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la musica, suonare il pianoforte, suonare il mio violino, la luce del tramonto, ascoltare il mare in una spiaggia deserta, guardare il cielo stellato, l’arte, i frattali, viaggiare, conoscere e scoprire cose nuove, perdermi nei musei, andare al cinema, camminare, correre, nuotare, le immagini riflesse sull’acqua, fare fotografie, il profumo della pioggia, l’inverno, le persone semplici, il pane fresco ancora caldo, i fuochi d’artificio, la pizza il gelato e la cioccolata


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l’ipocrisia, l’opportunismo, chi indossa una maschera solo per piacere a qualcuno, l’arroganza, chi pretende di dirmi cosa devo fare, chi giudica, chi ha sempre un problema più grosso del mio, sentirmi tradito, le offese gratuite, i luoghi affollati, essere al centro dell’attenzione, chi non ascolta, chi parla tanto ma poi…, l’invidia, il passato di verdura





 
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Impromptu n.3 op.90
Impromptu n.2 op.142




 

Messaggi di Dicembre 2015

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Post n°588 pubblicato il 24 Dicembre 2015 da enodas

 

 

Sono uscito qualche minuto ieri sera e, complice il tempo ridicolamente caldo, ho camminato in centro. Non é qualcosa di sentito per tradizione, secondo me, ma comunque per le strade c'era qualche tentativo di dare un minimo di sensazione natalizia che andasse oltre i negozi straordinariamente aperti dopo le sei, con qualche musica improvvisata per strada ed una banda in allestimento nel Markt, di fronte al quadrato di ghiaccio che sempre compare in questi giorni. Ho camminato per congedarmi, qualche giorno, visto che alla fine, anche se allultimo momento, partirò anche io.
Ho pensato che é già quasi un mese che sono tornato dall'India.  E' un tempo relativamente breve, eppure tutto sembra già così lontano. E' un peccato. Ogni tanto, quasi di sfuggita, guardo le foto e trovo scatti che mi raccontano qualcosa più degli altri. Continuo a pensare all'intensità di quei colori, all'intensità di certe situazioni ed al caldo sulla pelle. Mi sono ripetuto più volte di trarre dei messaggi da questa esperienza, eppure quando sono tornato nel giro di poco tempo ero riassorbito dal tramtram quotidiano e dagli stessi pensieri. Non riesco a guardare oltre un certo orizzonte, per quanto vorrei che fosse così. Questo a volte mi fa provare un certo senso di colpa. Dopo oltre tre mesi che ho cambiato lavoro non si attenua l'amarezza ed una certo risentimento, anzi, una delle poche certezze che potevo stringere per avere una motivazione se ne é andata con questo cambio, lasciandomi frustrazione.
Non riesco a svoltare, per tanti motivi.

 

 

 
 
 

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Post n°587 pubblicato il 22 Dicembre 2015 da enodas

 

 

Fuori c'é solo vento. L'Erasmusbrug é una linea sferzata dal vento che si perde in una schiera di luci. Ma alla finestra si riflettono altre luci, piccole e scintillanti. E dentro no, non c'é che un alito di aria fredda che sale dal basso, mentre nevica intorno. Come una catapulta, si spalanca un'immagine da fiaba, con case di dolci ed un principe di legno che la notte di Natale prende vita e per mano accompagna la sua piccola principessa nel suo mondo incantato. Danze leggere, sospese nell'aria o mentre scvolano sul ghiaccio. Il ghiaccio, appunto: forse non sarà la trasposizione esatta di un balletto, ma rende tutto più leggero e sottile. Esattamete come una linea tracciata da una lama che svolta, salta, si avvita su se stessa. E da ogni parte del mondo giungono ospiti danzanti. Fantasia. Anche Walt Disney aveva immaginato queste note come piccoli cristalli su un velo di ghiaccio. Una favola narrata a pochi giorni dal Natale.

 

[...]

