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Canto secondo

Post n°310 pubblicato il 05 Ottobre 2014 da albatrho.s


 La guerra dei topi e delle rane (Canto secondo)

 

Leccapiatti, che allor sedea sul lido,
Fu testimonio dell’orrenda scena:
Raccapricciò, mise in vederla un grido,
Corse a recar la trista nuova, e appena
Udito ei fu, che di furor, di sdegno
Tutto quanto avvampò de’ topi il regno.

Banditori n’andàr per ogni parte,
Che chiamàr tutti a general consiglio.
Concorde si levò grido di Marte,
Mentre di Rodipan l’estinto figlio
Nel mezzo del pantan giacea supino,
Né per anco alla ripa era vicino.

Ognun nel giorno appresso di buon’ora
Levossi, e a casa andò di Rodipane.
Tutti sedean: rizzossi quegli allora,
E così prese a dire: Ahi triste rane,
Che a me recaro atroce, immenso affanno,
A voi tutti però comune è il danno.

Infelice ch’io son! tre figli miei
Nel più bel mi rapì morte immatura;
Per il ribaldo gatto un ne perdei,
Che il rubò mentre uscia da una fessura:
La trappola, invenzion dell’uomo scaltro,
Che strage fa di noi, men tolse un altro.

Restava il terzo, quel sì accorto e vago,
A me sì caro ed alla moglie mia.
Da Gonfiagote a naufragar nel lago
Questi fu tratto. E che si tarda? or via
Usciam contro le rane, armiamci in fretta,
Peran tutte, ché giusta è la vendetta.

Poiché si tacque il venerando topo,
Fecer plauso gli astanti al suo discorso:
Ognuno corse all’armi, e al grande scopo
Marte contribuì col suo soccorso,
E la persona a render più sicura,
Tutti i topi provvide d’armatura.

Con cortecce di fave aperte e rotte
Si fero in un momento i stivaletti,
Che rose già le avean la scorsa notte:
Di canne si formaro i corsaletti;
Colla pelle le unirono di un gatto
Che scorticato avean da lungo tratto.

Gli scudi fur di quelle ardite schiere
Unti coperchi di lucerne antiche:
Gusci di noci furo elmi e visiere:
Aghi fur lance. Alfin d’aste e loriche
Fornita, e d’elmi, e scudi, e ben montata,
In campo uscì la spaventosa armata.

Delle ranocchie il popolo si scosse,
Poiché n’ebbe novella, e venne in terra.
S’unì sul lido, onde cercar qual fosse
Pei topi la cagion di quella guerra;
Quand’ecco vien Montapignatte il saggio,
Figliuolo del guerrier Scavaformaggio.

Fermossi tra la folla, e la cagione
Di sua venuta espose in questi accenti:
Rane, da parte della mia nazione,
De’ topi miei magnanimi e possenti,
Qua ne vengo, ove lor piacque inviarmi
Nunzio di guerra ad invitarvi all’armi.

Rubabriciole vider coi lor occhi
In mezzo al lago, ove lo trasse a morte
Gonfiagote il Re vostro. Or tra i ranocchi
Chi ha più gagliardo cor, braccio più forte,
S’armi tosto, e a pugnar venga con noi:
Sì disse il topo, e fe’ ritorno ai suoi.

Fra i ranocchi un tumulto allor si desta,
Di Gonfiagote il Rege ognun si duole,
Palpita e trema ognun per la sua testa,
Niun la sfida de’ topi accettar vuole:
Ma della funestissima novella
Per consolarli il Re così favella:

Calmate, rane mie, questi timori,
Ch’io, come tutti voi, sono innocente;
Non date fede ai topi mentitori:
Ben so che certo sorcio impertinente,
Il navigar di noi d’imitar vago,
Gittossi in acqua, e s’affogò nel lago.

Ma nol vidi però quando annegossi,
Né la cagione io fui della sua morte.
Or se da’ topi contro noi levossi
Sì numeroso esercito e sì forte,
Armiamoci noi pur; del loro ardire
Fra poco in campo li farem pentire.

Udite attentamente il pensier mio.
Ben armati porremci sulla riva
Tutti là dove ertissimo è il pendìo:
Aspetteremo i topi, e quando arriva
La loro armata, tutti lor dall’alto
Costringerem nell’acqua a fare un salto.

Così senz’alcun rischio in un sol giorno
Distruggerem l’esercito nemico,
Che dal pantan più non farà ritorno.
Orsù dunque badate a quel ch’io dico;
L’armi indossiamo, e stiamo allegramente,
Che or or ci sbrigherem di quella gente.

Ubbidiscono tutti, e colle foglie
Delle malve si fanno le gambiere,
Bieta per far corazze ognun raccoglie,
Col cavolo ciascun fassi il brocchiere,
Con chiocciole ricuopresi la testa,
E per servir di lancia un giunco appresta.

Mentre vestita già con fiero volto
Sta l’armata sul lido, e i topi attende,
Giove allo stuol de’ numi in ciel raccolto
Le opposte squadre addita, e a parlar prende:
Vedete là quei tanti armati e tanti,
Emuli de’ Centauri e de’ Giganti?

Verran presto alle mani. Or chi di voi
Per i topi sarà, chi per le rane?
Giuro, o Palla, che i topi aiutar vuoi,
Che corsi all’are tue dalle lor tane,
Usano ai sacrifizi esser presenti,
E col naso v’assistono e co’ denti.

Rispose Palla: O padre mio, t’inganni:
Perano i topi pur nella tenzone,
Mai li soccorrerò, che mille danni
Fan ne’ miei tempii e guastan le corone
Che i devoti consacrano al mio nume,
E suggon l’olio, onde si spegne il lume.

Ma ciò che più mi duole, e che giammai
Saprò dimenticare, è che persino
Mi rosero il mio manto; io ne filai
La sottil trama; egli era bello e fino
Ch’io pur l’avea tessuto, ed or mel trovo
Inutile e forato, benché nuovo.

Il peggio è poi che ognor mi sta d’intorno
Il cucitor, che vuol la sua mercede.
Pagar non posso, ed egli tutto il giorno
Mi viene appresso, e il suo denar mi chiede.
La trama, che già fecimi prestare,
Ora né render posso, né pagare.

Ma i lor difetti hanno le rane ancora,
E con pena una sera io lo provai.
Venia dal campo, e tarda era già l’ora:
Stanca per riposar mi coricai,
Ma non potei dormir né chiuder gli occhi,
Pel gracidar continuo de’ ranocchi.

Vegliar dovei con fiero duol di testa
Fino a quel tempo, in cui spunta la luce,
Allor che il gallo svegliasi e fa festa.
Orsù, nessun di noi si faccia duce
De’ combattenti che a pugnar sen vanno,
Abbiasi chicchessia vittoria, o danno.

Ferito esser potria da quelle schiere
Un nume ancor, se fossevi presente.
Meglio è fuggire il rischio, ed a sedere
Porci a veder la pugna allegramente.
Disse Palla: agli Dei piacque il consiglio,
E al campo ognun di lor rivolse il ciglio.

(continua)

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la foto è presa dal web,le parole

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