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la musica, suonare il pianoforte, suonare il mio violino, la luce del tramonto, ascoltare il mare in una spiaggia deserta, guardare il cielo stellato, l’arte, i frattali, viaggiare, conoscere e scoprire cose nuove, perdermi nei musei, andare al cinema, camminare, correre, nuotare, le immagini riflesse sull’acqua, fare fotografie, il profumo della pioggia, l’inverno, le persone semplici, il pane fresco ancora caldo, i fuochi d’artificio, la pizza il gelato e la cioccolata


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l’ipocrisia, l’opportunismo, chi indossa una maschera solo per piacere a qualcuno, l’arroganza, chi pretende di dirmi cosa devo fare, chi giudica, chi ha sempre un problema più grosso del mio, sentirmi tradito, le offese gratuite, i luoghi affollati, essere al centro dell’attenzione, chi non ascolta, chi parla tanto ma poi…, l’invidia, il passato di verdura





 
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Messaggi di Aprile 2017

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Post n°691 pubblicato il 26 Aprile 2017 da enodas

 

 

Non so perché questo luogo risvegli tanti ricordi. Alcuni non sono mai avvenuti. Eppure, è come se fossero fusi tutti insieme. Forse sarà un tocco di magia, che si ripete una volta l’anno. Forse suoni di campanelle azzurre mosse dal vento, come sussurri bisbigliati da elfi. Allungo la mano, voglio sfiorare queste voci silenziose, ma è una delicatezza che fugge, timida e fragile. Vorrei allungare lo sguardo, allora, verso l’alto, e la vista del cielo appare lontana, nascosta dagli aneliti delle sequoie. Non posso competere. Tutto, nel silenzio risuona.

 

 

Non ho molti dubbi che sia questo il momento migliore per venire in Olanda. Tanto che forse sarebbe pure ingannevole. In ogni caso, fare rotta verso nord, in questi giorni, è una specie di rito che mi accompagna da quando sono arrivato qui. E pazienza se questa volta il vento sarà un po’ più freddo di altri anni, le distese di colore che si allungano su linee diritte e regolari brillano in un leggero ondeggiare che è ritmo continuo, quasi una danza. Ho cercato un abbraccio profondo, un tulipano che era un piccolo anatroccolo, perso in un colore differente dal suo, o ancora una sfumatura increspata. Ogni cosa che, su questa linea piatta di paesaggio mi sussurrasse una racconto, un pensiero, un’emozione. Perché potesse anch’essa danzare su un alito di vento.

 

 

Sono stati giorni intensi, con cose da fare, luoghi da vedere e tanto da condividere. Almeno un po’. Colori, luoghi passati e futuri, sapori. Anche una telefonata, a volte, come prima di partire, oggi, verso l’aeroporto. A volte penso, in anticipo, a dove, a come, cercando di annotare nella mente. Anche se il tempo è quello che è, e passa in fretta.

 

 

 
 
 

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Post n°690 pubblicato il 23 Aprile 2017 da enodas

 

 

“Deep within a forest atop a volcano, exists an extraordinary world, where anything is possible: Varekai... From the sky falls a solitary young man, and the story begins. Parachuted into the shadows of a magical forest, a kaleidoscopic world imbued with fantastical creatures, a young man takes flight in an adventure both absurd and extraordinary. On this day at the edge of time, in this place of all possibilities, begins an inspired incantation to life rediscovered…”

 

 

Se Varekai significa “ovunque”, “wherever”, in un certo senso questa storia è un omaggio alla tradizione del circo in sè ed allo spirito di eterno vagabondo che lo accompagna. E’ un vagabondare spiegato su ali artificiali, inseguendo quell sogno che è il volo e che già alla fine dall’antichità divenne mito. E come nei sogni, non c’è da meravigliarsi se sia ambientato in un mondo mistico, una foresta ancestrale popolata da creature bizarre e fantastiche, che dopo la caduta soccorreranno l’anima vagabonda e la salveranno restituendo a quelle ali la capacità di volare.
E come nei sogni, come nel volo, come nel circo, l’impossibile diventa possibile.

