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NOI CREDEVAMO

Post n°216 pubblicato il 06 Gennaio 2012 da gabriellatiganisava
 

NOI CREDEVAMO

In cosa credevano i tre giovani meridionali protagonisti del film di Mario Martone, coprodotto dalla Rai e andato in onda sugli schermi televisivi da pochi giorni? A quale idea di nazione essi erano fedeli? Quale teoria politica seguivano? Cosa era veramente che spingeva loro a patìre le sofferenze delle carceri borboniche, ad adottare la fuga e la clandestinità come stile di vita, ad offrire il sacrificio della propria vita?

Il processo risorgimentale italiano è un fenomeno assai complesso e che si presta a diverse interpretazioni, come quelle filosabaudiste, filomazziniane e filodemocratiche e ancora "meridionaliste" e "antimeridionaliste". Il regista Martone ha cercato di ricostruire, ma solo in parte a nostro avviso, attraverso le esperienze dei fratelli Domenico e Angelo e dell'amico Salvatore, le lotte portate avanti dai patrioti liberali italiani durante il XIX sec., per la liberazione dall’egemonia straniera e per l’ unificazione dell’Italia. Se la storiografia di impronta gramsciana (Gramsci, ricordiamo, definì il Risorgimento come una “rivoluzione mancata”) tende a ridimensionare il coinvolgimento delle masse nel disegno politico ideato e tenacemente perseguito dalle classi borghesi e da quelle aristocratico-illuminate, quella più recente è invece focalizzata sulla simbologia delle lotta risorgimentale e sulla rivalutazione del contributo fornito dai ceti meno abbienti. Così scrivono Paul Ginsborg e A. Mario Banti nel saggio Risorgimento (Storia d’Italia Einaudi, Annale 22, 2007): “Contrariamente a una tesi che trova tutt’ora i suoi sostenitori, e che considera il Risorgimento una questione che ha riguardato poche e ristrette élites, se non addirittura, un uomo solo al comando (il Cavour, per esempio) crediamo corretto, da un punto di vista rigorosamente analitico- sostenere che il Risorgimento è stato un movimento “di massa”…sostenere che il Risorgimento è un movimento  politico “di massa” significa osservarlo dalla prospettiva da cui George Mosse ha studiato il movimento nazional-patriottico tedesco: entrambi sono declinazioni di una “nuova politica”, che nasce con la Rivoluzione Francese, e che… pone al centro dell’arena pubblica il popolo/nazione depositario principale della sovranità…”. Quali furono allora i valori risorgimentali? Quale la cultura dominante del periodo? I due autori proseguono osservando che la nuova cultura e il nuovo stile politico furono quelli dell’emozione e non della ragione, della razionalità. La cultura diffusa del periodo risorgimentale è basata su una serie di miti (es. la patria, ossia la nuova religione che affratellò il popolo italiano), di simboli, di allegorie che ebbe presa sull’opinione pubblica, che riuscì a smuovere le masse e spingerle alla partecipazione, alla lotta comune. Così il Banti: “Il messaggio fu così potente da convincere molti ad agire pericolosamente in suo nome, rischiando l’esilio, la prigione, la vita”.

    Nella foto Camillo Benso di Cavour - Ritratto di Francesco Hayez - 1864

Ritornando al film di Martone, tratto dall’omonimo romanzo di Anna Banti, anche i giovani ribelli furono trascinati da questa nuova cultura ottocentesca, affascinati dagli scritti soprattutto di Giuseppe Mazzini (ma anche di Ferrari e Cattaneo, di orientamento federalista, di D’Azeglio, di cui si ricorda la sua azzeccatissima frase, “Fatta l’Italia bisogna fare gli italiani”) che, dal suo esilio a Londra, teneva le fila dei movimenti liberali in Italia e all’estero; i giovani patrioti italiani furono quasi ipnotizzati dal carisma di Giuseppe Garibaldi, il quale, com’è noto, entrò subito in contrasto con le forze moderate che non condividevano l’idea di un’Italia repubblicana, com'egli, forse troppo precocemente, avrebbe voluto.