 

 

 
 
 

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Post n°586 pubblicato il 19 Dicembre 2015 da enodas

 

 

Chapter 2 - The gateway to India (3)

5,6,13,25 Novembre

 

 

Delhi é la capitale di oggi e di ieri.Delhi in realtà é la città composta da numerose città, ognuna construita dal proprio condottiero, o imperatore, chiunque sia passato di qui ed abbia gettato le basi del proprio potere. Dietro un'alternanza di ampli viali e strade dal traffico congestionato si custodiscono rovine di queste singole città, monumenti funebri di straordinaria bellezza e parchi commemorativi ai personaggi più importanti della storia recente, imperniata sulla famiglia Gandhi. Passare da uno all'altro, dalla strada a questi luoghi, é come varcare una soglia invisibile, oltrepassare delle mura di demarcazione ed abbandonare il frastuono ed il continuo movimento della città di oggi per accedere al silenzio ed alla contemplazione di spazi paralleli, dove la vita stessa di chi vi si trova dentro improvvisamente rallenta dai ritmi indemoniati di ciò che rimane fuori.

 

 

Il tempo si é fermato. Al centro di un un agglomerato degradato, attraversando una serie di corridoi a portico, si apre l'entrata ad una piccola moschea dove offerte di fiori ed intrecci di tessuto si mescolano alla tradizione mussulmana, fuse in un mistico canto ondulato e senza sosta. Delhi fu capitale di molti regni, ma il segno ultimo e più distintivo é quello impresso dall'impero Mughal. Lo si trova nell'architettura, nella planimetria della città, nella cultura e nella religione. Attorno al bazaar della città vecchia si apre la più grande moschea del Paese, uno spazio enorme che idealmente guarda oltre le proprie mura, e dove la vita scorre oltre la preghiera.
Tutta la città, in realtà, é costellata di bazaar, ognuna con un proprio carattere. Tutta la città, in realtà, si estende oltre confini che soltanto giungendovi da fuori rendono l'idea delle dimensioni oltre misura, ben oltre le linee della moderna metropolitana, che pur passando ogni tre minuti é sempre piena. Ed ancora una volta, il passaggio é netto, come se la modernità fosse arrivata troppo presto, appena varcata la soglia, e non si fosse preparati, nuovamente, a tutto questo.

 

 

Pronti, via. Punto d'incontro Connaught Place, centro della Delhi che cambia, un vortice di suoni e persone che ruota come il disegno stesso della piazza. Da qui, la metropolitana é ad un centro nevralgico dove le due linee principali si incontrano: nel tardo pomeriggio é come tuffarsi in un fiume in piena ed abbandonarsi alla sua corrente. Fermata bazaar, nel cuore della Vecchia Delhi: verso sera, la moltitudine tumultuosa di questa città inizia a mostrarsi in tutta la sua grandezza. Gente, gente ed ancora gente. Lungo vie strette che sfiorano templi e si addentrano per vicoli coperti di stoffe e colori. Sbuchiamo fuori, sull'asse principale: in lontananza le porte del Red Fort. Prima fermata, di questo intreccio tra tradizione e cultura, su dei gradini ad assaggiare le patate sciolte nel formaggio. Il tempio Sikh torreggia di fronte: é un rituale comune ad altre tradizione il togliere le calzature e pulire il corpo prima di entrare. Colori, silenzio e turbanti, sguardi profondi e meditazione divina. Parte del tempio, é dedicato alle cucine: migliaia di persone, ogni giorno vengono sfamate gratuitamente negli spazi retrostanti il tempio. La cucina é invasa da pentoloni enormi ed altrettanto grandi bracieri, ad un angolo donne e bambini impastano il pane e lo stendono sul tavolo. Una bambina si volta di scatto, e mi regala creedo il sorriso più genuino che abbia incontrato in tutto il mio viaggio, dietro una punta di farina sulle guance e sul naso, ed i capelli raccolti in una fascia colorata.
Dal silenzio al caos: nuovamente per strada. Prendiamo un riscio, il primo della serata. Una svolta, l'entrata nel traffico, da qui ho perso l'orientamento. Sono invaso da una selva di suoni, fasci di luce che danzano convulsi nel buio incipiente, rumori di strada, infinite ombre in movimento. Nemmeno so come riesco a passare. Altri riscio mi sfrecciano accanto, altri ancora incrociano la mia direzione con gli sguardi fugaci dei loro passeggeri.
Cibo, profumi e sapori. Ci fermiamo in luoghi che mai avrei immaginato, mai avrei varcato. Un tovagliolo passato veloce sul tavolo, del sapone sulle mani. Sapori inebrianti, uno dopo l'altro, luogo dopo luogo.

