Creato da roby.floyd il 31/01/2014
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Messaggi del 12/01/2018

L'ultima profezia - parte 2^ -

Post n°498 pubblicato il 12 Gennaio 2018 da roby.floyd

La porta della locanda si aprì e l'uomo dalle vesti azzurre entrò nel grande salone.
Il profumo dolce del tabacco e il calore del camino lo avvolsero scacciando i brividi della sera.
Si liberò del lungo drappo che gli incorniciava il volto e respirò l'odore di carni speziate e di vini aromatici.
Si mosse lento guardandosi intorno: decine di uomini e donne sedevano ai tavoli mangiando e bevendo allegramente, un rumoroso chiacchiericcio riempiva la sala, le cameriere si muovevano rapide portando pietanze e bevande.
Boccali ricolmi di birra e idromele viaggiavano veloci dal bancone verso gli assetati avventori, le grida dei giocatori di dadi si mischiavano alle stonate canzoni degli ubriachi.
Una vitale e incontrollata euforia percorreva tutta la locanda, era sempre così nei luoghi di passaggio, uomini e donne provati da viaggi e pericoli trovavano finalmente un pasto caldo e un letto comodo, e la birra scura faceva il resto.
Lo straniero si avvicinò al lungo bancone di legno; l'uomo dall'altra parte gli rivolse un sorriso amichevole mentre puliva un vecchio boccale.
"Salve straniero. Cosa vuoi bere?"
Il viandante parve riflettere mentre fissava l'oste grasso e rubizzo che continuava a sorridergli gioviale. "Birra!"
"E che birra sia!" L'oste si avvicinò ad una delle botti mentre con la coda dell'occhio continuava a scrutare il suo nuovo cliente: "Dal tuo abbigliamento e dalla tua carnagione arsa sembra quasi che tu abbia attraversato il deserto, ma tutti sanno che è quasi impossibile, quindi mi domandavo...da dove giungi straniero?"
L'uomo del deserto rimase in silenzio, lo sguardo si fece duro, la mascella si serrò immediata: "Sono solo di passaggio!" La sua voce era tesa e definitiva, nessun altra domanda sarebbe stata bene accetta.
L'oste non vi fece caso, nella sua lunga carriera ne aveva visti di tipi strani e minacciosi, e non sarebbe stato di certo quel cencioso viandante a mettergli paura; finì con calma di riempire il boccale, si pulì le mani con un panno lercio e si avvicinò tranquillo allo straniero.
Sorrise benevolo e paziente, porse il boccale e inavvertitamente incontrò gli occhi del suo cliente.
Il suo solito sorrisetto beffardo si congelò in un momento, un brivido incontrollato gli percorse la schiena, un leggero tremolìo si impadronì delle sue gambe.
Era paura, paura cieca e incontrollata, paura di quell'uomo, di quegli occhi, paura di una luce nera e cattiva che sembrava scavargli dentro, di uno sguardo freddo che feriva e tagliava l'animo così come l'acciaio della spada tagliava le viscere.
"Mi chiamo Yursen e ho bisogno di alcune informazioni".
La voce del viandante era divenuta morbida, ma in fondo, da qualche parte, continuava a vibrare una nota cattiva e affilata.
L'oste annuì col capo, incapace di distogliere lo sguardo dagli occhi di quell'uomo.
Le loro parole si trasformarono in sussurri.
Molti occhi si erano posati veloci e attenti sul viandante e sulle sue lunghe vesti.
I giocatori avevano avuto un istante di incertezza nel lanciare i dadi, alcuni sguardi si erano mossi da dietro i boccali, lievi sussurri avevano raggiunto orecchie molto attente.
Il grasso mercante sedeva al tavolo centrale, ma non aveva fatto caso al nuovo arrivato, era troppo preso dal palpeggiare le gambe della giovane ragazza che gli stava servendo da bere.
Ma, al suo fianco c'era chi aveva occhi e orecchie per lui, una figura contorta e deforme si avvicinò al mercante:" Padrone, forse abbiamo trovato chi fa al caso nostro".
Il mercante alzò dubbioso un sopracciglio mentre continuava ad allungare le mani sulla riluttante cameriera: "E perchè mai dovrebbe fare al caso nostro un simile straccione?"
I suoi occhi erano balenati veloci sul viandante e un leggero sbuffo aveva sottolineato le sue parole.
"Perchè, mio signore, chi riesce ad attraversare i deserti di Asharan sfuggendo ai predoni Fahadjin merita attenzione e perchè i suoi tatuaggi ci dicono che è un uomo d'armi".
"Quali tatuaggi?" Il mercante aveva finalmente lasciato andar via la cameriera e rivolgeva l'attenzione al suo servo.
L'uomo si avvicinò ancora di più, avvolto in un logoro mantello che non riusciva a nascondere la sua schiena malata, parlò in un rapido sussurro per sfuggire a orecchie indiscrete.
"Sugli avambracci, mio signore. Mentre prendeva il boccale ho visto che aveva tatuato il Sole Nero, il simbolo degli uomini che hanno servito le armi nei monasteri di Tiveria".
