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... come fiordalisi in un un campo di grano. (D. Bonhoeffer)

 

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il grigio lunedì della politica

Post n°553 pubblicato il 03 Settembre 2010 da Fajr
 


«Debbono imparare, quei governanti, che il governo non è tutela, non negazione, bensì armonizzazione degli interessi dei gruppi; ciò presuppone che il cittadino non venga considerato puro oggetto di manipolazione, ma partner a pieno diritto nel dialogo dal quale solo può nascere un ordine sociale superiore».

EDUARD GOLDSTOCKER

 

Luminarie di San RoccoNarrano le cronache che un vecchissimo e stimato uomo politico, uno dei padri del pensiero democratico moderno, fosse solito dire ai giovani accigliati che lo andavano a trovare: «Se la vita non è sempre una festa, perché dovrebbe esserlo la politica? ». E con quella levità straordinaria che gli aveva consentito di sopravvivere con dignità ai sommovimenti e alle glaciazioni delle ere politiche e di rimanere sempre se stesso nel variare mai prevedibile delle situazioni, aggiungeva: «La democrazia, come la vita, bisogna amarla così, con le sue feste e i suoi lunedì ».

Le cronache non narrano se i giovani accigliati che lo stavano ad ascoltare convertissero il broncio in sorriso. Ma è certo, e Io confermarono in seguito con un lungo e irreprensibile impegno nei vari campi della vita pubblica, che dalla levità di quelle parole essi assorbissero insieme al tesoro del disincanto anche quello della costanza. Di questa duplice ricchezza avremmo bisogno anche noi, sempre, ma soprattutto nei momenti in cui sembra che la democrazia attraversi uno dei suoi fatidici lunedì. E' questo uno di quei momenti? Può darsi.

Di certo c'è che ora la democrazia, coi suoi partiti, le sue elezioni, ì suoi organi rappresentativi, il suo rituale insomma, chiede di essere amata nel suo grigiore. Nessuna ventata di giovinezza per le strade, nessuna esaltante novità. In giro solo domande elementari, disarmanti nella loro " banalità ": lavoro, sicurezza, onestà, diritto; ed altre dettate dalla paura, dal terrore del futuro: la pace, il verde,... La festa della creatività e della fantasia è passata.

Né più luccicante sembra il panorama degli interlocutori cui le domande si rivolgono, i partiti. Consapevoli essi stessi di non brillare, cercano in qualche modo di spiegare che loro possono quel che possono, che il grigiore è nelle cose e che le cose non sono solo frutto della loro opera.

Capri espiatori, i partiti, di una diffusa incapacità di convivere col grigiore, della difficoltà di dimenticare la festa, di tollerare se non di amare anche il lunedì oltre che la festa, perché la settimana della politica ha gli stessi giorni dell'uomo? Difficile rispondere. Ma è pur vero che ancora non si è imparato a vivere il rituale politico (il partito, il voto, la rappresentatività) con il distacco e la costanza necessari per proteggersi dalle illusioni e dalle delusioni, malattie tremende. Dall'illusione che dalla politica si possa ottenere il regno della felicità e dalla delusione perché essa non riesce nemmeno a circoscrivere il regno del dolore, l'unica cosa le si possa onestamente chiedere.

Disincanto per non chiedere troppo; costanza per continuare a chiedere il possibile dopo aver archiviato le puntuali spesso amare delusioni. Ma il possibile bisogna chiederlo e il possibile bisogna anche farlo, perché non succeda che alla democrazia si chieda di più proprio quando si è disposti a darle di meno. A ognuno le sue responsabilità, comunque, a prescindere dalle irresponsabilità di qualsivoglia. Costanti dunque nel fare e nel chiedere il possibile. Troppe stragi sono nella memoria e sulle pagine dei giornali. E spesso esse nascono dall'aver troppo chiesto, troppo preteso dalla politica: spesso il regno della felicità. Ma talvolta esse nascono dal non aver preteso nemmeno poco, dal non essere stati nemmeno esigenti sul possibile. Oggi il doverosamente possibile si chiama disarmo, lotta alla fame, solidarietà internazionale, occupazione, onestà. Questo bisogna esigerlo e su questo ognuno si assuma le sue responsabilità.

