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Notizie sullo scrittore e giornalista Guido Nozzoli

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GUIDO NOZZOLI ONORATO

Post n°9 pubblicato il 28 Febbraio 2024 da guidonozzoli
Foto di guidonozzoli


La vita in lotta

di Guido Nozzoli


Lo scorso 15 febbraio il piazzale che sorge tra via Soleri Brancaleoni e via Circonvallazione Meridionale è stato intitolato dal Comune di Rimini al giornalista Guido Nozzoli, che nella nostra città era nato il 2 dicembre 1918 e vi era scomparso l’11 novembre 2000. L’amico e collega Sergio Zavoli allora lo ricordò con un commosso articolo: “ È stato un uomo, un giornalista, uno scrittore, e insieme un protagonista della lotta civile e politica di rara integrità e intelligenza. Negli anni cruciali della Seconda Guerra Mondiale, al colmo cioè di un trapasso d’epoca che ha tragicamente segnato l’umanità, Guido Nozzoli ha vissuto quell’esperienza ponendosi in testa, non solo a Rimini, a una coraggiosa avanguardia che anticipò il tempo del più grande, consapevole drammatico riesame ideale e politico, culturale e storico affrontato da almeno due generazioni nel secolo appena trascorso. Con l’empito e la moderazione che spesso si uniscono in chi ha un’alta coscienza del proprio pensare e agire. Guido insegnò più cose, ai giovani di allora, della scuola stessa e in generale della società”. Di lui Sergio Zavoli ebbe a dire anche: “ Guido ha interpretato la militanza politica e l’appartenenza partitica con una idealità mai faziosa, dogmatica; fu anzi protagonista di risolute ‘eresie’ in nome dell’intelligenza della Storia e delle ragioni umane, sapendo vivere il suo ‘scandalo’ senza compiacimenti o malizie, ma con la più disarmata e disarmante limpidezza [...] mai indulgendo all’abiura, semmai incline al più trasparente e polemico dei distacchi”.

Condannato dal Tribunale Speciale per attività antifascista, ha partecipato in prima persona come Commissario Politico alla lotta di Liberazione. Protagonista attivo della rinascita e della ricostruzione di Rimini, capogruppo consiliare della Città per il P.C.I., è chiamato in qualità di redattore al quotidiano Il Progresso di Bologna. Entra, in seguito, a far parte della redazione de l’Unità, giornale per il quale ha ricoperto l’incarico di inviato speciale. La sua carriera giornalistica si è conclusa al quotidiano Il Giorno di Milano. Restano esemplari certi suoi servizi dall’Algeria, dalla Cecoslovacchia e dal Vietnam, per i quali ha ricevuto alti riconoscimenti e premi prestigiosi. Rigoroso critico e cronista attento di una porzione di storia che va dal primo dopoguerra alla metà degli anni ’70, egli ha fatto della professione un impegno civile e si è distinto per l’onestà e il rigore dei suoi servizi. Piacevolissimo, oltre che documentato scrittore, ha pubblicato libri storici: Quelli di Bulov (Editori Riuniti) e I Ras del Regime (Bompiani).

I suoi interessi andavano dalla antropologia culturale, alla glottologia, alle filosofie orientali. Conseguito il diploma delle Magistrali a Forlimpopoli, studia Lettere all’Università di Urbino. Alla fine del 1941, con l’Italia in guerra, è chiamato alle armi e avviato alla scuola allievi ufficiali nel corpo dei carristi.
All’inizio del 1943 è arrestato in caserma a Bologna, con l’accusa di attività sovversiva mediante distribuzione di volantini intitolati “ Non credere, non obbedire, non combattere”.
È subito amnistiato per il Ventennale del Fascismo.

Il legame familiare
Mia madre, per lui, fu una seconda mamma. Li separavano 14 anni. Per me, oltre che “lo zio”, era una specie di fratello maggiore. In famiglia era stato un principe assoluto, dal quale dipendeva l’ultima parola. Mio nonno, vecchio liberale, si convertì alle idee comuniste del figlio, seguito dalla moglie, la Cina (Lucia Meldini), che alcuni amici ribattezzarono la Cina Rossa, ricalcando la geografia post-bellica. Unica a resistere, mia madre, che però non la buttava mai in politica e stravedeva per quel fratello da lei educato con disciplina svizzera. Allevò così un ribelle che, non potendo uscire di casa per regole imposte, scappava dai tetti e girava lassù. I primi giochi intelligenti me li regalò lui, come il microscopio che mi donò per un Natale, quando ci raccoglievamo a casa mia: loro quattro, noi tre, i nonni e la sua zia Pierina. Dopo l’8 settembre ’43 torna a Rimini e organizza subito un gruppo per la resistenza armata a fascisti e tedeschi.