 

 

No, non é finita. Ci spostiamo lungo iuna mappa che é un intrico medievale ed un guazzabuglio moderno. Riscio dopo riscio, entriamo in strade che si diramano, ognuna una porta d'accesso al proprio bazaar, come un parco tematico. Perché secondo tradizione, i bazaar sono divisi per prodotti, lavori ed affari. Gioielli pendenti calano dai soffitti fino a creare cortine moventi, tintinnano e luccicano. Più in là é la volta della carta, quella lavorata a mano ed il suo profumo di nuovo nascosto entro taccuini e rilegature. Ondeggiano ad ogni alito di vento i vestiti, una strada oltre, le pialettes scintillano un istante soltanto e torri di stoffa costruiscono esse stesse gli spazi che le contengono. Imbuchiamo scale strette e mi ritrovo su un tetto: a fuoco vivi, su un enorme braciere qui servono i paratha più buoni cha abbia mangiato in un mese, la "pizza indiana", pane piadine di pane imbottite di cibo, si tratti di formaggio, impasto di patate o verdure speziate. Ancora giù per strada. E' un vortice continuo, senza sosta. Siamo bloccati, laddove una macchina si é avventurata in un passaggio murato di gente, motociclette e riscio. Sollevo lo sguardo e vedo cosa sono le strada della vecchia Delhi: una rete fittissima di cavi dell'elettricità allacciati tra loro, annodati alla rete cittadina. Arte di vivere. Ed eccoci infine al mercato delle spezie: qui, dietro sacchi stracolmi portati sulla testa e carretti riempiti all'inverosimile, scorrono denari senza sosta. Il sapore delle spezie sale alle narici, sempre più intenso. La gente si muove come uno sciame continuo, tra portantini e piccoli sacchetti per la spesa quotidiana. E' un misto di mondo arabo ed indiano, ed il carattere del luogo é tutt'uno con la gigantesca moschea che si staglia alle spalle. E noi saliamo, su scale inghiottite nel buio, raggiungiamo i tetti di quello che era la corte degli uffici della Compagnia delle India. L'architettura coloniale é riconoscibile alla luce della luna. Il sapore del chili sale fortissimo, quasi annacqua gli occhi, mi inebria la mente. Ancora un riscio, un altro ingresso, un altro tavolo, quasi uno scantinato. La gente sorride nel porgermi il cibo. Si conclude con pollo fritto, dolci, un pudding di riso e frutta secca ed un lassi gelato, ed ai tavoli si impara di progetti, sogni privati e piani di sviluppo. Sono sfinito ed appagato come difficilmente avrei potuto desiderare. E lasciare le mie guide, di ritorno alla piazza é un po' un addio ed una promessa.

 

 

 
 
 

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Post n°585 pubblicato il 17 Dicembre 2015 da enodas

 


Chapter 2 - The gateway to India (2)

 

2,3 Novembre

 

 

Bisogna attendere un attimo perché gli occhi recuperino. Così come per il corpo, perché si adatti al balzo di temperatura. Ed in chiaroscuro, la luce intaglia la pietra, come ripetendo il lavoro paziente di mani anonime centinaia di anni fa. Ellora, Ajanta, sembrano quasi la celebrazione della pazienza e della perseveranza. E le figure, e gli edifici stessi, prendono corpo dalla roccia, come se un occhio attento avesse saputo penetrare una montagna intera e creare tutto questo. Nel silenzio degli spazi, nel silenzio dello spirito, rieccheggia il rintoccare degli scalpelli, quelli umili di chi oggi preserva, così come furono quelli che crearono un tempo che fu. Osservare questi gesti, anche solo udirli nel buio, é di grande effetto. Mentre figure gigantesche, sempre nell'ombra, osservano immobili, con lo sguardo fisso ed impenetrabile. Oppure si muovono, minuscole, tra intagli raffinatissimi, ancora sfiorate da quel colore che lentamente sbiadisce nel tempo. Risplendono, in una dimensione parallela, dove tutto rimane immobile.

