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« POTENZA DELLA PROFEZIA E...CONTE DON GIANCARLO: fel... »

"PROFETI" DEL XX SECOLO -Presentazione di Luciano Monari

Post n°4 pubblicato il 14 Giugno 2010 da angeloglobulirossi

  

All rights reserved to legal owner.Don Giancarlo Conte
Editrice Berti

"Profeti" del XX Secolo

Volume di 260 pag. - Finito di stampare nel maggio 2010,presso Grafiche Lama - Piacenza

Fonte come da titolazione, rilevato da Ciani Vittorio x l'Ufficio Documentazione Diocesi Piacenza-Bobbio.

Luciano Monari vescovo di Brescia

Presentazione

Ho riletto con piacere questi ventidue ritratti che don Conte ha intitolato: "Profeti del XX secolo." Don Giancarlo scrive bene, in modo chiaro, gradevole da leggere, come un buon giornalista. Ma, soprattutto, questi ventitrè medaglioni scrivono un pezzo della storia ecclesiale italiana, quel pezzo nel quale sono direttamente coinvolto. In questo modo, scorrendo le pagine, ho ripercorso tanti anni della mia vita: la semplicità iniziale, le speranze, a volte le illusioni, le fatiche, le delusioni, le conversioni... Sono stati anni complessi per la Chiesa italiana e per ciascuno di noi e ne diventiamo sempre più consapevoli. Ma nello stesso tempo sono stati anni fecondi, di gestazione. «Ecco, faccio una cosa nuova; proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?» (Is 43,19).

Queste parole del Secondo Isaia risuonano ancora ai nostri orecchi come invito a capire bene il tempo in cui viviamo, a saper intravedere il disegno che Dio traccia attraverso tutto il nostro impegno e anche attraverso il nostro peccato. Siamo stati, siamo protagonisti di una storia che ha senso, che tende a una pienezza. Non siamo sicuri di aver imbroccato la strada giusta; anzi, a volte abbiamo l'impressione di stare percorrendo un vicolo cieco, che non ha uscite. È allora bene che ci fermiamo a prendere fiato, a riflettere, a smascherare e correggere i nostri pregiudizi, a costruire idee che rispondano davvero alla realtà e non ai nostri desideri. Per questo sono grato a don Giancarlo per l'impegno che ha messo nello stendere queste pagine; anche questo è un servizio che ci aiuta a camminare e a crescere.

Il messaggio positivo che ho colto dalla lettura di questo libro è semplicissimo: in questi anni che abbiamo passato ci sono stati dei veri profeti in mezzo a noi e ne siamo consolati. Vuol dire che lo Spirito non ha abbandonato la Chiesa italiana: nonostante i nostri peccati e le nostre infedeltà, lo Spirito continua a soffiare e questo rende possibile la speranza. Il mondo in cui viviamo è difficile da capire e ancor più difficile da orientare, ma lo Spirito continua a soffiare; sentiamo la stanchezza di una corsa che ci ha tolto il fiato, ma lo Spirito continua a soffiare; soffriamo di una sordità selettiva per cui non riusciamo a distinguere alcuni suoni, ma lo Spirito continua a soffiare.

Insomma, se guardiamo dai tetti in giù siamo costretti a confessare col Qohelet: «Vanità delle vanità (...); non c'è niente di nuovo sotto il sole.» (Qo 1,1.9). Ma se riusciamo a sollevare lo sguardo, non mancano i segni della vicinanza attiva di Dio; non siamo costretti a rimpiangere la parola dei profeti del passato; ci sono ancora profeti tra noi, c'è ancora per noi la possibilità di ascoltare la parola di Dio che illumina gli eventi alla luce del Vangelo.

Ma qui nascono una serie di interessanti interrogativi. Don Conte pone tra i profeti Giuseppe Dossetti e Alcide De Gasperi. Tutti sanno che Dossetti è stato l'oppositore politico di De Gasperi all'interno della Democrazia Cristiana e che quindi la visione politica dei due era effettivamente diversa; profeti entrambi? Ancora: ricorda don Conte l'impegno di De Gasperi per la CED, la Comunità Europea di Difesa, cioè in pratica la formazione di un esercito europeo; d'altra parte un altro profeta, Tonino Bello, esorta i soldati a interrogare la propria coscienza sulla legittimità dell'uso delle armi: profeti entrambi?

