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la musica, suonare il pianoforte, suonare il mio violino, la luce del tramonto, ascoltare il mare in una spiaggia deserta, guardare il cielo stellato, l’arte, i frattali, viaggiare, conoscere e scoprire cose nuove, perdermi nei musei, andare al cinema, camminare, correre, nuotare, le immagini riflesse sull’acqua, fare fotografie, il profumo della pioggia, l’inverno, le persone semplici, il pane fresco ancora caldo, i fuochi d’artificio, la pizza il gelato e la cioccolata


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l’ipocrisia, l’opportunismo, chi indossa una maschera solo per piacere a qualcuno, l’arroganza, chi pretende di dirmi cosa devo fare, chi giudica, chi ha sempre un problema più grosso del mio, sentirmi tradito, le offese gratuite, i luoghi affollati, essere al centro dell’attenzione, chi non ascolta, chi parla tanto ma poi…, l’invidia, il passato di verdura





 
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Messaggi di Ottobre 2017

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Post n°727 pubblicato il 26 Ottobre 2017 da enodas

 

 

"...Alla vostra regale stirpe noi portiamo le nostre fanciulle dalle guance rosse, mettendole su carri trainati da un cammello nero-bruno e, mandandolo al trotto, le portiamo al vostro talamo di qagan. Non litighiamo né con tribù né con popoli. Una volta allevate le nostre fanciulle dal bellissimo volto, le mettiamo in un carro coperto trainato da un cammello grigio, le poniamo su un alto talamo quale metà preziosissima..."

 

 

Parte Quarta - Il deserto di sabbia

 

Preziosissima é l'acqua in una distesa dorata. Questo é un miraggio, deve esserlo, per la tanta bellezza, o un tesoro nascosto. Pensare che, in verità, ci siamo giunti scavalcando linee che sembravano senza fine, lasciandoci alle spalle i mezzi in panne. Qualche Dio dei viaggiatori ha fatto sì che accadesse qui, un'unica ger ad un chilometro di distanza, qualche centinaio di pecore, ed alle nostre spalle un muro di sabbia. Oltre c'era questo, un lago sorto dal nulla, colmo d'azzurro e di vita, solcato da stormi di cigni e filamenti d'erba. Più un miraggio che realtà, un frammento di questo cielo incastonato nella sabbia come una gemma, al quale sono arrivato seguendo orme leggere lasciate su linee danzanti.

 

 

Sto affondando, letteralmente. Ed ogni passo slitta verso il basso, spinto giù da una forza crudele. Non so se sia la stanchezza, l'altitudine media, la sabbia più crudele di quanto mi aspettassi, ma conquistare questa duna a tratti mi mette in ginocchio. Respiro, più profondamente che posso. Perché voglio raggiungere la crina, tendere l'orecchio ed ascoltare il sussurro della sabbia che scorre, grano su grano, fino a scavalcare quella linea perfetta che disegna le dune, che separa luce da ombra, finanche notte dal giorno, ora che il sole, in questo deserto di sabbia tenderà a scomparire, proiettando luci e contrasti da togliere il poco fiato rimasto, e lascerà spazio ad una sera gelida che presto inghiottirà' tutto, il calore nascosto nella sabbia, l'orizzonte del giorno, il riferimento di un fuoco.

 

 

Sono tornato con la mente alla sabbia. In questa variazione continua, alla fine, ai miei occhi la parola deserto si associa inevitabilmente a questo elemento impalpabile, al tempo stesso infido e magico. Alla fine, questa é l'immagine che ci viene impressa fin da bambini. Tra le mani, é scivolata via, come un canto perduto, assorbito dal vento. Forza nascosta dalla Natura. L'ho accarezzata in attesa di un tramonto, il cui fuoco mi ha riportato indietro, sulle sponde del Sahara, quando si materializzava per la prima volta, osservando una minuta orma leggera che attraversava i passi pesanti impressi dalle mie scarpe, ben sapendo che il vento era pronto a cancellarle in una notte di gelo. L'ho accarezzata con lo sguardo, quando era un profilo lontano, mentre le ruote saltellavano su piste di pietra: quelle dune erano un riflesso ed un confine perenne, immobile, che chiudeva l'orizzonte, come se immediatamente oltre il loro profilo si nascondesse un paradiso segreto, una terra promessa di colori sfavillanti che rimaneva illusione.

