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Messaggi di Febbraio 2015

RAF E I MISTERI SUL SANREMO

Post n°1009 pubblicato il 26 Febbraio 2015 da garden8
 

Alle prese con una bronchite 


che lo ha costretto a una visita 


in ospedale poco prima

 della sua ultima performance. 


A infuocare la polemica
 
ci ha pensato un 

suo collega, Gianluca Grignani 

che in una intervista a 

Vanity Fair ha tuonato: 

"Bisognava dirlo che stava male. 

È un grande artista che

 ha portato la nostra musica

 in Europa, non gli hanno

 riservato un trattamento di rispetto". 
 
Laura Pausini: "La gente 


che guarda il Festival di 

Sanremo sa che Raf

 ha la bronchite? Sarebbe da 

spiegare, perché

 molti avrebbero disertato e lui è lì, 

stanco e provato.
 

Cantare con la bronchite è difficilissimo. 



ii gruppi di potere che
 
ombreggiano dietro il business 

di  Sanremo che e lontano

 dalle esigenze di salute 

personale.







 
 
 

i segreti su Luigi Tenco

Post n°1008 pubblicato il 20 Febbraio 2015 da garden8
 

«Quando molti giornalisti mi chiedono se esiste il delitto perfetto, io gli rispondo di sì: è l'omicidio Tenco»


Nella notte del 27 gennaio 1967, durante il Festival di Sanremo, avvenne quello che a 46 anni di distanza resta ancora uno dei grandi misteri italiani.


Perché Tenco doveva morire? Quali segreti custodiva? E la richiesta degli autori alla magistratura, sulla base delle nuove prove emerse, è quella di aprire nuovamente il caso.


Intanto è bene sapere che Luigi Tenco in quei giorni aveva paura. Di più. Temeva per la sua vita, dopo che poco tempo prima del festival, nei pressi di Santa Margherita due auto lo avevano stretto e avevano tentato di mandare la sua fuoristrada. Era stata la terza volta che attentavano alla sua vita, confidò a un amico. Fu a quel punto che decise di acquistare una pistola Walther Ppk7.65, abbastanza piccola da tenerla nel cruscotto della macchina. Secondo gli autori non fu questa la pistola che uccise Tenco perché non uscì mai dalla macchina. Nella stanza 219 del Savoy la polizia dirà di aver rinvenuto una Bernardelli, molto simile alla precedente, ma naturalmente non quella. Inoltre nel primo verbale stilato dalla polizia «alle ore tre» (e pubblicato nel libro) si parla di proiettili, di medicinali, ma non di arma. La pistola non fu repertata. Perché? Forse perché non c'era?


 il cadavere fu condotto all'obitorio subito dopo il ritrovamento dai necrofori, che poi furono richiamati e costretti a riportarlo nella stanza dove fu rimesso nella posizione che aveva al momento del ritrovamento, per consentire alla polizia di scattare le fotografie e di eseguire i rilievi non fatti prima. Non fu eseguita l'autopsia. Il cadavere di Tenco non fu svestito né lavato, ad eccezione del viso. Non fu nemmeno fatto lo «stub», ovvero il test che prova se una mano ha tenuto la pistola che ha sparato.
Nulla. Perché?


 ci furono esperti che si dissero convinti che la pistola che aveva ucciso Tenco avesse un silenziatore, poiché la ferita sul cranio non era a stella, ma rotonda. Ma il silenziatore non fu mai trovato. Inoltre nel 2006 non furono fatti accertamenti sui vestiti, gli stessi che l'uomo indossava al momento della morte e che avrebbero almeno dovuto avere le tracce dello sparo.
Il lettore verrà condotto attraverso uno dei misteri irrisolti con dovizia di particolari e una documentazione ricca, sebbene un piccolo appunto (magari in vista di una ristampa) va fatto per la poca chiarezza delle immagini fotografiche stampate sulla carta ruvida, e in bianco e nero anche nella ricostruzione.
Resta il fatto che il libro-inchiesta non solo pone questioni, ma fornisce al lettore anche una possibile chiave di lettura degli avvenimenti che culminarono in quella notte maledetta. C'è la pista argentina, per dirne una, ma si parla anche di mafia marsigliese, e di eversione di estrema destra. E anche del potere delle case discografiche a Sanremo. 