Il salvataggio dei rifugiati a San Marino
Quando Rimini è distrutta dai bombardamenti tra primo novembre 1943 e il 21 settembre 1944, la Repubblica di San Marino diventa uno “ sterminato rifugio”, come dichiarò a Bruno Ghigi lo stesso Guido Nozzoli. Deve contattare ufficiali dell’Ottava Armata che stanno preparando la “seconda Cassino”. Si consegna loro prigioniero e li informa della “ drammatica situazione dei civili rintanati nelle gallerie”.
Il comando inglese rinuncia così “ al bombardamento di spianamento di San Marino programmato prima”. Il Titano è salvo, con gli oltre centomila rifugiati italiani.
>Nozzoli, allora sottotenente del Regio Esercito, scrive in un documento ufficiale (edito da Liliano Faenza nel 1994): “ Assicurai l’assoluta assenza di batterie tedesche nel perimetro della città”. Tra quei rifugiati c’eravamo anche io e i miei genitori, Valfredo e Maddalena. Mia madre si trovò senza cibo per me, e chiese aiuto ad un militare inglese che non volle darci niente, perché avrebbe poi dovuto darlo pure ad altri bambini.
Eletto consigliere comunale del PCI nel 1946, in occasione delle elezioni politiche del 1948 svolge intensa attività di propaganda. Nel 1973, a soli 55 anni, Guido Nozzoli lascia il giornalismo e da allora non scrive più nemmeno una riga, ritirandosi nella sua Rimini a condurre l’appartata vita di un provinciale che però ha girato il mondo. Nel 1999 la città di Rimini gli assegna il Sigismondo d’Oro. Guido Nozzoli muore a Rimini l’11 novembre 2000.

 Antonio Montanari

 

 
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Come salvò San Marino

Post n°8 pubblicato il 12 Febbraio 2021 da guidonozzoli

Come Guido Nozzoli salvò San Marino
Lettera su "il Ponte", Rimini, 14.02.2021

 

In una lettera sul "Corriere di Rimini" del 16.06.2015 scrissi che, secondo quanto raccontatomi dall'editore Giovanni Luisé, il Comune di Rimini non poteva intitolare una strada a Guido Nozzoli, Sigismondo d'Oro dello stesso Comune di Rimini nel 1999, e fratello di mia madre, perché non erano passati dieci anni dalla sua morte. Che è avvenuta nel novembre 2000...
Adesso, nel 2021, l'intitolazione può essere autorizzata?
Chiedo che l'Istituto per la Storia della Resistenza e dell'Italia Contemporanea della Provincia di Rimini faccia qualcosa per smascherare la falsa dichiarazione del Comune. Per il rispetto della verità storica.
Guido Nozzoli nasce a Rimini il 2 dicembre 1918.
All'inizio del 1943 viene arrestato in caserma a Bologna, con l'accusa di attività sovversiva mediante distribuzione di volantini intitolati «Non credere, non obbedire, non combattere»; l'altro autore, pure lui incarcerato dietro una delazione di un "amico" comune, è Gino Pagliarani. Entrambi vengono condannati ma subito amnistiati per il Ventennale del Fascismo
Dopo l'8 settembre '43 torna a Rimini e organizza subito un gruppo per la resistenza armata a fascisti e tedeschi
Eletto consigliere comunale del PCI nel 1946, in occasione delle elezioni politiche del 1948 svolge intensa attività di propaganda. Al termine d'un acceso contraddittorio, il celebre cappuccino padre Samoggia, uscito sconfitto nel confronto dialettico, gli scarica addosso anatemi e maledizioni.
Nel frattempo ha iniziato la sua attività di giornalista al «Progresso d'Italia», continuando come inviato a «l'Unità» (edizione di Milano) ed infine a «Il Giorno».
Nel 1973, a soli 55 anni, Guido Nozzoli lascia il giornalismo e da allora non scrive più nemmeno un rigo, ritirandosi nella sua Rimini a condurre l'appartata vita di un tempo.
Nel 1999 la città di Rimini gli assegna il Sigismondo d'Oro.
Guido Nozzoli muore a Rimini l'11 novembre 2000.
Di lui Sergio Zavoli ebbe a dire: «Guido ha interpretato la militanza politica e l'appartenenza partitica con una idealità mai faziosa, dogmatica; fu anzi protagonista di risolute "eresie" in nome dell'intelligenza della Storia e delle ragioni umane, sapendo vivere il suo "scandalo" senza compiacimenti o malizie, ma con la più disarmata e disarmante limpidezza [...] mai indulgendo all'abiura, semmai incline al più trasparente e polemico dei distacchi».
Alla copia della lettera inviata all'Istituto Istituto per la Storia della Resistenza aggiungo per i nostri lettori alcune notizie.
Rimini è distrutta dai bombardamenti tra primo novembre 1943 e 21 settembre 1944. La Repubblica di San Marino diventa uno «sterminato rifugio», come dichiarò a Bruno Ghigi lo stesso Guido Nozzoli. Che il 19 settembre 1944, mentre si combatte per la presa di Borgo Maggiore, riesce a passare le linee ad Acquaviva giocando il cane di famiglia, Garbì. Deve contattare ufficiali dell'Ottava Armata che stanno preparando la "seconda Cassino". Si consegna loro prigioniero e li informa della «drammatica situazione dei civili rintanati nelle gallerie». Il comando inglese rinuncia così «al bombardamento di spianamento di San Marino programmato prima». Il Titano è salvo con gli oltre centomila rifugiati italiani. Nozzoli, allora sottotenente del Regio Esercito, scrive in un documento ufficiale (edito da Liliano Faenza nel 1994): «Assicurai l'assoluta assenza di batterie tedesche nel perimetro della città».

