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« Primavera nel vulcanoIrrequietezza dei Campi Flegrei »

Occhio ai Campi Flegrei

Post n°54 pubblicato il 07 Maggio 2017 da guidesolfatara
Foto di guidesolfatara


L'editoriale del n. 585 di Le Scienze, di Marco Cattaneo
03 maggio 2017

Il Vesuvio, almeno, si vede. E, per quanto timore incuta, è una presenza affascinante, che contribuisce a rende unico il panorama di Napoli. Ma il pericolo più serio, nei dintorni del capoluogo campano, è la grande caldera dei Campi Flegrei, che si estende per buona parte del Golfo di Pozzuoli, coprendo un’area in cui si stima che vivano almeno 600.000 persone.
Con almeno una ventina di crateri e piccoli edifici vulcanici, i Campi Flegrei sono uno dei supervulcani più pericolosi del mondo, «un tipico esempio di caldera di collasso, la categoria di vulcani che esprime il più alto potenziale esplosivo, l’unica in grado di provocare catastrofi globali», come raccontano Giuseppe De Natale, Claudia Troise, Renato Somma e Roberto Moretti a pagina 30. Secondo alcuni paleoantropologi, la gigantesca eruzione di 39.000 anni fa potrebbe persino aver dato un contributo all’estinzione dell’uomo di Neanderthal.
Da duemila anni a questa parte la caldera flegrea si abbassa di un paio di centimetri all’anno. Salvo in occasione dell’eruzione più recente, quella del 1538, l’unica in epoca storica. Circa un secolo prima dell’evento il suolo cominciò a sollevarsi di qualche decina di centimetri all’anno, e di qualche metro nei giorni immediatamente precedenti l’eruzione, che diede origine al cono di tufo poi chiamato Monte Nuovo. Poi tutto tornò alla normalità, fino alla seconda metà del secolo scorso, quando si registrarono due seri episodi di bradisisma che sollevarono il porto di Pozzuoli di quasi due metri. Tanto che nel 1983 si reputò prudente evacuare i 40.000 abitanti della città.
E oggi i Campi Flegrei tornano a preoccupare. In un articolo pubblicato su Nature Communications il 20 dicembre 2016, un gruppo di ricerca coordinato da Giovanni Chiodini, dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, segnalava che dal 2005 a oggi il suolo si è rialzato di circa 40 centimetri, mentre il magma è risalito fino a 3-4 chilometri dalla superficie.
È per questo che i Campi Flegrei sono monitorati come poche altre aree vulcaniche al mondo. E in questo quadro si inserisce il Campi Flegrei Deep Drilling Project, coordinato dall’INGV, di cui si parla in queste pagine. Approvato nel 2010, il progetto ha terminato la prima fase con la perforazione di un pozzo pilota profondo 500 metri che ha permesso di studiare in dettaglio la stratigrafia, scoprendo importanti informazioni sulle precedenti eruzioni dei Campi Flegrei.
Ora il consorzio che ha lanciato il Campi Flegrei Deep Drilling Project è in attesa dei finanziamenti per portare a termine la missione, che raggiungerà una profondità di 3,5 chilometri, offrendo per la prima volta uno scorcio di quel che accade sotto Pozzuoli. E allora forse potremo davvero capire, letteralmente, che cosa bolle in pentola. E, se necessario, correre ai ripari.

 
 
 
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