 
 
 

Medjugorje sotto attacco

Foto di garden8

 1474, quando i Turchi occuparono la regione iniziando una persecuzione contro i cristiani. Il clero secolare, col vescovo in testa, migrò per rifugiarsi nei territori dell’impero asburgico, mentre i francescani eroicamente rimasero, sopravvivendo in una condizione di rischiosa clandestinità e mantenendo viva tra il popolo la fiamma della fede di Cristo.

Quando, dopo oltre quattro secoli, al cessare dell’occupazione ottomana, la Chiesa con Leone XIII rivendicò la restituzione delle parrocchie al clero secolare per inquadrarle nelle ripristinate diocesi, il popolo dei fedeli, legato ai frati da vincoli di consuetudine e di riconoscenza, iniziò a manifestare una decisa opposizione, sicché la “restaurazione” voluta da Roma è tuttora incompiuta.

La contestazione, manifestatasi talora con iniziative clamorose, si acuì nel 1942, quando la curia romana sottrasse al clero regolare la diocesi di Mostar, cui appartiene appunto Mediugorje, che però “era (e sembra resterà) una parrocchia affidata ai francescani.

Parrocchia in mano ai frati, dunque, e diocesi in mano al vescovo:

ecco la ragione prima del contendere. Questo ovviamente non poteva essere di buon auspicio per un’accoglienza favorevole e concorde delle apparizioni.

I francescani se ne sono fatti ben presto convinti sostenitori, mentre il vescovo mons. Zanic, dopo avere in un primo tempo lodevolmente difeso i veggenti contro la brutalità inquisitoria della polizia di regime, ha assunto un atteggiamento sempre più ostile, accusando i frati stessi di aver organizzato una vergognosa messinscena.

 

Da un lato mons. Zanic e poi il suo successore mons. Peric, dall’altro i francescani e non pochi altri religiosi, tra cui spicca René Laurentin, medjugoriano della prima ora, assiduo nel far conoscere fin dall’inizio i fatti e i messaggi riguardanti le apparizioni. Sullo sfondo la presenza ambigua dell’autorità romana.


L’ultima opera di Laurentin sul tema, “Medjugorje. Testamento”, del 1998, si presta assai bene ad illustrare i momenti salienti del conflitto, offrendo lo spunto per qualche considerazione critica. Leggendo il volume si rimane sgradevolmente colpiti dalla quantità di polemiche, intrighi, colpi bassi, risentimenti, veleni di varia natura che ammorbano l’aria di Medjugorje.

Non si può che lodare quindi la decisione dell’autore di metter fine, per quanto lo riguarda, a questo jeu de massacre, nello spirito dell’adagio tedesco “der Gescheitere gibt nach”: chi ha più buon senso desiste e si ritira.

 

Pur non dimenticando che si dovrebbe sempre sentire anche l’altra campana, è impossibile sottrarsi all’impressione che Laurentin abbia una buona fetta di ragione, nella polemica che l’ha successivamente opposto a mons. Zanic e a mons. Peric, quando denuncia la pretestuosità di certi attacchi ad personam, il disinvolto ricorso alla diffamazione, le ripetute violazioni del diritto canonico, la cavillosità burocratica che soffoca lo spirito.

Ma come non andare subito col pensiero a chi è molto più in alto di mons. Peric, e di tutti questi veleni un qualche sentore, in tanti anni, dovrebbe pur averlo avuto? In effetti, chi c’è a spalleggiare il vescovo incredulo e accusatore? C’è “Roma”, dice Laurentin.

il governo della Chiesa, la curia, i vertici della gerarchia; ma per Laurentin la metonimia ha una funzione specifica: è carica di una connotazione negativa e, soprattutto, serve ad evitare una precisa attribuzione di responsabilità. Pur se in qualche caso l’autore afferma di conoscere la persona o le persone che procurano tanti guai a lui, ai francescani e alla causa di Medjugorje, preferisce non far nomi.