Don Conte ha fatto chiaramente una scelta nelle testimonianze che presenta. Qualcuno potrebbe aggiungere altre figure che non coincidono 'ideologicamente' con quelle presentate; penso, ad esempio, a figure come don Gnocchi, o il card. Dalla Costa o, addirittura, Giovanni Paolo II.

Non m'interessa ora definire i criteri che permettono di qualificare qualcuno 'profeta'. M'interessa ricordare che ci possono essere profeti con interpretazioni diverse (anche contrapposte?) della realtà. Se questo è vero, ne segue che non esiste un'unica interpretazione vera del tempo presente, un'interpretazione che renderebbe false tutte le altre interpretazioni.

Esistono diverse possibili interpretazioni che si ispirano al Vangelo e che, con la luce del Vangelo, cercano di illuminare la realtà. Sono molto belle le parole con cui il card. Martini presenta la figura di padre Turoldo (pag. 213): molto belle perché non canonizzano padre Turoldo, non ne assolutizzano le posizioni. Al contrario inseriscono queste posizioni nel dramma complessivo della sua vita, della sua personalità. Ai profeti non possiamo chiedere che ci diano posizioni definitive da tenere nei confronti della storia; dobbiamo piuttosto lasciarci stimolare da loro, dalla loro fedeltà al Vangelo, dalla loro apertura alla realtà per fare noi stessi, in modo responsabile, il cammino difficile ma necessario del discernimento.

Un'ultima osservazione: nel libro di don Conte la gerarchia non fa una gran bella figura. Non sono pochi i casi in cui l'autore presenta una gerarchia arroccata in difesa di abitudini o sicurezze del passato e incapace di capire il nuovo della profezia. Non mi metto ora a difendere la gerarchia perché mi si potrebbe accusare di essere Cicero pro domo sua. Ma mi sembra utile insinuare almeno qualche dubbio.

Un primo campo in cui la gerarchia pare a don Conte cieca e sorda è quello del rapporto col comunismo. Pio XII sembra addirittura ossessionato dal pericolo comunista, mentre, suppone don Conte, sarebbe stata necessaria una posizione più flessibile. Naturalmente non sono in grado di entrare nell'analisi storica di tutte le posizioni prese dai vescovi italiani. Mi sembra però necessario distinguere due piani: quello pastorale e quello politico.

Che pastoralmente si dovesse essere attenti a ciascuno, ai motivi per cui ciascun comunista sceglieva di essere tale, alle strategie migliori per relativizzare l'equazione: ricerca di giustizia sociale = adesione al comunismo, sono cose verissime. Ma non si può dimenticare quale fosse la realtà effettiva. Se nel '48 l'Italia avesse scelto il comunismo, il futuro non sarebbe stato gradevole né per la Chiesa e nemmeno per le masse operaie: è vero o no? E se la risposta è: sì, è vero; allora dobbiamo essere anzitutto grati a coloro che hanno operato perché questa disgrazia non avvenisse.

Questi hanno operato non solo per il bene della Chiesa, ma dell'Italia e anche degli operai. È vero che l'adesione al comunismo era per molti solo una scelta di giustizia sociale; ma è altrettanto vero che questa adesione era politicamente usata per far prevalere un partito di osservanza comunista e sovietica (il memoriale di Yalta era ancora là da venire!).

Voglio dire allora che alcuni dei personaggi presentati da don Conte non erano veri profeti? No: sono convinto che fossero davvero profeti; ma non si deve per questo prendere il loro messaggio come se fosse vero in modo ultimativo. Era vero perché ricordava con passione evangelica un atteggiamento necessario di attenzione alle persone; ma richiedeva di essere integrato con l'attenzione ad altre dimensioni della realtà.

Un secondo tema spinoso che torna frequentemente è naturalmente quello della pace. Dovremmo riuscire a essere tutti d'accordo perché è difficile trovare oggi chi abbia un'ideologia bellicosa del tipo di quella di Eraclito: la guerra è la madre di tutte le cose. E invece proprio sul tema stesso della pace rischiamo di farci guerra.