 

 

Ad inizio di ogni guida sull'India ci sono un paio di pagin dedicate ai treni ed al sistema ferroviario indiano: prendere un treno in India, ancor più che in molti altri posti é un'esperienza a sé e parte di un viaggio. Questa é stata la prima occasione per viaggiare in treno. Da Mumbai e ritorno, ogni viaggio una notte. Si muove, con lentezza, dovuta alle linee, non lo so, dopo un mese intero penso che sia dovuto alle persone che camminano indistintamente sui binari, equivalente della stessa filosofia che regna per le strade. Ma il viaggio inizia in stazione, tra gente che aspetta, gente che dorme, quasi accampata, ammassi di cose. Inizia con le liste, attaccae all'ingresso delle carrozze, a seconda della classe cui si viaggia, e prosegue negli scompartimenti. Ho trovato uomini d'affari, padri che hanno un figlio in Europa, e giovani ingegneri, viaggiando nella classe più alta, gruppi di famiglie in seconda classe. Il resto, l'ho intravisto solo dalle piattaforme delle stazioni. Ho incontrato un ragazzo che potrebbe benissimo essere uno dei miei amici indiani qui, interessi simili e stesso tipo di studi. Parlare di India col mio temporaneo compagno di viaggio apre un punto di vista nuovo su questo Paese, ed una prospettiva diversa, più globale e globalizzata. Sono arrivato da poche ore soltanto e non é semplice rispondere come ti piace qesto Paese e cosa ne pensi. Anche perché tutto ciò che voglio osservare cerco di non giudicarlo, non almeno nel senso che do a questa parola.

Andata.
Itinerari lungo la strada, castelli inespugnati, una capitale arsa nella siccità, repliche di edifici famosi e mulini ad acqua lungo la strada. Villaggi addossati al ciglio, infiniti modi di spostarsi, piantagioni di cotone. Non avevo mai visto il cotone ancora attaccato alla sua pianta. Ogni distanza, percorsa a piedi, sembra allungarsi continuamente rispetto alla mappa.
E ritorno.

 

 

 
 
 

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Post n°584 pubblicato il 13 Dicembre 2015 da enodas

 

 

Chapter 2 - The gateway to India (1)


1,4 Novembre

 

Da dove dovrei iniziare... la porta d'ingresso dell'India si affaccia sul mare, di fronte a grattacieli persi nella foschia, barconi legati uno con l'altro e davanti ad un hotel di lusso segnato pochi anni fa da eventi cruenti. Il sole é caldo, già la prima mattina, e preannuncia una giornata di afa malgrado sia su una di quelle imbarcazioni che oscillano mollemente prima di salpare gli ormeggi.
No. La mia porta di ingresso é l'aeroporto, qualche decina di chilometri a nord, e la notte fonda, all'orario degli arrivi internazionali. Caldo stringente, fin da subito, ed immediatamente quell'aria quasi irrespirabile, composta di fumi, materiale bruciato senza regole, odore di immondizia abbandonata. La mia porta d'ingresso é una lotta, quasi serrata, per evitare le varie offerte di taxi, puntare al chiosco di quelli prepagati e resistere in coda; é infine una strada che corre verso il centro, se così si può definire una zona di una città di decine di milioni di persone, incrociando un traffico pazzesco ed offrendo immediatamente uno spaccato di cosa mi aspetta. Ed é questo ciò che mi colpisce immediatamente: una miriade di ombre, lungo la strada, o appena intraviste lungo le numerose diramazioni che in pochi metri spariscono imghiottite dal buio. Ombre di uomini, illuminate un istante da un fuoco acceso su un ciglio, o dai fari di una macchina che procede a clacson spiegato: ombre, nonavrei altra parola per descrivere la sensazione che provo passando così, veloce, a prima vista, e vedendo la vita srotolarsi su un marciapiede, una tenda improvvisata o due pezzi di lamiera, oppure un carretto appoggiato al muretto, o forse una coperta di fortuna, o spesso nemmeno quella. Anche nel buio la prima cosa che salta agli occhi é una miseria tremenda, senza spazio e senza respiro.