 

 
 
 

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Post n°726 pubblicato il 21 Ottobre 2017 da enodas

 

 

 

"...In questo combattimento Cinggis-qan fu ferito all'arteria del collo. Era impossibile fermare il sangue; Cinggis-qan era scosso dalla febbre. Con il tramonto si erano accampati in vista del nemico, sul luogo della battaglia. Jelme succhiava continuamente il sangue che si andava rapprendendo. Era seduto con la bocca insanguinata presso il ferito e non si fidava di nessuno abbastanza per farsi sostituire. Quando aveva la bocca piena, o sputava il sangue o lo inghiottiva..."

 

 

Parte Terza - Il deserto della steppa

 

Il deserto della steppa é il verde smeraldo, anche se a fine estate tende ad essere un colore opaco ormai consunto dal sole. Sono bastati pochi chilometri, poche colline perché dalla città si aprisse questo tappeto sconfinato, dove ogni altra presenza non era altro che un punto minuscolo ed insignificante. Il deserto della steppa é il bianco candido di una ger che già si intravede da lontano. Insieme al verde nella quale é immersa fonde l'essenza di un Paese intero e di un viaggio completo. Mondo ed esistenza racchiusi in un'unica stanza, annebbiata dal fumo, intrisa dell'odore del latte, formidabile mezzo mobile che altro non é che una propaggine dei cavalli e delle mandrie di capre che la circondano, una volta avvicinatisi. Il deserto della steppa é un cielo azzurro senza macchie e senza compromessi, elemento comprimario di quel verde prezioso che copre la terra. Quasi che fosse il suo specchio perfetto, questo blu intenso é, nel cuore dei Mongoli, un dio creatore ed un approdo finale.

 

 

"...Tayang-qan si adirò a queste parole e disse: "Destino dell'uomo é morire, destino dell'uomo é soffrire. Se questo é ciò che volete, battiamoci". ..."

 

Non é difficile scorgere qualche carcassa, di tanto in tanto, finanche a ridosso della strada, o di quel che rimane di una strada. La si scorge seguendo il movimento rapace degli avvoltoi, nell'aria, o il profilo ricurvo intento a divorare dei miseri resti, a terra, incuranti di un motore che sfreccia a poca distanza. La vita si consuma così, nel modo più naturale possibile, in realtà, e quel che ne resta rimane esposto in tutta la sua nuda crudezza. Questa immagine, più di quelle prime di animali liberi in un prato sconfinato, sono quelle che mi colpiscono di più, come a rammentarmi che questo paesaggio così uniforme e silenzioso reca insito in se stesso una legge di violenza ed inevitabilità. E così lo sanno i Mongoli stessi che, almeno nelle proprie tradizioni più pure o tuttora nei luoghi più remoti, ancora restituiscono l'anima al cielo nello stesso modo, a cielo aperto, appunto, perché la terra e la volta che la sovrasta riaccolgano i loro corpi secondo natura. E' un'immagine sconvolgente, da concepite, forse semplicemente perché esposta alla vista ed agli elementi. Come quella sul ciglio della strada.

 

 

 
 
 

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Post n°725 pubblicato il 17 Ottobre 2017 da enodas

 

 

Tra ieri ed oggi mi sono trovato a dover viaggiare, nuovamente, per tornare in fretta verso casa e, altrettanto in fretta ripartire. Sono stanchissimo. Sono sceso per una cerimonia funebre, e salutare una persona che - ho saputo - proprio in questi giorni sarebbe dovuta partire per le vacanze. La distanza ed il tempo, per quanto si cerchi di annullare la prima ed ignorare il secondo, rimangono qualcosa di sconvolgente, come sconvolgente é questo pensiero.

