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MONTI DA OBAMA E LO SPETTRO DEL MERCATISMO

Post n°126 pubblicato il 11 Febbraio 2012 da ilblogdelmar
 

 

Di Chiara Manfredini

“Può quest’uomo salvare l’euro?”: il Time gli dedica la copertina e Mario Monti, incassata la fiducia di Obama sul suo operato, ammonisce di voler cambiare il modo di vivere degli italiani. Valutazione positiva, dunque, del mercato americano all’iniziativa riformista del premier-ministro che al termine dell’incontro sottolinea la visione comune sull'imperativo della crescita e stigmatizza la superiorità del modello americano per flessibilità e integrazione dei mercati, nell’ottica del mercato unico. Obama, invece, "santifica" Monti riciclando più o meno la stessa espressione che aveva utilizzato con Marchionne, in occasione della ristrutturazione della Chrysler: “Riforme italiane impressionanti” – ha detto.

Ma facciamo un passo indietro e cerchiamo di analizzare le ragioni della visita di Monti da Obama. In un articolo di ieri pubblicato su “Limes”, Giorgio Arfaras, ipotizza tre motivazioni: la prima che l’Italia ha riconquistato il prestigio,  la seconda che i suoi problemi non sono  ancora risolti e la terza, che si presta ad un’interpretazione numerica andando a richiamare il debito pubblico dei due Stati, sintetizza l’ incontro tra chi è riuscito a cambiare il giudizio negativo dei mercati - Mario Monti – e chi pensa che il giudizio dei mercati sia obiettivo – Obama –.

Confrontando i debiti dei due Stati, infatti, emerge un importante differenza: il debito americano è quasi per il 50% in mani pubbliche (banca centrale,organismi pubblici, oppure – attenzione – banche centrali asiatiche) e quindi il controllo politico è stringente,  al contrario il debito italiano è detenuto oltre il 50% dalle banche di credito ordinario e dai non residenti, quindi è concentrato in mani lontane dal potere politico che possono venderlo e comprarlo. 

Torniamo per un attimo al titolo dell’articolo di Arfaras: “Monti da Obama, ossia Adam Smith vs Colbert”.

Più di qualcuno sostiene che oggi, mentre le dichiarazioni ufficiali si ispirano al liberismo, i comportamenti concreti dei paesi economicamente più sviluppati siano piuttosto mercantilisti. E più precisamente che la conformazione attuale del capitalismo si avvicini nella pratica molto di più al mercantilismo corporativistico che al liberismo economico classico. Ciò sembra essere vero in particolar modo per la politica ufficiale statunitense. In questo modo possiamo leggere la contrapposizione di Arfaras tra il liberismo economico di Monti e il protezionismo di Obama. 

Ma non finisce qui perché in chiusura di articolo Arfaras parla di un inversione di ruoli rispetto all’immaginario e continuando ad appellarsi ad Obama come “colbertiano” questa volta chiama Monti “mercatista”. 

E’ parere di molti, non da ultimo l’ex ministro Tremonti, che la crisi dei cosiddetti “mutui subprime” sia stato il bastone tra le ruote di un a strategia economica messa a punto da élites dirigenti e finanziarie per colpire l’Occidente e il suo cuore l’Europa. Questo meccanismo è stato definito come mercatismo: si è quindi propagandata, da parte del mondo finanziario e da parte di quel mondo imprenditoriale, tenuto dalla finanza al guinzaglio dei prestiti, la parola d’ordine che la competitività e la fortuna di un’impresa consisterebbe non nella domanda interna nazionale ma nel competere nel mercato estero.

Si è individuato il mercato americano, si è deciso nelle sale dei cda delle grandi istituzioni finanziarie che il disoccupato avrebbe consumato a credito senza poter pagare i debiti. Nello stesso tempo questa massa di crediti inesigibili concessi senza garanzia per acquistare prodotti in Oriente veniva trasformata in titoli di credito truccati in modo da trasferirli ai risparmiatori occidentali. 

In questo modo le megabanche globali si sarebbero liberate dal proprio originario rischio sui loro prestiti trasferendolo a terzi, impacchettando i propri crediti in prodotti finanziari destinati ad essere collocati sul mercato presso acquirenti attratti da alti rendimenti quasi sempre inconsapevoli. In questa maniera i risparmiatori erano lentamente ed inconsapevolmente derubati dei loro fondi che venivano trasferiti all’Oriente produttore. Con un solo movimento l’Occidente sarebbe stato derubato della sua ricchezza industriale e finanziaria se il meccanismo non fosse stato inceppato e reso pubblico.

E’ opinione diffusa anche che la rinuncia del potere e della supervisione politica sul mercato abbia significato l’astensione ad una sua regolazione e  tale decisione abbia implicato il rischio che lo Stato fosse conquistato da élite finanziarie, interessate ad una regolamentazione statale minima, in modo da poter piegare lo Stato a proprio favore, come accaduto, appunto, nel più recente crollo finanziario mondiale.

Adesso il quadro dei riferimenti sembra essere completo: inutili supposizioni o inconfessabili verità?

 

 

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Commenti al Post:
wal59ter1
wal59ter1 il 12/02/12 alle 17:48 via WEB
amen!.........molte verità sommerse....molte però s'individuano facilmente....
 
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amen!.........molte verità sommerse....molte però...
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Brava, in questo bellissimo dipinto, io vedo un amore non...
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