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Fortaleza Report

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Mission impossible

Post n°678 pubblicato il 30 Maggio 2012 da LivinginFortaleza
 

Albert Eckout (1610-1666)- Danza tarairiu

All'indomani della scoperta e della conquista delle nuove terre, circolarono in Europa, oltre a mappe di navigatori, descrizioni di novità varie e stranezze. Ciò che maggiormente suscitava curiosità erano gli indios, abitanti di questi territori  ed il mondo teologico iniziò a porsi delle domande. Queste creature così diverse- ci si chiedeva- facevano parte del genere umano ? Viste le loro abitudini di vita e l'"empietà" in cui erano precipitati, fu subito chiaro che necessitavano di un rigoroso bagno per pulire le loro anime sporche da tanto abominio. Di qui il proliferare di trattati impregnati di una teologia messianica allucinata : l'espansione territoriale della penisola iberica era vista come una missione divina, quello di evangelizzare le nuove terre, un sacro dovere legittimo. Discorsi che invece rispondevano alla necessità di attribuire una qualche "dignità" formale ad una mera guerra di conquista e sterminio.

 

xilografia di Theodore De Bry- "America" (1592)

In un primo momento visti come un popolo buono, bello, puro, prodigo con gli stranieri, accogliente e generoso, nelle relazioni successive gli indigeni erano descritti come bestie, indemoniati, dediti all'antropofagia, sottomessi a riti magici, a convivenze poligamiche lussuriose, la cui vita era dedita alla pigrizia e all'indolenza. Di qui il piano di conquista, studiato quasi a tavolino da religiosi da un parte e coloni dall'altra. Entrambi d'accordo sulla necessità di sterminarli o sottometterli- così  per lo meno affermava padre Nobrega nel 1558 -processo che peraltro, rispetto ad altre zone dell'America latina,  fu più lento ed ebbe assai meno successo. Qui le tribù erano più arretrate e ciò li rendeva assai più resistenti e ribelli. Lo sterminio in realtà, più che per massacri di massa, fu causato da epidemie che falcidiarono intere tribù. La necessita di schiavizzarli era giustificata dai missionari stessi, per i quali era più conveniente tale schiavitù "legittima" - e quindi nella loro ottica giusta- rispetto al pericolo di una schiavitù illegittima.

 

scene tratte dal film "The mission" di Roland Joffè

La loro cattura, ad opera di gruppi di "cacciatori" di indios, era considerata indispensabile e lodevole, al fine di poterli utilizzare come forza-lavora ed incorporarli in spedizioni militari contro altri indios. L'intervento di missionari, di vari ordini religiosi (carmelitani, francescani e gesuiti) attraversò fasi differenti e con approcci di vario tipo. Da quelli più violenti, in cui con l'imposizione si tentava di estirpare usi e costumi considerati inaccettabili e detestabili, primo fra tutti quello di mangiare carne umana, di avere più donne, di andare in giro nudi, di credere negli sciamani e di vagare continuamente da un territorio ad un altro, a quelli più suadenti, tentando di convincerli e farli convertire in forma spontanea, ricorrendo a danze e canti, feste e processioni, attirandoli con regali ed oggetti. In un primo tenpo i missionari  si recavano nei villaggi indios e risiedevano lì con loro, ma bastava che si allontanassero, perchè gli indigeni tornassero alle loro abitudini di sempre. 