Antonio Montanari

 

 
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Post n°7 pubblicato il 16 Giugno 2015 da guidonozzoli

Lettera pubblicata sul Corriere Romagna del 16 giugno 2015.

L'ormai celebre frase “Schettino, torni a bordo, cazzo!”, pronunciata dal Capitano Gregorio De Falco, è stata onorata a Rimini con un premio intitolato “Un italiano come si deve”. Nel frattempo (agosto 2014) Schettino ha tenuto una lezione magistrale all'Università La Sapienza di Roma.
Il premio riminese dovrebbe avere anche una sezione locale, cercando qualcuno che protesta avendo ragione, che cancelli lo stereotipo trionfante dello “zio pataca”, fanatico ed emerito traditore del cognato in “Amarcord”, oppure Rimini tutta è così convinta che l’ossequio ai potenti di turno sia il metodo migliore per poi ricevere ricompense o favori?
Nello stesso giorno (domenica 14) in cui sul “Corriere” leggevo il meritato elogio del Capitano De Falco, nel “Sole-24 Ore” la consueta rubrica settimanale “Breviario” del Cardinal Gianfranco Ravasi, ironizzava su quanti “sgomitano per avere nel loro pedigree una lista di conoscenti qualificati”.
Credo che Rimini possa avere, per queste persone, una media molto superiore a quella nazionale.
L’ultimo episodio mi è stato narrato dallo stesso editore Giovanni Luisé che abbiamo visto ritratto con De Falco: il Comune di Rimini non può intitolare una strada a Guido Nozzoli, Sigismondo d'Oro dello stesso Comune di Rimini nel 1999, e fratello di mia madre, perché non sono passati dieci anni dalla sua morte. Che è avvenuta nel novembre del 2000, “cazzo”, per dirla con il Capitano De Falco.

Antonio Montanari

 
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Il mio 1943, e quello dello zio Guido