 

 

Dharavi é lo slum più grande dell'Asia. Così, almeno lo presentano, voci contrarie contestano. Non ha importanza. Dharavi é uno slum. Enorme, per la densità di popolazione, un milione - forse di più, forse di meno - nello spazio di un quartiere. Dove slum sta semplicemente per abusivo. No, é ovviamente molto di più: l'assenza di acqua corrente, di elettricità, di spazio. Forse. Perché rimane un mondo inaccessibile. Non di dignità, questo no, non mi sento di poterlo dire né tantomeno giudicare, e questo mi sembrerebbe. Perché nell'anima di questa città nella città confluiscono persone da ogni parte dell'India, uomini che stipati in spazi angusti vivono e lavorano senza sosta, ed ogni azione della vita si muove su un unico palcoscenico, fatto di case agglomerate, strade che quasi scompaiono tanto diventano strette, prima di sbucare nel mezzo di un corteo per la nascita di un bambino, o in un bazar allungato ai lati della strada, uno spazio dove la terracotta é lasciata essicare, onu spazio dove si fa il pane, o il ridosso di una discarica. Ed allora, cos'é la dignità, un concetto diverso da quello che potrei esprimere secondo i miei parametri. Quando cozza con il sorriso della gente, l'invito ad entrare, il mio sguardo su un mondo di invisibili. Mani laboriose che setacciano plastica, separano, riciclano, o altre che si occupano dei metalli, nessuna mascherina per via del caldo insopportabile sul volto nero ed i polmoni distrutti nel giro di pochi anni. Quando cozza con i colori di un corteo, e tutte le persone estraggono un telefono per fare una foto con te, o la figura di un'anziana accovacciata su se stessa ti porge un bambino o ti invita a modellare l'argilla.
Non si possono scattare fotografie, in visita, sia questo per rispetto alle persone o anche perché angoli bui non vogliono venire a trovarsi sotto ogni tipo di luce. Perché é impossibile sapere esattamente cosa vediamo e cosa invece ci rimane nascosto. Ci sono molte cose da raccontare, di questa visita, che pure rimane guidata attraverso luoghi accessibili perché possa conoscere una versione di ciò che vedo. Non so quanto lascio dietro, quanto possa anche solo immaginare, quanto posso imparare. Dharavi é uno slum particolare, non solo per le dimensioni umane, ma anche per il fatto che non si tratti solo di abitazioni ma sia anche luogo di impresa. Ed i numeri di quei lavori umili e continui sono in realtà cifre esorbitanti. Esorbitanti sono i prezzi della terra edificabile, in una città come Mumbai, ed un luogo come questo potrebbe fruttare denaro, parecchio. La riqualificazione degli slum passa anche da questo, da interessi sotterranei, probabilmente neanche troppo e dalla questione silenziosa che riguarda i suoi destinatari. Sullo sfondo, edifici di lusso si alternano a quelle che sono abitazioni temporanee, dove un blocco di abitanti dovrebbe essere trasferito mentre la sua zona viene ricostruita secondo regole e piani precisi. Eppure la gente é restia a tutto questo, sia il cambiamento, la consapevolezza degli ultimi di rischiare di rimanere fuori dai giochi, la paura di perdere il poco che resta. Anche nel profilo di case che circonda lo slum, l'immagine é sconcertante: sconcertante il contrasto, lontano, che oppone lusso e miseria, sconfortante nell'incuria che edifici preposti, costruiti meno di dieci anni fa, sofforno come se fossero costruzioni vecchie di un secolo. E' il contrasto tra una condizione secolarizzata e la voglia di cambiare. E le versioni su questo tema, condito di opinioni cotrastanti ed accuse reciproche, sono parecchie. Per questo, posso solo assorbire quel poco che giunge fino a me, in un passaggio a volo radente.
Dharavi é divisa in una parte mussulmana ed una parte indu, una distinzione che affonda in fatti non troppo lontani e che nasconde un raggiunto equilibrio, specie quando si tratta di soldi: attraversarne il confine é come marcare un taglio netto nell'aria ed alla vista. Anche questa é una sensazione profonda.
Lungo la mia visita, a tratti, mi é sembrato quasi di riemergere, un attimo, da un'apnea improvvisa. Ed era ciò che non vedevo ad opprimermi maggiormente. Ho visitato progetti, più o meno efficaci e funzionanti. Una scuola, che era poi una stanza al primo piano di un edificio, dove bambini col corpo disegnavano le lettere dell'alfabeto. Il futuro di Dharavi, spero, passa da qui.