La creazione di missioni, sorta di villaggi "artificiali" fu un altro tentativo. Qui gli indigeni venivano condotti o attirati, non erano propriamente prigionieri, era come se fossero orfani sotto tutela dei padri missionari. Dovevano lavorare per mantenersi e per far prosperare la comunità di cui facevano parte. Fra il 1583 e il 1589 padre Cardim, del collegio di Bahia, visitò alcune missioni e descrisse ciò che vide, facendo una sorta di bilancio generale sui popoli indigeni che abitavano le coste e il sertão. Il tasso di mortalità era altissimo, erano ormai rimasti in pochi, molti fuggivano per non essere schiavizzati. Al loro arrivo al villaggio, i visitatori erano accolti da feste e danze quasi farsesche, ma nonostante ciò, allegre. La routine all'interno delle missioni iniziava con una messa molto presto, ogni ora della giornata era dedicata a qualcosa in specifico, c'era un'ora per lavorare i campi, per pescare, per cacciare, un'ora per pregare - in portoghese- un'ora specifica per leggere e scrivere - in scuole dove i bambini apprendevano anche a cantare e suonare- e persino un'ora in cui accoppiarsi - visto che la popolazione era drammaticamente ridotta e bisognava farla moltiplicare. Le ore erano scandite dal suono delle campane, motivo per cui la prima preoccupazione dei padri missionari  era quella di costruire una chiesa, vero fulcro della missione, attorno alla quale ruotavano tutte le attività e si svolgevano i riti religiosi.  

 

chiesa di Almofala/chiesa di Viçosa do Cearà (missioni gesuitiche nel Cearà)

Le missioni funzionavano come piccole entità economicamente autonome, producevano una grande quantità di alimenti, tutto gestito sotto il controllo dei religiosi. Sorsero su terre concesse per decreto regio, di solito una lega quadrata. Il genere di vita cui gli indios vennero forzati era assai diverso da quello cui erano abituati e ciò provocò notevoli cambiamenti. Se prima erano migranti, adesso divennero stanziali, prima vivevano in grandi capanne collettive, ora ognuno aveva una sua abitazione monofamiliare. Se prima non avevano alcun tipo di senso del peccato e del pudore e giravano tranquillamente nudi, ora erano spinti a vestirsi - soprattutto le donne - ed avere atteggiamenti sociali e sessuali differenti. Uno delle modifiche più rilevanti era quella riguardo il loro rapporto con il lavoro.  Abituati a sfruttare le risorse naturali il giusto che gli serviva, ad avere un profondo rispetto per la natura e per la grande varietà di cibo ed alimenti a loro disposizione tutto l'anno, non concepivano il bisogno di lavorare. Per chi? per che cosa ? si domandavano. Erano due visioni profondamente diverse, se non opposte. Da una parte gli indigeni con la loro naturalezza del vivere e del morire, uniti da un grande senso comunitario e di solidarietà e di armonia con la natura, dall'altra i colonizzatori con la loro visione della vita come di un eterno lavoro, per produrre, accumulare, guadagnare, comprare, possedere e che considerano la vita degli indios inutile, erano solo degli sfaticati. L'incomprensione era totale e reciproca.

"La prima messa in Brasile" Victor Meireles 1861 (Museo Nazionale di Belle Arti RJ)

Allo scopo di desindianizzarli, nelle missioni vennero mescolati gruppi etnici differenti, tribù completamente diverse, per rompere i vincoli di trasmissione parentale e tribale e distruggere così le loro basi socio-culturali, per trasformarli in un gruppo omogeneo. Anche a livello linguistico i missionari operarono un intervento distruttivo, introducendo una lingua artificiale, creata da loro, un misto di tupi e portoghese. Vennero in tal modo soppressi e piano piano dimenticati tutti i vari idiomi tribali. In un primo momento religiosi e coloni furono coesi e solidali, ben presto però entrarono in conflitto, perchè le sue visioni divergevano notevolmente. Per i primi, gli indios erano creature di Dio e originari proprietari delle terre, con il diritto di sopravvivere in pace, incorporati però alla chiesa, in qualità di lavoratori ed operai -previo abbondono delle loro pratiche rituali.  Per i secondi erano solo bestie da usare in schiavitù e sfruttare il più possibile. La Corona portoghese dapprima sostenne i religiosi, ma una volta che non le servirono più, svolto il loro ruolo, appoggiò apertamente la tesi colonialista e schiavista. Il regno che interessava alla corte, non era quello dei cieli, ma quello terreno, ciò che importava erano i profitti. Era arrivato il momento che i missionari si facessero da parte per far posto agli uomini pratici.