 
 
 

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Post n°724 pubblicato il 14 Ottobre 2017 da enodas

 

 

"...Ma se il Qan mostrasse clemenza, io lo servirei così: attraverserei acque melmose, spaccherei le pietre. All'ordine 'avanti' spezzerei anche le pietre. All'ordine 'ritirata' stritolerei qualunque roccia..."

 

 

Parte Seconda - Il deserto del Gobi

 

Perché questo non è soltanto un nome che evoca leggenda… scendere lungo la strada e vedere il paesaggio cambiare, lento ed inesorabile, verso un inferno di roccia prima, di arida pietraia poi, sempre più a sud, verso le grandi montagne di sabbia… che luogo è davvero questo, che deserto può essere nelle mie variazioni… forse è semplicemente il Gobi, con la sua anomea di luogo che non perdona, l’antro più inospitale del pianeta, diviso da un confine invisibile, una linea che si fonde ai tanti miraggi, in un orizzonte sempre uguale, piatto e crudele, dal quale sembra non possa esserci scampo.

 

 

Ho osservato il cielo come forse mai avrei potuto fare. Rabbrividendo al freddo penetrante che la notte scende sul nulla. Notte di deserto come mai prima d'ora. Forse è successo solo un’altra volta, tanti anni, sulle spiagge di un'isola greca. Forse, la meraviglia allora ha trasognato i miei ricordi, e la limpidezza di queste notti é qualcosa di nuovo, mai sperimentato prima. Mi proteggo dal freddo spalle alla porta, dove il fuoco della stufa arde incandescente, fino ad estinguersi, in un punto imprecisato della notte gelida. Vorrei osservare per ore, fermare il tempo, come immobili sembrano le stelle, cucite su un tappeto mai ammirato prima, e lasciar spalancare l'animo in una proiezione celeste, una linea infinita di pensieri, appunti ed emozioni, consapevole che raramente, credo, avrò un'occasione simile. Il mio deserto si proietta su questa volta senza fine. Forse soltanto questa potrà superare in vastità il paesaggio in cui sono immerso.

 

 

Difficilmente potrei descrivere la desolazione di una strada che passa attraverso quello che dovrebbe essere un villaggio come una stazione di posta. E' una desolazione nel luogo stesso in quanto é. Una strada impolverata, qualche oggetto scardinato,, una porta scrostata per un edificio che si antepone ad una ger. Ogni crocevia é un silenzio che sa di abbandono, sferzato dal vento, oppresso dal nulla, interrotto soltanto dal passaggio di un bambino o dalla scia di polvere sollevata in lontananza da una motocicletta cavalcata in coppia da personaggi che, man mano si avvicinano, quasi paiono in costume. E' una scena nuova che diventerà familiare, attraverso molti particolari in comune, ma che adesso si presenta come nuova. Perché Gobi é soltanto un nome, una regione, ma tutto questo non sembra conoscere limiti.

 

 

"...Al momento del parto egli nacque tenendo in mano un grumo di sangue rappreso che assomigliava a un aliosso. E si disse: "E' nato mentre veniva catturato Temujin-Uge dei Tartari", e fu così che gli si pose nome Temujin..."

Rossa come il fuoco, antica come le uova di dinosauro che ha preservato alla sua base scolpita dal vento. E' roccia, é un'isola sospesa nel vuoto, una voragine colma di polvere ed una linea d'orizzonte spazzata da folate che mi fanno piegare in avanti pur di restare in equilibrio. Sibili sinistri. Ed una sensazione di potenza straordinaria, tra le mani, nelle braccia, salgono in unico grido fino alla gola, dove rimarrà sordo, catturato da quel vento stesso, immediatamente, e disperso tra pinnacoli di roccia e nubi di sabbia, lungo la piana ai miei piedi.