Se non è un momento di festa per la democrazia, se la settimana è ferma sul lunedì, questo può essere comunque un buon momento per praticare il disincanto e la costanza.

Vincenzo PASSERINI, Rivista Il margine, n.5/1983

 

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Commenti al Post:
rypdal
rypdal il 05/09/10 alle 00:54 via WEB
I lunedì si accettano come un'imposizione che viene dalla forza maggiore. Il grigiore offusca la percezione dei pericoli, e chissà che non sia giusto così (il "giusto" è un postulato). Forse, invece, la ricerca di colori più attraenti avrebbe bisogno di essere guidata, di non essere lasciata ai brontolii di pancia. La frase che hai messo quale incipit parte da un presupposto non certo. In fondo nessuno sa se la democrazia, come ogni altra forma di ordinamento, non sia un falso, funzionale alla detenzione e gestione del potere da parte di chi ne fa lo scopo della propria esistenza. Belle le luminarie accese. Ci passai sotto a Margherita di Savoia, ma erano spente perché era pieno giorno, faceva un caldo al limite del sopportabile, davanti a me c'era uno su Hyosung Aquila, e la fila di macchine andava insopportabilmente piano. Queste dove sono?
 
 
Fajr
Fajr il 05/09/10 alle 01:06 via WEB
Senti, frì... falsa o funzionale, la democrazia resta, comunque, la migliore opzione attualmente disponibile nel consesso umano... e vale ancora la pena difenderla, in my opinion.
Le luminarie in foto (my production) sono di Loco, lo scorso 16 agosto... festa patronale con gara finale di fuochi pirotecnici in valle... niente male... :o)
 
 
Fajr
Fajr il 05/09/10 alle 01:09 via WEB
Hai notato la data dell'articolo di Passerini?... il tempo sembra cristallizzato in questo nostro vecchio Paese...
 
   
rypdal
rypdal il 05/09/10 alle 01:29 via WEB
Si che la notai. Non è che discuto secondo un mio punto di vista la validità della democrazia. Diciamo che non trovo che sia nulla di meglio di una dittatura il cui vertice perseguisse esattamente quello che andrebbe bene a me. Siccome questa eventualità è assai improbabile, automaticamente la democrazia è migliore. Non la discuto, solo guardo a quali sono le correnti che muovono le cose. Alle medie ci insegnarono che i moti carbonari furono le prime scintille della democrazia e anche dell'Italia che non c'era. Forse quell'analisi è un po' forzata. Temo che certe insurrezioni, se non tutte, non lasciarono alcun segno nel loro tempo contemporaneo. Che al massimo furono avvisaglie di qualcosa che iniziava a bollire, ma che non indussero da parte loro alcun cambiamento. E se fu così, fu perché i loro attori non seppero leggere il loro proprio tempo. Questa a mio parere è la prima cosa importante. Anche perché finché si può sbagliare bersaglio in questo campo, questo è un indizio che la democrazia esiste ancora. Quando davvero non esiste più, gli errori di lettura storica costano la vita senza rendere alcun servizio. Anche il paese vicino al mio ha la festa patronale a San Rocco, ma le luminarie sono meno "festose". Quest'anno non ricordo nemmeno di aver sentito i botti dei fuochi artificiali. Ma mi pare ci sia stata pioggia.
 
     
rypdal
rypdal il 05/09/10 alle 01:33 via WEB
Anzi, è più corretto se dico che la possibilità di sbagliare analisi (e conseguenti azioni) è sintomo che esiste ancora una certa libertà. Sul fatto che sia indice di democrazia siamo più sul pressappoco, anche perché la democrazia è, di fatto, una dittatura della maggioranza sulla minoranza, e le formule delle democrazie sono diverse da un posto all'altro e da un punto di vista all'altro.
 
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