Nel film di Martone poco delineata è la figura, invece centralissima, di Camillo Benso di Cavour, il vero stratega del Risorgimento italiano, colui che, in virtù delle sue straordinarie doti diplomatiche, riuscì a contenere l’”irruenza” dei garibaldini (utilizzandone però la forza dirompente) e a portare le maggiori potenze europee (allora Francia e Gran Bretagna) ad un riconoscimento della causa italiana. Senza l’intervento delle potenze straniere il processo di unificazione non sarebbe mai giunto in porto. Martone dedica molto (forse troppo) del suo lavoro cinematografico a Felice Orsini, autore dell’attentato (fallito) a Napoleone III, il re francese paladino del potere papale che ostacolò la realizzazione del sogno cavouriano (Libera Chiesa in libero Stato) reso successivamente possibile solo con la vittoria prussiana a Sèdan (1870) e quindi la neutralizzazione di Napoleone III. Ben tratteggiata risulta la figura di Cristina Trivulsio Belgiojoso, nobildonna sostenitrice e referente parigina dei ribelli italiani, protagonista della primavera romana del ’48-’49, assieme ad altre coraggiose eroine quali per esempio Margaret Fuller, giornalista americana, intima amica di Mazzini, femminista ante litteram, la quale auspicava un coinvolgimento degli Stati Uniti nella causa dei patrioti italiani (mai avvenuto, poiché gli Stati Uniti in quel periodo erano impegnati nei loro affari di domestic politic e comunque un loro intervento sarebbe stato vietato dalla dottrina Monroe) e, assieme alla Belgiojoso, si prodigò nella cura dei patrioti rimasti feriti, vittime degli scontri con le truppe regie e francesi guidate dallo spietato generale Oudinot.

Chi scrive (meridionale doc) ha notato come i dialetti parlati dai protagonisti siano poco credibili, difficilmente riconoscibili, uno strano miscuglio calabro-siculo-campano-pugliese a volte anche un po’ ridicolo. Si è apprezzato il tentativo del regista di raffigurare lo stato di confusione a livello politico , di disorientamento dei patrioti (spesso mal coordinati, equipaggiati ed anche male informati), di desolazione e arretratezza del Mezzogiorno. Le scene si avvalgono di un indovinato e suggestivo sottofondo musicale (repertorio di Bellini), di un cast di bravi attori (tra cui Toni Servillo nella parte di Giuseppe Mazzini, Luigi Lo Cascio, Luca Zingaretti, Anna Bonaiuto), di un’ ambientazione abbastanza convincente per quanto riguarda i costumi, le carceri borboniche, la mobilia e le abitazioni private.

Alla fine della visione del film sembra naturale chiedersi se il sacrificio di tante giovani vite, sia servito veramente a creare una nazione e un popolo italiani, soprattutto se la memoria storica di queste lotte servirà in futuro a tenere unito il Bel Paese o se risulteranno vincenti le forze disgregatrici e separatiste molto attive nel Nord. Quale forza avrà il nuovo bottom wind (vento che parte dal basso) e quale impatto avranno le nuove formazioni politiche (queste ultime dispongono di una necessaria consapevolezza storica per operare oppure sono la diretta espressione di ceti industriali interessati alla difesa dei propri mercati e del proprio benessere?) Il Mezzogiorno, da secoli vessato da classi politiche corrotte e clan mafiosi invincibili finora, riuscirà mai a riscattarsi dal suo difficile passato di crudeli dominazioni straniere e devastanti catastrofi naturali? Ci sarà bisogno di una nuova impresa dei Mille per riunificare il paese? A chi gioverebbe adesso una possibile divisione dell’Italia?

 Gabriella Tigani Sava

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Commenti al Post:
Utente non iscritto alla Community di Libero
Giuseppe il 11/05/12 alle 14:48 via WEB
Premetto che sono giunto su questo blog per la prima volta e vi devo fare i complimenti. Mi sento di condividere la recensione, che risulta profonda e per nulla banale. http://www.dirittoplus.it
 
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