Creato da Franzhi il 13/06/2006

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2 - KM 937

Post n°49 pubblicato il 10 Settembre 2007 da Franzhi
 

6 agosto 2007. È giunta l’ora. Sono le cinque e un quarto di lunedì mattina e per una volta sono felice di dovermi alzare così presto. L’orario di partenza è previsto per le sei, il tempo di equipaggiare la macchina delle ultime cose e una colazione veloce. Faccio fatica a partire a stomaco vuoto, io.
In questi due giorni ho avuto tempo per affinare la mia relazione con la signorina del satellitare, che con la sua voce gentile mi allieta la guida e mi indica la via. Queste diavolerie tecnologiche mi danno una soddisfazione immensa, quando funzionano. Giò non è dello stesso parere, semplicemente non sopporta la voce elettronica della mia nuova amica. L’ha dichiarato subito, in sua presenza, senza alcun ritegno, il giorno stesso in cui l’ho portata a casa, nemmeno il tempo delle presentazioni. Insomma, un po’ di educazione, che diamine! Per fortuna è solo una macchina, ho pensato, ma lo sapevo che non sarebbe finita lì.
Sono le sei meno un quarto e mi appresto ad imboccare la via di Giò, quando puntuale quanto inatteso giunge il momento della vendetta: RICALCOLO – dice la vocetta del navigatore - proseguire cento metri e poi inversione a U, inversione a U, inversione a U. Cominciamo bene.
Sarà pure una coincidenza, ma mi convinco una volta di più, che anche le macchine hanno un’anima e provano emozioni. Tra le prime, a quanto pare, sperimentano la cattiveria femminile, i dispettini e tutte le arti dell’invidia nelle quali le donne sono maestre. Verifico la cartografia ed effettivamente la via di Giò non risulta censita, eppure ieri sera mi pareva... Trascuro di comunicarle questo particolare, Giò non è mai reattiva appena sveglia, figurarsi a quest’ora! Sale in macchina, mi dà un bacio ed è già rannicchiata sul sedile. È il segnale, si parte!
Ci dirigiamo verso la Romea, con l’intenzione di proseguire lungo la E45 fino alle porte di Roma e poi imboccare l’autostrada del Sole. Procede tutto liscio fino a Cesena, le donne sonnecchiano a parte qualche rara indicazione di svolta o un paio di richieste per quando ci fermiamo a fare pipì.
La E45 finisce Terni, attraversando in modo obliquo un bel pezzo d’Italia. Per fortuna, oggi non c’è molto traffico, così posso zigzagare tra le corsie, per evitare dossi e buche disseminati qua e là. Per essere una super strada questa E45 è un po’ sotto le aspettative, speriamo che la situazione non peggiori, man, mano che si scende Vedo già la faccia di Lele, il barista, che ride sornione dietro al banco, a braccia conserte, con l’aria di chi la sa lunga e quel suo sguardo simil soddisfatto che dice “no te l’avee dita?! A-E-RE-O!”.
Alle porte di Terni c’è una svolta, o meglio, c’è un cavalcavia finito a metà, come quello di Speed. La deviazione obbligatoria conseguente ci costringe sulla bretella di raccordo con l’autostrada, già intasata di veicoli in attesa e furgoncini dell’Anas che segnalano la presenza di code. Sveglio la donna elettronica e le dico, bambola portami fuori da questo casino!
Evidentemente oltre che provare emozioni umane, le macchine hanno anche dei tempi tecnici di risveglio, giriamo a vuoto per dieci minuti, tra ricalcoli e svolte inesistenti fino a che troviamo la strada alternativa per puntare Napoli. La più breve, mi assicurano le sue impostazioni.
Stiamo viaggiando proprio nella pancia dell’Italia, verso Rieti, Avezzano e poi da lì Sora, Cassino e, forse, l’autostrada finalmente. Il paesaggio intorno sembra sempre uguale, alture modeste, ma non colline, spelonche, speroni di roccia chiara e alberi verde scuro a ricoprire buona parte delle asperità. Da sotto Cesena a qui sembra di essere stati sempre all’interno dello stesso set, per strada non c’è quasi nessuno, il sole è ormai alto, la giornata serena, ci fermiamo in un’area di sosta per farci un panino. Un vento fresco, rende il pasto piacevole, in un clima asciutto e rilassato. Alle nostre spalle uno dei tanti paesini abbarbicati su un’erta ci guarda imbronciato. Poche case tutte ammassate, vecchie, costruite l’una sull’altra quasi a voler innalzare di qualche metro ancora la cima del cocuzzolo sul quale sono costruite, si ammassano decrepite, sostenendosi a vicenda per non cadere. L’idea complessiva è di paesi abbandonati, diroccati, anche da qui appaiono evidenti segni di decadenza, case semi crollate, muri non finiti o caduti a pezzi. Ma fili di panni stesi, qua è là, tradiscono una presenza umana che sorprende l’immaginazione.
Verso le quattro siamo alle porte di Napoli, il traffico è scorrevole. All’imbocco della Salerno Reggio Calabria un tabellone segnala la presenza di animali sciolti in carreggiata. Vediamo due cani spauriti grattare la terra sotto il guardrail di destra. Nemmeno il tempo di rallentare, un grosso camion ci suona alle spalle, procediamo.
Pinnacoli di fumo si ergono sottili dai boschi intorno alla strada, in alcuni tratti, il fumo sale da sotto i viadotti e un odore di pino bruciato invade l’abitacolo. A Lagonegro usciamo dall’autostrada per imboccare la provinciale che conduce alla nostra prima tappa. I monti sono a ridosso del mare, la strada corre via veloce e in poco tempo ci infiliamo tra le vie di Praia a Mare – Praia, per gli amici - una lingua di terra tra il Tirreno e l’ultima parte degli Appennini.
Sono quasi le otto di sera, lasciamo le nostre cose nella stanza dell’affittacamere e ci incamminiamo verso la spiaggia. Il fuoco continua a farci compagnia seduto sul monte alle spalle del paese. Ormai è l’imbrunire e le fiamme che danzano sui pendii appaiono ora più nitide e fascinose, in uno sfavillio seducente. Uno spettacolo incantevole, non fosse che, ci dicono due signori del posto, ormai tutta la montagna lì dietro è bruciata.

(Continua)

 
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