. E due ceppi ardono in un calderone, improvvisato, all'ingresso, come se fosse acceso per due guardie invisibili, fantasmi lasciati in custiodia, alla fine del giorno.

 

 

Manca un giorno alla fine dell'anno. E si sente tutto. Ogni grado sottozero. Ogni passo lugo la riva, tutto intorno. Seguendo con lo sguardo il profilo da fiaba che mi segue, oltre uno specchio d'acqua di colori e di riflessi. La neve lo separa dal tempo. Lo separano i fuochi, accesi la sera, si mettono in cammino lungo la sponda, proprio il giorno prima della fine dell'anno. Lo separano i banchi, già allestiti nel pomeriggio, ad accogliere lungo questo percorso circolare, lungo la strada, candida e ghiacciata, di una bevanda calda, un boccone sostanzioso o l'impasto del pane arrotolato su uno spiedo da mettere al fuoco. E soprattutto, lo separa il silenzio, quello che prende il colore azzuurro intenso delle montagne seminascoste, dell'acqua limpida e fredda, e che si materializza in una scalinata, vuota, che scende fino al pelo dell'acqua, laddove approderanno le barche, i viaggiatori che vorranno salire, in un altro tempo, in un altro giorno, quei gradini, fino al profilo esile di un campanile. Là, forse, rintoccherà una campana, un suono per ogni desiderio, per un augurio, che come un rintocco si scopra, fenda l'aria immobile come immobile é la sensazione di trovarsi sospeso in qualcosa che non cambierà, come un ricordo impresso da portare via, e rimbalzi tra le montagne fino a scomparire. Saranno i passi incerti, sarà il silenzio che accompagna una luce lontana, l'aria gelida di un inverno profondo, sarà la bellezza del paesaggio. Mi entra nell'anima.

 

 

Ho in mente una stradina in salita. E' ghiacciata, per un tratto, ed oltrepassarlo non é stato semplice. Respiro, una folata di vento gelida. Dal castello che domina Lubijana. Si vedono li montagne, vicine, e nascosti dietro, laghi cobalto, paesaggi silenziosi ed avvolti in una distesa di bianco candido, un rivolo d'acqua che scorre, ancora, sotto un ponte arcuato, le taverne nella pietra grezza che sono angoli di calore nascosto la sera. Questo silenzio, questo manto di neve, queste luci, hanno creato un'atmosfera d'inverno come un po' avevo dimenticato.

 

 

Respiro, a cavallo di un ponte. Buio, ormai, e difficile trovare un posto, improvvisamente, ed il volto é come se fosse anestetizzato. Guardo oltre una finestra, e vicino arde la legna nel forno. Sarà così, in semplicità, attendere. Respiro. Un'aria sempre più gelida, appena si alza un po' di vento. Ed attendo che il castello, là sopra, si accenda di fuochi. Per un attimo, almeno. Nell'aria si sente il sapore del vino caldo e molte voci in italiano. Ed uno scroscio di luci, veloce, si accende, crepita, e scompare nel buio.

 

 

 
 
 

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Post n°519 pubblicato il 11 Gennaio 2015 da enodas

 

 

Dicembre 2014



...  La nebbia si scioglie in figure danzanti.
Un gabbiano d'argento si stacca dal tramonto.
A volte una vela. Alte, alte stelle. ...

(P.Neruda)

 
 
 

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Post n°518 pubblicato il 07 Gennaio 2015 da enodas

 

 

...vorrei sapere come dire basta a tutto questo...



Questo blog é per la libertà di pensiero.

 

 
 
 

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Post n°517 pubblicato il 05 Gennaio 2015 da enodas

 

 

Ho guardato le figurine del presepe con una certa malinconia. Mi capita spesso, quasi ogni volta. Guardo la posizione di uno o dell'altro, qualche dettaglio, qualcosa di nuovo o di meno nuovo, cercando di memorizzarne l'immagine. Ogni volta, penso che nei giorni precedenti, in un modo o nell'altro, é qualcosa che ho quasi dimenticato di fare. Così, in questi giorni, la sera tardi, qualche volta, ho spento le luci e nel silenzio sono rimasto ad osservare, un paesino illuminato, un albero ricco di oggetti bianco ed azzurri. E' questo pensiero che mi mette un po' di malinconia.
Come ogni tempo che é sempre veloce e non si sa mai come guardarlo, perché già si rischia di trovarsi voltati all'indietro. Per un istante, é così.
Ho pensato per un attimo che oggi, davvero oggi, avrei potuto essere in una situazione diversa, su una strada diversa, dopo un incrocio che tra mille voli pindarici ho deciso di non intraprendere. Anche questo, é soltanto un pensiero, uno di quelli che passano come flash istantanei.
Ogni cosa, come me, rimane complicata.

 

 

 
 
 
 
 

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