Del resto, è questa la sensazione magica che avvolge questa carovana itinerante, che arriva spesso con una storia sempre nuova da raccontare. E’ difficile fare un confronto, perché ogni storia va ogni volta decifrata e riletta una volta finito, quando questa illusione che è quasi magica spegne i suoi riflettori abbaglianti. Alcune, come in questo caso, hanno un filo conduttore più chiaro ed evidenziano meno l’aspetto acrobatico (che rimane comunque di altissimo livello). Non resta che lasciarsi condurre dalle linee disegnate nello spazio e tracciate dalle musiche scritte su un pentagramma impazzito. E quel volo diventa realtà davanti sotto i tuoi occhi.

 

[...]

 
 
 

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Post n°689 pubblicato il 20 Aprile 2017 da enodas

 

 

Aprì gli occhi: la polvere gli oscurava la vista già stretta attraverso la feritoia e gli riempiva le narici rendendo ancora più pesante l’incedere del respiro. Un fitto dolore al braccio, improvvisamente, gli trafisse la mente, un attimo soltanto. Strinse la mano, di rabbia e di forza: lo scudo spezzato era da qualche parte, lì vicino. Ma ormai era inservibile. La spada, mancava. Cercò un respiro profondo che gli si smorzava in gola. Cercò l’aria, oltre la visiera, come se potesse catturarla con gli occhi. Ma la sua stessa caduta gli oscurava la visto del cielo, e dalla fessura, l’arida terra risplendeva di un bagliore d’oro diffuso. Lo vide riflesso nei suoi occhi di bambino, in un tempo che improvvisamente gli appariva lontano, quando il suo destriero era un compagno di sogni. Vide una stanza, ampia e splendente, un tavolo grande che osservava dal basso, ed un alito di vento alla finestra. Vide le trecce della sorella, quando si rincorrevano, e l’abbraccio della madre, che li catturava entrambi. Volava nel tempo, con gli occhi spalancati ed il respiro sospeso, tanto i ricordi passavano veloci. Sentì le mani stringersi in quelle di una donna, ed un senso di comprensione del mondo che mai aveva provato. Voleva urlare perchè improvvisamente capì che guardava un castello allontanarsi. E la mano si strinse, non per cercare quella mano, ma per un ultimo disperato tentativo. La polvere dorata oltre la visiera si scurì di un’ombra improvvisa. Non gliene fece una colpa. Cercò in esso un significato profondo una risposta mancante. Una lacrima voleva sgorgare dagli occhi.
Ma non ne ebbe il tempo. E calò l’oscurità.

 

 
 
 

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Post n°688 pubblicato il 19 Aprile 2017 da enodas

 

 

 

Alla fine, ci sarà sempre un castello. Lo so di averlo scritto ancora, da qualche parte. Perchè dalle sua mura il tempo possa assumere una dimensione diversa, rallentare, magari quasi fermarsi. Un metronomo, quasi, stillato come gocce d'acqua trasportate da un fiume, tra linee e meandri che rinascono dietro ogni curva. E' la lentezza, costante e silenziosa, il comune denominatore di questo viaggiare, inoltrarsi per stradine in salita verso mura abbattute e mastodonti spettrali, passando per i tralci avvitati di vigne quasi sospese nel vuoto, o piccoli borghi rannicchiati su se stessi. Per questo, alla fine, ci sarà sempre un castello, o una fortezza sepolta, o uno sguardo dall'alto: perchè non esiste senza, ogni fiaba del nord. Anche quando ancora resta da scrivere.