Parlando di Tonino Bello, don Conte ricorda la sua opposizione radicale all'uso della forza e le contrappone la posizione della CEI (Ruini): "Le scelte politiche non ci competono" o di altri vescovi (Biffi, Saldarmi...): "Pace sì, pacifismo no." Naturalmente l'autore ci spinge a condividere la posizione di Tonino Bello, a considerare diplomatica quella di Ruini, evangelicamente ambigua quella di Biffi e Saldarini.

In un suo recente e prezioso libretto il card. Martino distingue tra pacifismo profetico e pacifismo politico. Il pacifismo profetico sogna il mondo come deve essere, giusto e pacifico; e, a partire da questo sogno, critica il presente con le sue violenze. Il pacifismo politico esamina la realtà e si propone i passi possibili verso un mondo più giusto e in pace. Il pacifismo profetico può dire con Isaia che le spade debbono essere trasformate in vomeri e le lance in falci (ricordando che Isaia dice: 'alla fine dei giorni'); ma il pacifismo politico deve necessariamente interrogarsi sulla liceità e i modi dell'uso della forza. Se non fa questo, se s'illude sognando un mondo senza violenza, non fa il bene dell'uomo ma prepara solo ingiustizie maggiori per i più deboli.

La società ha bisogno delle due forme di pacifismo: di quella profetica perché spezza gli equilibri consolidati e nutre il desiderio di mete nuove; di quella politica perché rende effettivo il cammino verso la pace. Abbiamo quindi bisogno di tutti quei profeti che don Conte richiama. Ma sarebbe pericoloso usare questi profeti per dichiarare non evangelica la posizione di chi fa pazientemente i conti con la realtà.

Grazie a Dio ci sono ancora profeti in mezzo a noi: a proposito di loro Paolo scriveva ai Corinzi: «Tutti potete profetare, uno alla volta, perché tutti possano imparare ed essere esortati. Ma le ispirazioni dei profeti devono essere sottomesse ai profeti, perché Dio non è un Dio di disordine, ma di pace.» (l Cor 14,31-33)

† Mons. Luciano Monari,
Vescovo Brescia


 

Don Giancarlo Conte si sente un fante della Chiesa

 

All rights reserved to legal owner."Io sono nato prete": parola di don Giancarlo Conte. Il quale racconta che a 8 anni si faceva l'altarino (mentre il fratello Ubaldo giocava col teatrino dei burattini). E' stato chierichetto fino a 16 anni, pensando sempre di fare il prete. "La mia vita - dice - è sempre stata orientata in questo senso". Ha fatto il ginnasio e la prima liceo classico al "Gioia" (suo compagno di banco era Piergiorgio Bellocchio), poi a 18 anni e mezzo entra in seminario al Collegio Alberoni e nel 1955 è consacrato sacerdote. Oggi ha 74 anni ben portati e se gli chiedete come si sente un prete della sua età alla vigilia del 50° anniversario dell'ordinazione sacerdotale, risponde che si sente un vecchio prete, ma non un prete vecchio.

All rights reserved to legal owner.Don Conte viene da una famiglia più che numerosa, affollata, undicesimo di 14 figli. E' nato a Treviso, il padre veneziano era colonnello dell'esercito (la sua fotografia in uniforme la tiene accanto a sè sul suo tavolo di lavoro); la madre umbra era nativa di Gubbio. La sua famiglia si è trasferita a Piacenza nel '36; da allora non ha più lasciato la nostra provincia.

"Un fante della Chiesa", si è definito una volta. "Sì - spiega - forse la parola fante mi viene dal vocabolario paterno, anche mio padre Angelo era di fanteria, nell'esercito considerata l'arma delle grandi fatiche, quella che è sempre in campo. Nella Chiesa ci sono i teologi, i maestri di spiritualità, i diplomatici e ci sono pure i fanti, ossia i parroci, i preti non specialisti, ma sempre in trincea, a quotidiano contatto con il popolo, con la gente di ogni età e condizione. Mai e poi mai avrei fatto il prete se non per fare il parroco".

Curato, parroco ed anche insegnante in istituti scolastici statali. E tornando ai suoi verdi 74 anni, sentiamolo mentre dice: "Con la mia gente mi chiamo da solo vecchietto, ma devo dire che non mi sento affatto vecchio. Gioco, scherzo e rido coi bambini e i ragazzi come facevo 50 anni fa, sono tifoso della Juve come ai tempi del ginnasio e poi leggo moltissimo e riesco a tenermi aggiornato come avessi 20 anni".

 
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