Questo può fargli onore; ma non gli fa onore la manichea distinzione che egli opera tra una “Roma” cattiva e un Papa buono, che sarebbe chiaramente dalla parte di Medjugorje; un Papa che evidentemente non appartiene a “Roma”, e par quasi vivere in una sede dotata di una sorta di extraterritorialità.

 Pretendere di scagionare interamente i pontefici per tutto ciò che riguarda la gestione della controversia tra Roma e i francescani è o ingenuo o tendenzioso.

Fu Paolo VI che, dice lo stesso Laurentin, “decise il trasferimento ai preti Secolari di otto parrocchie”; ed è impossibile che lo stesso Paolo VI prima e il Giovanni Paolo II poi non abbiano seguito la vicenda vigilando sulle modalità di attuazione di tale trasferimento: come si può credere che non sia giunta loro notizia della “ribellione” dei fedeli, della difficoltà di far loro accettare una decisione che lacerava profondamente il tessuto ecclesiale?

Se si fossero disinteressati della cosa al punto di delegare interamente ad altri la conduzione della pratica avrebbero mancato gravemente al loro ufficio.

Ovvio quindi che se “le misure autoritarie sono state assunte senza un vero dialogo” (MT 96); se “da anni i giovani francescani non ottengono la missione canonica del vescovo di Mostar e quelli che restano nella diocesi sono quindi più o meno irregolari”; se “il seminario è stato soppresso”, per cui addirittura “si intravede … un progetto volto all’estinzione dei francescani di Erzegovina” (!); se tutto questo è stato fatto all’insegna della più indisponente insensibilità burocratica, via, una qualche responsabilità devono pur averla anche i pontefici.

Quanto meno, diciamo che non hanno fatto nulla per evitare che le cose andassero nel modo disastroso in cui sono andate. E chi, potendo impedire un male, non fa nulla per impedirlo, se ne rende corresponsabile.

 Altra questione spinosa: la sospensione a divinis di due frati senza che fosse loro neppure concesso di difendersi davanti a un organo giudicante.

Se l’iniquo provvedimento fu cassato solo dopo 11 anni perché a Roma il funzionamento della giustizia venne tanto a lungo bloccato da un’autorità amministrativa di alto livello, è impossibile che in tutto questo tempo Giovanni Paolo II non ne abbia saputo nulla.

nessuno pretende che il papa invada la giurisdizione e disconosca le competenze dei suoi sottoposti per far prevalere il proprio punto di vista; ma qui si trattava, a detta di Laurentin, proprio di rimuovere un ostacolo al funzionamento della giustizia ordinaria, di porre cioè termine a una flagrante violazione di norme del diritto canonico.

Non vi sarebbe stata dunque prevaricazione alcuna; anzi, sarebbe stato preciso dovere del pontefice intervenire in tal senso.

Eppure Giovanni Paolo II non ha mosso un dito; o, se l’ha mosso, ha agito con deplorevole ritardo, contribuendo al degradarsi della situazione.

chi ha voluto mons. Peric quale successore di mons. Zanic?

L’art. 377, § 1, del Codice di diritto canonico è chiaro: “Il Sommo Pontefice nomina liberamente i Vescovi, oppure conferma quelli che sono stati legittimamente eletti”. Non so quale di queste due procedure sia stata seguita per la nomina di mons. Peric, ma in ogni caso la responsabilità di papa Wojtyla nella sua designazione non può venir messa in dubbio.

Dobbiamo allora pensare che il nuovo vescovo non fosse ben noto all’autorità di nomina, e che una volta in carica abbia tradito le attese? Nemmeno per idea. 


Il nuovo pastore, giovane – non ancora cinquantenne – e già coadiutore da circa un anno nella diocesi, aveva insegnato un tempo presso l’Università Gregoriana di Roma, restando poi nella Città Eterna come rettore, fin dal 1979, del Collegio croato di San Girolamo. Intimo di Zanic, aveva avuto spesso occasione di incontrarlo proprio a Roma dove, si dice, il vecchio vescovo di Mostar si è molto adoperato per garantirgli la successione. Durante gli anni della guerra, Zanic passò moltissimo tempo nella Città dei papi. 

