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LANDINI E L'”OCCUPAZIONE DELLE FABBRICHE”.

Post n°49 pubblicato il 20 Settembre 2013 da danielegiovanni3
Foto di danielegiovanni3

 

“Non firmeremo più accordi per la chiusura delle aziende. Le contrasteremo in ogni modo. Anche, se necessario, con l'occupazione della fabbrica”. Così ha dichiarato ieri Landini, nell'intervento pubblico all'Assemblea di Roma. Verrebbe da dire “meglio tardi che mai”. L'occupazione delle fabbriche che chiudono o licenziano, è stata ed è una proposta centrale del Partito Comunista dei Lavoratori(PCL), soprattutto in questi anni di crisi capitalista. Tutte le direzioni sindacali e politiche della sinistra ( Landini incluso) l'hanno regolarmente respinta o ignorata perchè ”avventurosa”, “poco realista”, “pericolosa”, “ideologica”, e chi ne ha più ne metta. I risultati del “realismo” sono sotto gli occhi di tutti, a partire dalla FIAT. Ora, non un dirigente qualsiasi, ma il segretario del principale sindacato della classe operaia industriale, riprende improvvisamente l'”occupazione della fabbrica” come mezzo di lotta contro lo smantellamento dell'industria e dei posti di lavoro. Bene. Per essere credibili si tratta allora di passare dalle parole ai fatti. Nell'unico modo possibile: riorganizzando l'azione generale della FIOM attorno a una svolta radicale di indirizzo. Preparando concretamente le occupazioni di fabbrica, in caso di licenziamenti. Coordinandole nazionalmente. Avanzando questa proposta di lotta a tutti i settori in crisi. Preparando una cassa nazionale di resistenza a sostegno delle occupazioni. Combinando l'occupazione delle fabbriche che licenziano con la rivendicazione della loro nazionalizzazione, senza indennizzo e sotto controllo dei lavoratori. Se Landini prendesse sul serio se stesso, il PCL sarebbe senza riserve al suo fianco: magari chiedendogli di ritirare, in nome della “svolta”, il gravissimo sostegno accordato all'”esigibilità dei contratti”, a copertura della burocrazia CGIL ( e del fallimento della propria linea). Se invece si trattasse di una semplice battuta radicale da assemblea per strappare un applauso, ne prenderemo atto, senza sorpresa. Ma sarà più difficile per tutti i burocrati, d'ora in avanti, liquidare l'”occupazione delle fabbriche” con parole di sufficienza. E la nostra lotta per una svolta radicale del movimento operaio sarà, in ogni caso, più determinata di prima. Tra i lavoratori. E in ogni sindacato.

PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI

 
 
 

IL LABIRINTO DELLA CRISI POLITICO ISTITUZIONALE

Post n°48 pubblicato il 20 Settembre 2013 da danielegiovanni3
Foto di danielegiovanni3

 

 

NOTA POLITICA DI MARCO FERRANDO

 