"Villaggio Tapuya" J.M. Rugendas

Il progetto gesuitico era decisamente opposto a quello coloniale. L'idea era quella di creare delle sante repubbliche di religiosi e indios, con una comunione di beni. Sorta di comuni socialiste, le nuove città cristiane virtuose ed operative, impossibili da realizzare nel vecchio continente, ormai troppo corrotto, potevano invece realizzarsi qui, fra queste popolazioni così pure e innocenti. Indottrinando i bambini, si sperava nella futura generazione, era a loro che si guardava come unica speranza di redenzione, di concretizzare le profezie bibliche. Ricostruire la società, secondo un determinato progetto, ricreare il genere umano per dar vita ad una società egualitaria, solidale, pia. Con tali premesse era ovvio lo scontro con i coloni, spesso portato avanti a costo della vita dei missionari, che lottarono con tutti i loro mezzi per difendere idee e missioni. Quest'ultime erano viste dai coloni avidi e rapaci, come una concentrazione di persone reclutabili e disponibile in qualunque momento, e a costo nullo. Non c'era più bisogno di faticare e affrontare foreste impenetrabili - dove nel frattempo le tribù si erano nascoste. Bastava attaccare una missione con qualche uomo armato e depredarla di indios e di viveri, altra fonte di attrazione non trascurabile. La visione dei missionari era troppo utopica e destinata a restare tale. I missionari verranno dapprima minacciati, poi arrestati e cacciati. Infine, per far cessare definitivamente, queste esperienze socialiste precoci, nel 1759  intervenne il Marchese di Pombal decretando la loro espulsione definitiva dalla terre brasiliane. Da questo momento in poi per gli indigeni inizia un periodo di sfruttamento e schiavitù intensiva, fino a quando non verranno sostituiti dagli schiavi africani.Le missioni saranno trasformate in vilas, i catecumeni trasferiti nelle fazendas coloniali.

J.M. Rugendas "Indios nella fazenda"

Nel Cearà non ci sono sicuramente le imponenti testimonianze architettoniche e archeologiche di São Miguel das Missões, la più celebre fra quelle brasiliane, nellos taoto di Rio Grande do Sul,  le cui rovine sono  Patrimonio Unesco dell'Umanità,  e la cui storia è ripercorsa, anche se in forma romanzata, nel bel film di Roland Joffè "Mission" (1986), ma qualche traccia è pur sempre rimasta. Dopo parecchi tentativi, i gesuiti riuscirono nel 1659, superando la violenta ostilità delle tribù locali, ad insediarsi nell'area di Ibiapaba, dove nel 1700 fondarono la chiesa di N.S. da Assunção, dove ora sorge la città di Viçosa do Cearà. Due anni dopo era diventata una fra le missioni più grandi e ricche, con 4000 persone, parecchie terre donate in concessione, un gran quantità di capi di bestiame, un villaggio di dimensioni considerevoli per l'epoca.

  

chiesa S.Josè de Ribamar - Aquiraz (Cearà)

Altre missioni vennero fondate un pò in tutto il territorio cearense : Paiacu (poi chiamata Monte-Mor-Velho), Miranda (oggi Crato), Aracati-mirim (oggi Almofala), Missão velha, Missão Nova (oggi S. Josè de Cariris), Monte-Mor-Novo ( attuale Baturitè, dove esiste ancora un ospizio e convento gesuita),Telha (oggi Iguatu), Salamanca (attuale Barbalha). Anche ad Aquiraz, a pochi chilometri da Fortaleza, sono rimaste testimonianze del passaggio dei gesuiti. Alcuni edifici diroccati- probabilmente l'ospizio di cui parlano alcuni documenti, eretto nel 1727, che serviva ad ospitare confratelli evangelizzatori della regione e fungeva anche da seminario, per i figli dei ricchi proprietari della zona, con vocazione religiosa.  In mezzo alla piazza è rimasta in piedi solo la chiesa di S.Josè de Ribamar, nelle sue forme tipicamente coloniali, così come quella di Parangaba, sede di un'altra missione vicina.

Chiesa Bom Jesus dos Aflitos- Parangaba, Fortaleza

 
 
 
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