Creato da Franzhi il 13/06/2006

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Post n°51 pubblicato il 23 Settembre 2007 da Franzhi
 

8 agosto 2007. Destinazione Bagheria. Sono da poco passate le 8 del mattino quando lasciamo l’affittacamere di Praia per rimetterci in viaggio verso Palermo. Ci dirigiamo lungo la litoranea, con l’intenzione di raggiungere Lamezia Terme, lì dove strada e autostrada sembrano quasi ricongiungersi, a guardare la cartina. Ma a Paola cedo, il traffico è sempre più lento, e ormai è un pezzo che siamo piantati qui a guardare ‘sto benedetto semaforo che diventa verde, poi arancione, poi rosso, poi ancora verde e noi, fermi. Siamo in coda nella morsa di due Ford, una Mondeo davanti e una Fiesta dietro, a pochi metri dal bivio per Cosenza.
La Ford Mondeo nera. A giudicare dal numero di occupanti e dai bagagli che ne ingombrano il posteriore, deve trattarsi di una famigliola in vacanza. I bimbi si muovono in continuazione sui sedili dietro, saltellando come su un materasso. I genitori, davanti, non sembrano curarsene molto e mangiucchiano qualcosa. L’auto, di tanto in tanto oscilla leggermente sui fianchi, ma il movimento è quasi impercettibile.
La Ford Fiesta grigia. Dallo specchietto retrovisore osservo la signora alla guida dell’auto immediatamente dietro di noi. Dà l’idea di una professoressa agli sgoccioli della carriera, ha i capelli bianchissimi, corti e ricci e porta un paio d’occhiali con la montatura grossa e scura. Ad ogni minimo sommovimento della coda, se non ne assecondiamo immediatamente lo spostamento, la professoressa si agita, sbraccia, muove la bocca dentro l’abitacolo. Stringe con le mani il volante, guarda lo specchietto, si sporge con la testa fuori dal finestrino, mannaggia, potesse sorpassare!
E che cazzo vuole questa? dice Giò. E che ne so! Vorrei dirle che la prof che ci sta dietro è un po’ esagitata, è vero, ma sembra quasi che la sua non sia un arrabbiatura verso di noi, che abbiamo la “colpa” di starle davanti, piuttosto si direbbe un moto d’impeto universale verso il mondo degli automobilisti. Mi trattengo, però, dall’esporre questo pensiero perché la faccia di Giò non mi ispira fiducia stamattina, a mezza via tra l’imbronciato e l’assonnato. Da quando siamo partiti, non ha mai fiatato e, cosa strana, il suo unico movimento è stato diretto ad accendere l’aria condizionata, anche se non sono ancora passate le nove. Proprio lei, che di solito emette sempre uno sbuffetto di disapprovazione quando sono io a pigiare il pulsante del raffreddamento interno.
Davanti se la prendono comoda, ma a piccoli passi qualcosa inizia a muoversi.
Metto la prima, avanziamo di cinque metri e la prof si ricompone. Giò si acquieta, io metto di nuovo in folle e mollo il piede dalla frizione.
Nella Mondeo, intanto, è giunta l’ora di mettere sotto i denti qualcosa di più sostanzioso. a quanto pare. I membri dell’allegra famiglia, non sgranocchiano più adesso, danno proprio l’idea di mangiare di gusto, in un continuo passamano di pacchettini e bottiglie, compresi i due piccoli acrobati, che si sono acquietati per gustare meglio il loro spuntino.
Dietro, la prof. tamburella con le dita sul volante, sarebbe ora di altri cinque metri, penso.
Il sole è alto ormai e scalda, soprattutto. La terra a bordo strada è secca, coperta di piante avvizzite e di spazzatura. Sacchetti d’immondizia, copertoni, cartacce, e dietro i cespugli, immagino, pure qualche bell’escremento e puzza di piscio. Il posto è quello giusto.
Davanti hanno finito. Un sacchetto di nylon, di quelli che si usano per conservare i cibi in freezer, gonfio degli avanzi, vola pacioso fuori dall’abitacolo con una parabola ampia e aggraziata e si perde tra i suoi simili in mezzo alle sterpaglie secche a bordo strada. Rimango come un ebete a bocca aperta, mentre osservo la mia espressione di sorpresa riflettersi negli occhi increduli di Giò. In certe occasioni è davvero un peccato non avere il replay, penso.
Finalmente iniziamo a muoverci in modo più deciso, la prof. scala la marcia e ci supera senza nemmeno guardarci, la Mondeo mette la freccia a destra. Sembra che a Cosenza non ci voglia andare proprio nessuno.
La Salerno Reggio Calabria, alla fine, ci ha accompagnato fino a Villa San Giovanni. Di là si vede la Sicilia che ci attende, vicinissima e immersa nel sole. Giò sta facendo il biglietto per l’imbarco, nessuna coda, nessuno screzio, il traghetto attende solo noi. Salpiamo e in venti minuti siamo dall’altra parte.
Coprire la distanza da Messina a Bagheria è una mera formalità, non facciamo nessuna sosta, se non per un panino veloce in un autogrill che sembra quello di Jonny Stecchino. Non ci lasciamo incantare nemmeno dalle sirene di Capo d’Orlando che pure meriterebbe una capatina. Ormai siamo protesi sul traguardo. Quando a metà pomeriggio prendiamo la rampa di uscita dall’autostrada, mi sento soddisfatto. Guardo Giò e lei mi sorride.
Tutto bene? Mi chiede.
Tutto bene, dico io, ormai siamo arrivati. Però, mentre passiamo il cartello che indica l’inizio del territorio comunale di Bagheria, non posso fare a meno di chiedermi se il vino e le confetture, che abbiamo portato in dono a Gigi, avranno superato degnamente la prova inflitta da questi primi tre giorni di viaggio e di caldo.

(Continua)

 
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