Nessun voltafaccia di un prelato non ben conosciuto, bensì la coerente continuazione dell’opera di mons. Zanic da parte di qualcuno che questi già considerava proprio delfino.

 Se pertanto mons. Peric è divenuto vescovo di Mostar, lo è divenuto col beneplacito di Giovanni Paolo II, il quale nominandolo sapeva benissimo (e sarebbe grave se non l’avesse saputo!) come si sarebbe comportato riguardo a Medjugorje; e sapeva anche che proprio Medjugorje era, per la Chiesa universale, il dossier di gran lunga più importante di cui si sarebbe dovuto occupare il nuovo eletto, il quale quindi andava scelto tenendo conto delle sue idee in proposito.

Assurdo pertanto contrapporre la figura “buona” del Papa a quella “cattiva” del vescovo e di tutta la “Roma” che boicotta Medjugorje e i francescani.

Vorrei   ricordare che anche padre Livio, a proposito del vescovo che, al pari del predecessore, nega la realtà delle apparizioni, minimizza dicendo che il caso è paragonabile a quello di chi in pieno giorno nega che vi sia il sole: dovrebbe urgentemente farsi curare la vista, il problema è solo suo (RM 30.12.06).

Ma incredibilmente dimentica che a questo minorato della vista qualcuno ha non solo dato la patente, ma ha addirittura affidato i comandi dell’autobus - o dell’aereo - su cui sono imbarcate le anime da guidare alla vita eterna!

E se anche vogliamo restare nella metafora evangelica delle pecore, come negare la responsabilità di chi le affida a un pastore cieco?

 Laurentin, scrivendo nel ’91 che “l’opposizione di mons. Zanic resta certamente il maggiore se non l’ultimo ostacolo” (VAM 123), mostrava implicitamente di ritenere che, al pensionamento del vescovo, un papa così ben disposto verso Medjugorje avrebbe senz’altro provveduto a sostituirlo in modo … opportuno. I fatti l’hanno clamorosamente smentito e deluso.

il Papa non avrebbe voluto dare uno schiaffo a mons. Peric sconfessandolo con un gesto clamoroso.

Laurentin dice che Giovanni Paolo II “ha sempre rispettato per una questione di principio i suoi ministri, anche laddove agiscono in direzione diversa dalla sua, ad eccezione di casi gravi ed importanti (come il licenziamento in tronco del direttore dell’Osservatore Romano in seguito ad un articolo contro Lech Valesa)”.

Ma se anche tutto questo rispondesse a verità, non dovrebbe essere chiaro a tutti che la posta in gioco a Medjugorje è di gran lunga più importante per la Chiesa di una valutazione politica circa Lech Valesa?

“L’azione dura ed abile del vescovo, di cui il papa si rammarica per la verità dimostrato!, pur rispettandola, sarà forse fatale a Medjugorje” (MT 70).

 “Nel 1998, come nel 1995, tutto lascia prevedere che Medjugorje verrà soffocata dal pesante apparato giuridico e dei mass-media, ben orchestrati dal vescovo del luogo appoggiato da Roma e che dice di non aver ricevuto alcuna dissuasione da parte del Papa”

Il Pontefice, non volendo impegnare la Chiesa in un riconoscimento, sia pure solo de facto, che giudicava altamente rischioso, e non volendo d’altra parte assumere agli occhi dei fedeli il ruolo del negatore, ha provveduto a piazzare in posizione strategica– seppur non rilevante sotto il profilo strettamente giuridico – un uomo che egli sapeva fortemente contrario al fenomeno Medjugorje.

Poi, “per rispetto al vescovo”, si è sempre guardato bene dal contraddirlo o contrariarlo in qualsiasi modo, limitandosi a far circolare voci ufficiose di una sua simpatia e alta considerazione per quanto avviene in quel di Medjugorje.

 In tal modo, con un sapiente gioco delle parti, ed evitando di compiere la minima mossa (ad esempio la nomina di una nuova commissione d’indagine) che potesse sbloccare la perdurante situazione di stallo, ha guadagnato tempo, in attesa degli eventi o di qualche (improbabile) illuminazione dall’alto.