Post n°6 pubblicato il 30 Luglio 2013 da guidonozzoli

Il mio 1943 è quello di un bambino di pochi mesi (sono nato alla fine dell'agosto precedente), che ne ha avuto contezza attraverso i racconti di famiglia.
Diceva mia madre Maddalena Nozzoli che gentilmente a casa nostra, in Palazzo Lettimi, posto al centro della città a due passi dal Tempio di Sigismondo Malatesti, in quel gennaio arrivò la polizia politica a perquisire l'abitazione, in relazione all'arresto di suo fratello Guido, preso a Bologna, dove svolgeva servizio militare.
L'imputazione era di attività sovversiva mediante la distribuzione di volantini intitolati "Non credere, non obbedire, non combattere". Aveva fatto la spia un amico o conoscente, di cui ho saputo soltanto che Guido una volta lo incontrò a Roma in un bar, lo guardò fisso in volto, e quello si mise a tremare rovesciandosi addosso il caffellatte che stava sorseggiando. Parole dello stesso Guido.
(L'espressione "ho avuto contezza", era un modo tipico di esprimersi dello zio, non una stravaganza mia.)
Tra i capi d'imputazione, oltre al reato di "attività politica contraria al regime", c'era pure quello di essere detentore di libri proibiti dal regime, come il "Tallone di ferro" di London o "La madre" di Gor'kij, libri che peraltro "venivano venduti anche sulle bancarelle". Lo raccontò lui stesso in una manifestazione intitolata "Autobiografia di una generazione", i cui atti con lo stesso titolo sono stati poi pubblicati a stampa (1983).
Talora, quando compro qualche libro alquanto compromettente, come quelli un po' scottanti di Storia passata o recente, mi viene da pensare a quell'imputazione, al fatto che potremmo anche noi essere accusati di leggere testi non graditi al Potere politico.

Fonte di questa pagina: un mio articolo del settimanale "il Ponte" (09.12.1990), ed il volume "I giorni dell'ira".

Antonio Montanari
(c) RIPRODUZIONE RISERVATA

 
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Si fa presto a dire giovani

Post n°5 pubblicato il 28 Maggio 2011 da guidonozzoli

Il quadro delineato dal Censis sulla condizione giovanile in Italia, e presentato alla Camera, è riassunto da Raffaello Masci (Stampa): "I giovani sono sempre di meno, e questo all'incirca si sapeva. Ma sono anche il segmento sociale più fragile, emarginato, povero e disilluso della popolazione". Per l'Ance (associazione dei costruttori) in sette anni i laureati italiani finiti all'estero sono aumentati del 40%. Negli ultimi dieci mesi sono stati 65 mila i giovani trasferitisi oltre confine: "Via da un Paese di vecchi: con un progetto in testa e la certezza che per realizzarlo bisogna andarsene", ha scritto Luisa Grion (Repubblica). L'Ance avverte: i laureati italiani fra i 30 ed i 34 anni sono (2009) il 19% dei coetanei. La Comunità europea ha posto per il 2020 il traguardo del 40%.
Una voce da Milano, raccolta da Chiara Berie d'Argentine (Stampa): "Anche i più giovani sembrano non aver fiducia del futuro. Non dovremmo criticarli ma appassionarli; per riuscirci dobbiamo cominciare ad appassionarci noi adulti". Chi parla è don Giorgio Riva, 64 anni, laurea in Ingegneria al Politecnico, parroco a Santa Francesca Romana, in una delle zone a più alta densità, con esperienza per undici anni nella Chinatown milanese.
Il problema dei giovani non è soltanto italiano. Dalla Spagna sono arrivate dal 15 maggio le notizie sulla sfida degli Indignados, scoppiata in vista delle elezioni del 22 maggio. La campagna elettorale per tutti i Comuni ed i governatori di 13 su 17 regioni, non ha prodotto nessuna repressione. Il ministro degli Interni ha scelto il dialogo e non i manganelli.
I giovani spagnoli, ha scritto Francesca Paci (Stampa), si considerano senza un futuro, proprio come i coetanei egiziani alla vigilia della rivoluzione. Stessa constatazione leggiamo in Maurizio Ferrera (CorSera): "Gli indignados chiedono soprattutto di essere ascoltati, reclamano riconoscimento, rispetto, prospettive per il domani", per nulla "diversi dai giovani che protestano nel Nord Africa e nel Medio Oriente".
Da Elisabetta Rosaspina (CorSera) cito alcune testimonianze che ha raccolto davanti al palazzo della Comunidad di Madrid. Claudia, 20 anni: "Ci hanno rubato il lavoro"; Alberto, 24: "Voglio soltanto un lavoro per non pesare più sui miei"; Pilar, bibliotecaria cinquantenne: "I ragazzi hanno ragione, troppi tagli alla cultura". Mariano, un pensionato di 87 anni, protesta ricordando: nelle celle di quel palazzo fu incarcerato nel 1961 per antifranchismo. [1041]

Antonio Montanari
(c) RIPRODUZIONE RISERVATA

il Ponte, Rimini, 29.5.2011

 
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