Il grasso mercante guardò sorpreso il proprio schiavo, che sottomesso e umile piegò ancora di più il capo quasi a volersi giustificare: "Il mio precedente padrone mi raccontava tante cose".
Il mercante sorrise divertito pensando al vecchio pazzo che gli aveva venduto quel rottame umano, lo aveva pagato una manciata di Pan, non che valesse di più, piegato e deformato com'era con quel suo orrendo mantello e quel cappuccio perennemente calcato in testa.
Ma in fondo non era male avere un pò di compagnia nei suoi spostamenti, uno schiavo era sempre una comodità e faceva capire a tutti che avevano di fronte un uomo ricco e potente.
"Forse hai ragione, vallo a chiamare!"
Il servo non fece in tempo a muoversi che lo straniero si diresse verso di loro; i due avventori si guardarono stupefatti mentre l'uomo si fermava dinanzi a loro.
"Ho sentito che potresti avere del lavoro per me".
La voce dello straniero era calma e decisa.
Il grasso mercante sorrise lanciando uno sguardo all'oste che faceva finta di pulire il bancone.
"Potrebbe essere" rispose enigmatico il mercante.
Vi fu un attimo di silenzio nel frastuono della locanda; i due uomini si guardarono mentre intorno i rumori e le vite degli altri scorrevano incessanti e frenetiche.
Il viandante vide un uomo grasso e lascivo, dalle guance rubizze e glabre, le labbra carnose avevano un chè di femminile.
Gli occhi erano piccoli e infossati, di un azzurro intenso e freddo, i pochi capelli che gli erano rimasti sul cranio erano attentamente acconciati e cosparsi di oli profumati.
Le vesti dell'uomo erano ricche e sfarzose, sulle grasse dita brillavano anelli dalle pietre vistose e colorate.
Il mercante giocava distratto con il cibo mentre scrutava quel cencioso sconosciuto; le sue vesti erano logore e consunte, ma non riuscivano a nascondere la possanza fisica di quell'uomo.
Le spalle erano enormi e gli avambracci muscolosi e tatuati rivelavano che era avvezzo al maneggio delle armi.
La carnagione era scura, bruciata dal sole del deserto, i lunghi capelli neri ricadevano scomposti sulle spalle, il viso era duro e segnato, gli occhi neri sembravano fissare un punto al di là di quel luogo e di quel tempo.
Il mercante pensò che forse il suo schiavo aveva ragione: avevano trovato l'uomo adatto.
"Siediti".
Lo straniero scostò il proprio mantello rivelando un corpo da guerriero e si sedette davanti al suo pingue interlocutore.
"Mi chiamo Janieki de Kiriom e sono un mercante. Vengo da Edania e devo raggiungere Kkartha per concludere alcuni affari importanti. Ho saputo che a nord di Tiveria bande di briganti depredano e uccidono i viaggiatori e come puoi ben immaginare non ho la minima intenzione di essere derubato dei miei averi, ne tantomeno ucciso".
Il mercante sorrise mentre ordinava distratto le ricche vesti.
Il viandante rimase in silenzio continuando a guardarlo.
"Quindi, mio buon amico, mi occorre una scorta, qualcuno che in caso di necessità possa mettere in fuga questi quattro pezzenti e farmi giungere sano e salvo a destinazione. Si tratterà di un lavoro senza pericoli, le bande di briganti si tengono alla larga dagli uomini d'armi e quindi basterà la tua presenza a tenerli lontano. Come vedi si tratta di un lavoro semplice e per quanto riguarda il compenso ne avrai una metà al momento della partenza e il resto una volta giunti a destinazione e io direi che potremmo metterci d'accordo per..."
"Quali affari devi compiere a Kkartha? E cosa trasportiamo di prezioso?"
"Mio buon amico" sorrise lezioso il mercante, "I miei affari non sono cosa che ti riguardano e in quanto al trasporto, cosa ci potrebbe essere di più prezioso della mia stessa vita. Come ti dicevo per il tuo compenso".
Il viandante si alzò dalla sedia mostrando fiero la sua imponente statura.
"Mi chiamo Yursen e non sono tuo amico".
Il mercante impallidì deglutendo nervosamente.
"Accetto la tua offerta".
Il viandante si voltò  e si diresse rapido verso il bancone.
Il mercante rimase impietrito, mentre il suo schiavo  si avvicinava servile:"Complimenti mio padrone, la vostra arte nel mercanteggiare non ha rivali. Quell'uomo è stato soggiogato dalla vostra eloquenza".
Il mercante sorrise incerto continuando a fissare la schiena dello straniero che si allontanava; un brivido freddo e cattivo gli aveva attraversato il corpo quando aveva fissato negli occhi quell'uomo.
Quegli occhi erano neri, freddi, in essi non vi era nessuna espressione.
Nessuna emozione.
Solo una densa oscurità.

 

 
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