In tale ottica mons. Peric diviene una sorta di testa di turco o, se si preferisce, un parafulmine destinato ad attirare su di sé l’indignazione di tutte le anime belle che, come Laurentin, non riescono assolutamente a capire il comportamento della Chiesa ma al tempo stesso vogliono tenere il Papa al di fuori e al di sopra di ogni sospetto.

 

Ci sono stati documenti di condanna e divieti a Medjugorje, sin dal 1982 fino all’ultima condanna e divieto del 21 Ottobre 2013 e i frati Francescani sono in peccato di disobbedienza ostinata.

 

 il Card. Bertone afferma:
1. “Le dichiarazioni del Vescovo di Mostar riflettono un’opinione personale, non sono un giudizio definitivo e ufficiale della Chiesa”.
2. “Tutto è rinviato alla dichiarazione di Zara dei Vescovi della ex Jugolavia del 10 Aprile 1991, che lascia la porta aperta a future indagini. La verifica deve, perciò, andare avanti”.
3. “Nel frattempo sono permessi i pellegrinaggi privati con un accompagnamento pastorale dei fedeli”.
4. “Infine, tutti i pellegrini cattolici possono recarsi a Medjugorje, luogo di culto mariano dove è possibile esprimersi con tutte le forme devozionali”.

 

Come non tenere conto dei miracoli che stanno fiorendo a Medjugorje e delle grazie di conversione che la Madonna sta concedendo?


– L’improvvisa guarigione di Andrea dal morbo di Perthes
– Guarigione di Gigliola dalla sclerosi multipla



 


 


 


 

 
 
 
 
 

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SEX CRIMES

la visione della trasmissione di stasera di Anno Zero, la fatidica puntata con la trasmissione dell'inchiesta choc della BBC.

Personalmente sono molto soddisfatto, il programma è stato equilibrato, non ha avuto paura di mostrare i casi scabrosi di pedofilia che riguardano il clero, non ha evitato di mostrare integralmente Sex Crimes and Vatican, ha usato la giusta sensibilità e prudenza nel mandare in onda il filmato solo dopo la prima interruzione pubblicitaria avvertendo più volte che si trattava di argomenti che potevano urtare la sensibilità dei minori lasciando ai genitori la scelta di far vedere o meno ai loro figli questo documento.

Sono reduce dalla visione della trasmissione di stasera di Anno Zero, la fatidica puntata con la trasmissione dell'inchiesta choc della BBC.

Gli interventi di Don Di Noto e Monsignor Fisichella sono stati garantiti nel pieno rispetto di un equo contradditorio. La presenza in studio di Colm O'Gorman, autore dell'inchiesta è stata preziosa, soprattutto per chiarire il punto più controverso e meno sostanziale della vicenda, quello riguardante il famoso documento segreto, il Crimen Sollicitationis. Non sta certo a me dire chi è risultato più credibile fra i contendenti, ma certamente il fatto che il confronto non si sia svolto essenzialmente su un'interpretazione giuridica, formale degli articoli del documento redatti in latino, bensì sul problema delle vittime, delle mancanze della Chiesa nella collaborazione con la giustizia ordinaria, sulla prassi di trasferire in altre parrocchie preti già accusati dalla polizia di abusi su minori, è innegabilmente positivo.

Credo, e resto convinto, che la bagarre politica generata prima della trasmissione di questa puntata, il fatto che politici si siano addirittura sbilanciati sostenendo in diretta tv che "il documentario non andrà in onda", che il consiglio d'amministrazione abbia tentato in ogni modo di limitare la libertà d'espressione e di censurare preventivamente Santoro e la sua redazione, resti un fatto grave. Un precedente pericoloso ed inquietante che lascia un interrogativo piuttosto deprimente: quanti giornalisti, in Rai come in Mediaset, che non hanno la "forza" e il seguito di Santoro, si sentiranno liberi di trattare argomenti tanto delicati in futuro?

Questa è la mia opinione, la parola va ora ai lettori, ovviamente sperando che coloro che votano siano anche stati spettatori della trasmissione e che il risultato - seppur dal valore relativo- non venga inquinato da quanti possono votare guidati da un semplice pregiudizio ideologico.
Cosa ne pensate?

 

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