 

 

Sono arrivato al mare. Oceano Indiano. Giungere al mare ha sempre lo stesso effetto, indistintamente. Calmante. Anche se il sole quasi impallidisce dietro una foschia che non si sa se si tratti di vapore o inquinamento, tutta quest'aria umida e sporca. Ho ripreso uno di quei treni urbani, sopravvivendo grazie al fatto che sia domenica e non via sia una ressa invivibile. Sono uscito di fronte a quella che é un'enorme lavanderia a cielo aperto, dove si dice un decimo degli abiti vestiti da un oumo indiano sia stato lavato almeno una volta. E poi, ho iniziato a camminare. Lungo una strada che sulla mappa non doveva essere troppo lunga e che invece sembrava infinita. Non riesco a scrollarmi di dosso le prime sensazioni che mi hanno colpito, il caos, la miseria, il contrasto più brutale. Arrivato al mare, infine, una stardina vi penetrava per raggiungere una moschea che come un'isola misteriosa fluttuava in lontananza. Animali, mendicanti, entrambi indistintamente oppressi da deformazioni che non avrei immaginato. Di fronte, sull'altro lato, venditori di oggetti votivi. In mezzo, un flusso continuo di gente, pellegrini e visitatori. Percorrere quei duecento metri o poco più é stato un altro di quei viaggi infiniti, dove infinite scene di umanità si condensavano una sull'altra fino a stordirmi. Così, raggiunta la spiaggia, infine, é quasi un respiro. Oltre tutto ciò che in un giorno mi ha toccato e colpito.

 

 

Verso sud, verso il mare e quella porta d'accesso costruita dai Britannici. Verso un'isola a forma di elefante, le cui scale tolgono il fiato anche di primo mattino e nel frattempo un occhio bisogna anche tenerlo sulle scimmie che balzano sugli alberi.
Il mare brilla di riflessi, e Mumbai si allontana lentamente. Ho incontrato una donna canadese che di viaggi e della sua vita e dei suoi amori potrebbe scriverne un libro. Lo racconta a me, seduto al suo fianco durante la traversata. Ha settantacinque anni che non immagini e, per quante cose mi racconta siano lontane da me, mi sorprende la sua incredibile voglia di vivere.
Verso nord, verso l'albergo ed un viaggio interminabile per l'aeroporto. Tra edifici coloniali e la bolgia di mercati che invadono le strade. Non riesco a camminare, a tratti. Le stesse dove la sera, tra le macchine in sosta e di passaggio si gioca lo sport nazionale. Cricket. Sì, incredibile ma é davvero così.
In partenza.

 

 

 
 
 

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Post n°583 pubblicato il 09 Dicembre 2015 da enodas

 

 

 

E' un'idea che mi é venuta un anno fa, qundo ero sull'uscio di casa di amici. Avere una palla di Natale dai posti che ho visitato. Non molto originale, come idea, in realtà. In fondo, é un modo per narrare a me stesso dei luoghi che ho visto, delle esperienze e dei ricordi che di ognuno serbo per me. Ed ognuno l'albero, se lo fa, lo immagina in maniera diversa e con animo diverso. Da allora, devo dire, probabilmente la cosa mi é un po' sfuggita di mano. A quanto collezionavo si sono aggiunte poi le decorazioni create dalle mani inventive oltre ogni misura della mamma. E così, quest'anno, per la prima volta, ho fatto un albero di Natale. Per chi aggiunge qualcosa alla casa, per chi ripete un rituale, per la prima volta quassu, e per chi non ha mai appeso una palla all'albero di Natale perché in alcuni luoghi é semplicemente una cosa che non esiste. Stasera, alla fine, risplende, di luci intermittenti e di colori, ne é stracolmo a dire il vero, sul tavolo in ingresso. E mi illumina la sera.