 

 

Sono partito da nord, tra calici di vino e ricami di crema. Il cielo era scuro, all'orizzonte, e molto poco parlava di primavera. La valle della Mosella è meno conosciuta rispetto a quella del Reno, con il quale confluisce a Coblenza, e risale fin verso la Francia. Io mi sono fermato prima, in uno degli ultimi avamposti dell'impero romano, dove una porta ancora resta a guardia del cardo, trasformata e ritrasformata nel tempo, e vetrate brillanti illuminano altrove volte di cieli stellati. Ho risalito questo fiume lentamente, come le sue acque esigevano, perchè poi non è che avessi molto altro da fare che adattarmi ed assaporare il paesaggio. E quell'atmosfera un po' cupa che mi ha accompagnato forse tradiva la dolcezza del vino e delle linee sulle quali aveva origine, ma al tempo stesso raccontava quel mondo germanico che proprio qui, simbolicamente, si era arrestato.

 

 

"... Tu, scorrendo con acque placide, non soffri mai
mormorii di vento e urti con rocce nascoste,
non sei costretto a precipitare i tuoi flutti dal ribollire
di nessun bassifondo, non sei interrotto da terre
a metà del tuo corso, in modo che nessun’isola
separando le acque ti tolga l’onore del nome di fiume. ..."

(Decimo Magno Ausonio)

 
 
 

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Post n°687 pubblicato il 14 Aprile 2017 da enodas

 

Ho guardato nel buio. Non avevo riferimento, eppure sapevo di essere a Roma. Lo sentivo, come una spina nel cuore. In questo luogo, non ben precisato, un angolo, una stanza, non lo so, aprivo un cassetto. Come se tutto fosse racchiuso lì dentro, come se sapessi di trovarvi qualcosa, che dopo anni, come un cerchio che doveva chiudere, la mia risposta e la mia ragione si trovasse lì, in un biglietto. E nel tenerlo tra le mani, nell'aprirlo, mi sono sentito sollevato, d'improvviso, di ferite profonde nell'anima. Quel biglietto mi parlava di lei, era lei a parlarmi, con un messaggio lasciato quando ancora mi stava ferendo. Ho avuto l'illusione che quella fosse una carezza abbandonata per me, perchè la potessi trovare. E' così che l'ho aperta, è così che è rimasta, prima che gli occhi mi allontanassero dal sogno.

 

 

 
 
 

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Post n°686 pubblicato il 10 Aprile 2017 da enodas

 

 

 

“Cadono i fiori di ciliegio
sugli specchi d’acqua della risaia:
stelle, al chiarore di una notte senza luna”


 
 
 

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Post n°685 pubblicato il 03 Aprile 2017 da enodas

 

 

“… Più vicino all'umano, sarà infinitamente delicato e pieno di riguardi, buono e chiaro in tutte le cose che lega e scioglie. Sarà quell'amore che noi prepariamo lottando aspramente: due solitudini che si proteggono, si completano, si limitano e s'inchinano l'una davanti all'altra...
[…] Non crediate che l'amore che avete conosciuto da adolescente sia perduto. Non ha fatto germogliare in voi delle aspirazioni ricche e forti, dei progetti di cui vivete ancora oggi? Credo che questo amore non sopravviva nel vostro ricordo tanto forte e potente, se non perche è stato per voi la prima occasione d'essere solo nel più intimo di voi stesso, il primo sforzo interiore che abbiate tentato nella vostra vita…”

(Rainer Maria Rilke - Lettere ad un giovane poeta)

 

Da quello stesso libretto, ogni tanto raccolgo frasi in ordine sparso. Ho guardato indietro, e pensato ad un momento ben preciso, molto tempo fa. Praticamente in automatico. Non ho mai dato significato ai miei fallimenti, che non andassero oltre la sconfitta con la mia timidezza e tanto altro. Vorrei saper ripensare ad allora con parole come queste, perché ci fosse sempre un significato nascosto, un motivo. Da molto tempo ho smesso di pensare in questo mondo, sopraffatto dall’idea della casualità delle cose, e da alcuni racconti infelici scritti di mio pugno. Almeno, vorrei poter pensare che non sia perduto. Che in qualche modo avesse un suo valore e, da qualche parte, esistesse.

 

 

 
 
 
 
 

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