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Il cerchio rotto

Post n°152 pubblicato il 23 Febbraio 2010 da esperiMente

Scende con il motorino dal paesino di montagna in cui ha passato il pomeriggio con il suo ragazzo.
Sciolto nella pigrizia della fine di agosto, il giorno è scivolato via sulle rocce viscide del torrente, insieme alle risate e ai sussurri di nuovi languori.

Hanno perso il sentiero del tempo, e lui ha dovuto rientrare in fretta. I vestiti sul costume bagnato e via. Un amico lo aspetta in città, e il cellulare non è possibile nemmeno immaginarlo, ancora.

Lei, di conseguenza, scende sola, godendo il silenzio del pendio boscoso, col motorino messo a bicicletta per andare più forte, e risparmiare miscela.
Arrotola curve macchiate dai raggi tardivi e sorride, la pelle ancora rapita da baci curiosi e scherzi con l'acqua gelata.

Prima di un tornante, accanto a una piccola auto rossa ferma sul lato sinistro della strada, un uomo in costume da bagno la guarda passare. Poco dopo quell'auto la sorpassa, ma lei è troppo assorta nei suoi pensieri di quindicenne innamorata e serena per farci caso.
Canticchiando "Moonlight shadow", lascia che l'aria tiepida giochi a solleticarle il collo con i capelli e sventolarle l'orlo della gonna sulle cosce dorate.

Volta un'altra curva e l'uomo è là, al fondo della discesa. Si è spostato sulla destra e la guarda. E' robusto, alto, di pelle chiara e capelli rossicci. Costume blu. E la guarda.

"Cosa aspetta quello?", fa in tempo a pensare.

Aspetta lei.

In un attimo le è addosso. La placca, come ha visto fare ai giocatori di rugby.
La prende in velocità mentre passa, ma lei gli sfugge, e non cade. Rimane ferma, e zitta, a cavallo del motorino. Con l'improvviso negli occhi vede l'uomo ridere e tenere alta la sua borsetta, e ancora non capisce. Ma lui, con la mano sinistra, si abbassa il costume per mettere subito in mostra le sue intenzioni.
Non lo guarda, ma sa. Si vergogna e non guarda. Non ha mai visto l'eccitazione di un maschio, ma sa. E non guarda lì, ma sostiene indecisa lo sguardo arrogante.

"E adesso cosa mi dai, in cambio della borsa?" dice una voce che forse arriva da un film, perché non può essere vera, non può rivolgersi a lei.
Vorrebbe scappare, ma la vita è più veloce dei pensieri e lui la prende.
Molla la borsa e il cazzo e la strappa dal suo motorino come se fosse una foglia già secca che non vuole staccarsi dal ramo.
Tutto succede in silenzio, nella luce surreale di un tardo pomeriggio di fine estate.

Lei scalcia e picchia e morde, ma è come colpire un tronco di quercia.
La porta nel bosco e la getta in terra, sul sentiero umido e odoroso di funghi precoci.
Mentre le chiude la bocca inutilmente, perché tanto non riuscirebbe ad urlare, e le strappa le mutandine e la maglietta leggera, ecco che arriva limpida la risposta al nebuloso senso di inferiorità che lei ha sempre intuito e non sapeva leggere.

Lui è il maschio. Grosso e forte e baffuto, e ha un bastone fra le gambe con cui le apre una ferita che non si rimarginerà.
Lei è femmina. Piccola e fragile, indosserà la sua ferita per sempre.

"Apri gli occhi, puttana".

Ma non lo fa. Non vuole vedere, non riesce. Può farle violenza ma non può aprirle gli occhi.
Deve assistere solo, al suo scempio.

Con le unghie lei fruga il terreno, gratta radici, schiaccia piccoli insetti. Trova un sasso grande, più grande della sua mano.
Ci si aggrappa, lo solleva e picchia. Con tutta la disperazione che riesce a raccogliere, apre gli occhi e picchia forte la tempia sudata e rossiccia.
Sul volto orrido e convulso la sorpresa è più rapida del dolore.

"Puttana". E si schianta pesante addosso a lei, immergendola in un fiume di sangue.
Lei respira, finalmente, poi spinge via con le ultime forze l'ingombro oltraggioso da sopra e da dentro.
Resta lì a respirare. Non ce la fa, a muoversi. Ascolta il silenzio fra un battito e l'altro del suo cuore testardo.

Preferirebbe essere morta, ma il suo corpo non ne ha voluto sapere, di morire.
Non le dà alcun sollievo, essere Davide. Servirà soltanto a trascinare quel momento per tutta una vita.
Hanno perso entrambi. Non sa che farsene, della sua legittima difesa. Prendere una vita non ti restituisce la tua. E non si chiude più, uno strappo. Si rammenda, ma non è la stessa cosa.

Nel raggio obliquo che stupra il fogliame e si va a spegnere a terra, il loro sangue ha lo stesso colore.

 

 

 

 

 

 

 
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ANGELO VASSALLO
Sindaco di Pollica (SA)

ucciso il 5 settembre 2010


Uccidendo Vassallo, la mafia non ha voluto solo difendere le attività legate al narcotraffico e all'edilizia. Ha ucciso un profeta. Un eletto dal popolo che affrontava con intensità e coraggio le disfunzioni più evidenti ella società contemporanea.

Alain Faure - direttore di ricerca Istituto di studi politici di Grenoble - LE MONDE 

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