 

 

 
 
 

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Post n°723 pubblicato il 11 Ottobre 2017 da enodas

 

 

 

"Antenato di Cinggis-qagan fu Borte-Cino, nato per volere del Cielo Supremo. Sua consorte fu Qoa-Maral. Essi apparvero dopo aver attraversato a nuoto il Tenggis (mare interno). Pascolarono le loro mandrie presso la sorgente del fiume Onon, al Burqan-qaldun, e loro discendente fu Bata-Ciqan..."

 

 

Parte Prima - Introduzione

 

Ho pensato questo viaggio come un'infinita variazione. Infinito era il paesaggio che si stendeva davanti a me, continuo, impossibile da contenere. Quest'idea delle variazioni, come fossero note di una stessa melodia, si é fatta avanti poco a poco, mentre questo paesaggio lo osservavo attraverso un finestrino, a tratto sporco di polvere a tratti rigato di pioggia gelata, sbalzato di qua e di là su una strada che non esisteva, tracciata com'era dal passaggio di altre ruote a cercare una linea ruvida e selvaggia su un suolo che non aveva altro da dire che tormentare le ruote del furgoncino. Così ho immaginato il mio racconto, perso in un luogo dove ogni misura aveva perso qualsiasi significato e dove il tempo aveva assunto un'altra dimensione.

 

 

Qualcosa nel nulla risplende. A chiunque avessi detto che sarei andato in Mongolia, la reazione era sempre la stessa. Cosa c'é mai da vedere in Mongolia. La mia risposta, pure, lasciava poco spazio, riassunta in un'alzata di spalle. La verità é che non so esattamente perché mi sia sentito così attratto da questa terra. E narrare la mia attrazione per il deserto come luogo dell'anima difficilmente mi avrebbe aiutato. Ma c'era di più. Forse, implicitamente, legavo in modo indissolubile questa terra con la sua gente, un pugno di anime sparso in una vastità troppo grande da contenere e da assere assogettata, soverchiato dal numero di animali da bestiame, dal rumore di quei cavalli cui hanno legato da sempre la propria vita, chiamati per nome, uno ad uno, come prolungamento pulsante di loro stessi. Non mi sbagliavo. Legavo la loro storia ad un viaggio, per eccellenza, un peregrinare senza meta, continuo, che si assimilasse alla loro stessa esistenza, e ad un senso di ospitalità ancestrale quanto necessario per sopravvivere. Perché in un luogo come questo non potrebbe essere altrimenti, ed il conforto riservato al viaggiatore, chiunque egli sia, é una regola sacra che in semplicità e necessità si tramanda attraverso la steppa.

 

 

Ho pensato che in un certo senso stavo osservando la Terra così come era senza il dominio dell'uomo. Incontaminato e rispettato in osservanza di un equilibrio universale col cielo come una volta azzurra, ciò che vedevo era quanto di più primitivo abbia mai immaginato. E' un'idea che mi ha affascinato, sin dalla prima volta. Così come il terreno, anche il mondo delle persone scorreva in un'altra dimensione, come un tempo antico, di centinaia di anni, non lontano da quello che ha visto questo popolo conquistare il mondo. Nella crudezza della natura ho trovato la loro forza, forgiata giorno per giorno. Queste tre settimane sono passate seguendo quel tempo, scorrendo con una lentezza tale da farmi sentire come se fossi stato via molto, ma molto più a lungo. E' stato un viaggio che ammetto mi ha provato fisicamente, piegato negli ultimi giorni da un tempo che stava cambiando rapidamente verso un inverno che risulta presto diverso da quello cui siamo abituati, e da uno spostamento continuo. Questo, in un certo senso, é stato il limite da oltrepassare. Oltre, ho trovato luoghi di una bellezza straordinaria, il calore di un fuoco condiviso ad avvolgermi, ed una delle cose più spettacolari cui abbia mai potuto partecipare.

 

 

 
 
 
 
 

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