 

 
 
 

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Post n°582 pubblicato il 07 Dicembre 2015 da enodas

 

 

 

Parigi é meravigliosa. O almeno, a me piace tantissimo, da sempre. Per lungo tempo non ci sono tornato, fino all'inverno di un paio di anni fa, per scoprire quanto fosse vicina, con un viaggio un po' tirato, e quanto dovessi confrontarmi con dei ricordi.
Parigi é bellissima, e tornare mi fa sentire sulla pelle un modo diverso di vivere la vita. Così, questa era una sorpresa per la famiglia in arrivo a mezza strada... arrivare in macchina e proseguire, verso sud... una data segnata ed attesa, lungo questo mio viaggio in India, una volta tornato a casa. Ad un certo punto é diventato un appuntamento segnato da un po' di paura, ed é triste ammetterlo, per ciò che é successo a metà novembre.
Ricordo che attorno a quei giorni ero in una guesthouse gestita da ragazzi che volevano costruire una libreria per i babmbini del luogo e per ogni ospite si impegnavano a comprare un libro. Questo luogo si chiamava come la bevanda a base di yoghurt e chi la gestiva aveva anche un mini ristorante, poche centinaia di metri più in là, sul lago, che col suo nome richiamava il Piccolo Pincipe. La ragazza, era un'insegnante e vendeva oggetti fatti a mano coi bambini che aiutava, candele, portacandele ed altri piccoli oggetti di carta. Ricordo che quella sera accostai il suo viso gentile e sorridente, come mi aveva accolto, a ciò che leggevo sul giornale, incapace di trovare come fosse possibile che dallo stesso seme nascessero esseri tanto differenti.
Comunque, andare con spirito leggero non sarebbe stato possibile. Poi, sono arrivate le luci, i tramonti da poesia e le stradine, i luoghi classici, attraverso cui portare papà, dopo tanti anni, per la prima volta. In mezzo ad una straordinaria gioia di vivere, alla musica, al calore dei mercatini sugli Champs Elysees, al sapore del cibo, malgrado le ferite, ben visibili, a partire dai controlli, già in autostrada, fin all'ingresso di ogni negozio.
Uno specchio dell'assurdo che é.
Tutto il resto, ogni volta, é poesia, luce nuova in luoghi quasi familiari, ed un ricordo in più da aggiungere e portare via.
Au revoir.

 

 
 
 

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Post n°581 pubblicato il 02 Dicembre 2015 da enodas

 

 

 

Chapter 1 - Prologue

 

It's too much. E' troppo. Se non la prima, una delle prime cose che ho pensato. It's too much, una frase ricorrente, chissà quante volte. Tutto ciò che raggiunge i miei sensi, it's too much. L'olfatto, prima ancora che la vista, il rumore, il tatto di un clima diverso. Soverchiante, in ogni aspetto, per quanto uno possa immaginare prima di arrivare, prima di mettersi su un percorso lungo, lunghissimo, che in qualche momento mi é sembrato richiedere ogni possibile sforzo. Ma soprattutto, ho cercato di comprendere. Troppo distante la vita, la cultura, la storia. Troppo distante me stesso. E di fronte a tutto questo, ad una miriade di sensazioni e sentimenti indescrivibili, unito alle difficoltà di essere in viaggio, é inizialmente difficile procedere. Ed ancora, ripenso a quel too much, a cominciare dalla miseria disarmante, che colpisce subito, a prima vista, oltre qualsiasi aspettativa, unita alle diseguaglianze tanto abnormi quanto vicine, accozzate insieme a formare un'unica immensa scena. Un mondo nel quale camminavo, con la colpevole - in qualche modo - consapevolezza di essere velocemente di passaggio, e di trovare difficilmente sopportabile ciò che é la quotidianità di una vita. E' un pensiero che annienta, di primo impatto. Fino a quando non ci si rende conto che l'unico modo per procedere é quello di lasciarsi tutto alle spalle, per un po', il proprio mondo, le proprie abitudini, i propri filtri: solo allora, tutto quanto c'é da vedere, da scoprire, o almeno una piccola parte, diventa accessibile sotto una nuova luce.

 

 

Ma la verità é che ho incontrato una miriade di sorrisi. Ed erano sorrisi genuini. Anche questo é disarmante. Ed é forse un altro dei temi ricorrenti di questo viaggio. Cosa sia la felicità. Ogni tanto, quando la luce del giorno diventa sera, da qualche parte, qualcuno te lo chiede direttamente, che cosa sia per te, che cosa sia per lui, immersi in questo mondo così lontano, sulla riva di un fiume, lungo una strada impolverata, fosse essa immersa in un'accozzaglia di suoni o nascosta entro la polvere del deserto. Cosa sia, un matrimonio combinato, una spiritualità intensissima, i legami della tradizione e della propria terra, il suo sapore, come quello delle piante esotiche o l'amore religioso per la natura. Immagini a caso raccolte da una miriade infinita di umanità. E domande cui ovviamente non é possibile né tantomeno onesto dare una risposta.

 

 

E così, ad un certo punto, tra queste tante strade, non distinguevo più cosa fosse più interessante, tra persone come ferme ad attendermi o altri viaggiatori con le loro storie, alcune quasi dei libri da scrivere e raccontare. Tutto, in realtà in un movimento continuo, secondo una propria traiettoria ed i suoi incroci. Ho incontrato persone con un'incredibile voglia di vivere, ed una forza che sfidava la logica dell'età, donne granitiche nel loro girare ed allo stesso tempo indefinitamente fragili, ragazzi e ragazze persi in un viaggio di mesi ed altri di ritorno, su luoghi nuovi con vecchie esperienze da condividere, così come persone che procedevano da sole, dopo che i loro compagni di viaggio si erano arresi alla soverchiante intensità di questo Paese. E la verità é che, come del resto il grande palcoscenico che si spalancava davanti, ci fosse un po' di tutto. E nel frattempo, ho conosciuto famiglie intere, senza realmente conoscerne i membri, attraverso le parole di una persona soltanto. Ho navigato tra sogni e progetti, sia che fossero di rimanere sia che si trattasse di partire. Tutto ciò, anche, é stato questo viaggio, così differente, oltre i limiti per certi versi, sicuramente un po' più in là rispetto i miei limiti, in cui l'unica cosa prevedibile é l'imprevedibilità stessa del Paese, e della natura umana, che qui raggiunge densità soverchianti e francamente insostenibili, e rende ogni passo inaspettato.

 

 

Ho pensato a lungo a cosa scrivere. Un mese intero. Eppure non riesco a trovare le parole. Così tanti pensieri e così poche parole. A lungo ho immaginato questi passi come pagine di un libro. Un libro da raccontare, prima che ogni cosa, inevitabilmente, inizi a sbiadire: voglio raccontare. Un mese é poco, per un Paese che abbraccia l'estensione di un continente, ed allo stesso molto, per le possibilità che offre. Mi sono immerso in questo viaggio sin dall'inizio. Ho visto cose strazianti, azioni prive di logica - della mia logica -, normali banalità diventare assurdamente complicate. Go with the flow, l'unico modo per passarvi indenni. Ho visto immagini che difficilmente dimenticherò, nemmeno so se sia giusto o meno, provato infinita pietà ed impotenza. Ho visto la morte e la vita, uomini ed animali, parimenti, deformati in maniera innaturale, letteralmente, in unico affresco dove separare qualcosa era impossibile. Impossibile lo spazio, ristretto in surrogati di uomini, compressi fino a togliere il fiato, impossibile l'aria, il suo odore pungente che la sera riempiva il fazzoletto di inquinamento. Ed allo stesso tempo, i colori mi abbagliavano, un'infinita variazione di tonalità, meravigliosi e scintillanti come la luce, mentre la storia si nascondeva dietro labirinti di vicoli e passaggi impossibili. Ho ricevuto l'ospitalità più pure e più genuina, ed al tempo stesso evitato infinite fregature e, tra una pausa e l'altra, contrattato fino allo strenuo. Mi sono immerso, in tutto questo, sì, anche solo per un attimo, come se quei colori scintillanti e quelle storie lontane fossero l'acqua di un fiume nel quale bagnarsi. Ho cercato di farlo sempre col sorriso, perché non ci sarebbe stato motivo altrimenti e perché non sarebbe stato nemmeno giusto. E ne sono riemerso, arricchito di nuove immagini, di sensazioni e riflessioni non scritte, con un tassello in più della mia esperienza e, si spera, un segno aggiuntivo su di me. Quasi come quello segnato sulla fronte con un dito. E questa, cercherò, sarà la sua storia.

 

 

 
 
 
 
 

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