Sono tutti uniti contro i lavoratori, ma faticano a trovare tra loro l'equilibrio politico necessario per continuare, nelle stesse forme, la comune azione di rapina: questa è la sostanza della crisi di rapporto tra i partiti borghesi di governo ( PD/PDL). Per questo una possibile crisi di governo grava sullo scenario politico. E impone alcune prime considerazioni di lettura. Che scontano inevitabilmente l'estrema variabilità degli eventi e numerose incognite. E che quindi andranno aggiornate con lo sviluppo degli avvenimenti. LA ASPETTATIVE “TRADITE” DI BERLUSCONI Al centro della scena vi sono le aspettative “tradite” di Berlusconi. Berlusconi si attendeva che il proprio profilo di “statista” - con la scelta del sostegno al governo della “pacificazione” nazionale- gli procurasse la magnanimità della magistratura. Ma la sentenza della Cassazione ha smentito l'attesa. Successivamente ha puntato le sue carte sull'intervento di Napolitano, come contraccambio della responsabilità istituzionale. Ma Napolitano ha un margine di manovra assai limitato. Per cui la nota del Colle del 13 Agosto, al di là del “riconoscimento politico”, ha negato a Berlusconi la via di fuga giudiziaria. Infine Berlusconi ha cercato nel PD una qualche sponda, per ottenere quanto meno un prolungamento dei tempi di pronunciamento della Giunta parlamentare sulla decadenza da senatore. La mediazione è in corso. Ma il PD, tanto più sotto congresso, ha poco spazio per aiutare Berlusconi. Il tentativo Violante ( col benestare del Quirinale), mirato a legittimare un ricorso della Giunta alla Consulta, è peraltro rapidamente fallito. Da qui la possibile dinamica di crisi del governo, per opera del PDL. I cui effetti sarebbero in ogni caso una nuova precipitazione della crisi politico istituzionale. UNA CRISI DI GOVERNO? POSSIBILE, MA NON CERTA La crisi di governo non è certa. Berlusconi è al centro di pressioni opposte provenienti dal suo stesso ambiente. Tra un'ala populista che punta alla crisi per scalare innanzitutto la nuova Forza Italia, sulla pelle della componente ministeriale del PDL. E un blocco composito di ala ministeriale, vertici aziendali Mediaset, ambiente di famiglia, assistenti legali, che ( per ragioni e interessi diversi) sconsigliano una rottura senza prospettive e puntano sino in fondo su una possibile intesa col Quirinale. L'incertezza e le oscillazioni quotidiane di Berlusconi rendono difficile ogni previsione attendibile. Se dovesse prevalere alla fine la rottura, si aprirebbe una complicatissima partita politica. Berlusconi e Grillo punterebbero alle elezioni immediate a Novembre con l'attuale legge elettorale. Berlusconi con la speranza ( o l'illusione) di poter vincere alla Camera ( sondaggi alla mano) e così pensare di riconquistare un potere negoziale sull'intero scacchiere istituzionale (ferme restando in ogni caso le annunciate sentenze giudiziarie sull'interdizione e le relative incognite sulla stessa forma e possibilità di partecipazione del Cavaliere alla campagna elettorale). Grillo con la volontà di scongiurare una riforma elettorale penalizzante , consolidare il proprio controllo padronale sul movimento, puntare su una campagna elettorale di rilancio e sfondamento, come a febbraio. UN'IMMEDIATO SBOCCO ELETTORALE IN CASO DI CRISI? POSSIBILE, MA NIENTE AFFATTO SCONTATO Lo sbocco elettorale immediato, in caso di crisi, è possibile ma niente affatto scontato. E' possibile: perchè nello stesso apparato del PD un ricorso immediato alle urne potrebbe rispondere a interessi diversi, in particolare Dalemiani: evitare soluzioni di governo rabberciate e senza futuro, affidate alla incerta contrattazione con qualche transfuga; cercare di sfruttare una contrapposizione elettorale frontale con Berlusconi, per capitalizzare l'antiberlusconismo, e marginalizzare Grillo; e soprattutto risolvere il problema degli equilibri interni, rinviando il congresso, indicando Renzi come candidato Premier, e liberando lo spazio per un altro segretario di partito. Ma lo sbocco elettorale immediato non è affatto scontato per la forte opposizione di Napolitano. Che partendo dall'interesse generale borghese, non vuole un ritorno elettorale con l'attuale legge, perchè lo giudica (.. “a ragione”) molto avventuroso e propedeutico ad una nuova paralisi ( annunciata ingovernabilità del Senato). Napolitano cercherà dunque, presumibilmente, una nuova soluzione di governo. Questa soluzione può avere in teoria traduzioni diverse. SOLUZIONI DI GOVERNO ALTERNATIVE? LE IPOTESI IN CAMPO, E LE LORO INCOGNITE. Nel caso ( allo stato molto improbabile) di una consistente rottura interna del PDL, per opera dell'ala “governativa”, potrebbe tradursi in un Letta bis, con la disponibilità dell'interessato. Nel caso di tenuta del PDL attorno a Berlusconi, potrebbe tradursi in un governo a maggioranza molto limitata ( al Senato), basata sul coinvolgimento di transfughi M5S, di Sel, di qualche libero battitore di centrodestra e sul sostegno dei 4 nuovi senatori a vita, non a caso promossi da Napolitano. Ma SEL potrebbe non essere disponibile a coinvolgersi in una soluzione precaria di governo senza certezza di sbocco. E buona parte del PD, a maggior ragione, può essere refrattario all'idea. Resta la possibile traduzione di un governo cosiddetto “di scopo”: un governo a breve termine col solo mandato di cambiare legge elettorale e andare al voto. E' la soluzione preferita da Sel, che utilizzerebbe il governo per cementare l'accordo elettorale col PD. E' la soluzione preferita da Renzi, che avrebbe tempo di conquistare il PD attraverso il congresso e poi candidarsi come candidato Premier da Segretario del partito. E' una soluzione che persino lo stesso PDL, a certe condizioni, potrebbe alla fine considerare ( in questo caso con l'esclusione di Sel) per negoziare la nuova legge elettorale e minimizzare i danni. In ogni caso, su ogni soluzione, grava il prossimo Congresso del PD ( se non verrà rinviato). Un Renzi segretario non lascerebbe spazio e tempo a nessuna soluzione politica minimamente stabile, capace di logorare il suo appeal elettorale. Fuori da queste ipotesi, tutte astrattamente possibili ma problematiche, la strada si divarica. O Napolitano si vede costretto a prendere atto dell'impossibilità di ogni soluzione , e dunque a malincuore scioglie il parlamento e indice le elezioni. Oppure si dimette da Presidente della Repubblica, registrando il fallimento della propria “missione”: e a questo punto la procedura di rielezione della Presidente della Repubblica allontanerebbe, nell'immediato, le elezioni politiche. Ma certo precipiterebbe la crisi politico istituzionale su un sentiero inesplorato e fuori controllo. LE MANOVRE A SINISTRA: SEL E LANDINI/RODOTA' Intanto a sinistra ricominciano le grandi manovre. Sospinte sia dalla crisi del PD, sia dal precipitare della crisi politica e da nuove possibili elezioni. SEL ha chiaramente optato, non senza contraddizioni interne, per l'accordo con Matteo Renzi, fornendo direttamente e indirettamente sponda alla sua scalata del PD. La preoccupazione di Sel era quella di essere scaricata dal Centrosinistra, a vantaggio di una ricomposizione tra PD e Centro montiano. Renzi avrebbe potuto essere un canale di questa operazione. Ma l'intera dinamica politica, con la forte polarizzazione anti Berlusconi e la crisi verticale dell'area di Centro, ha chiuso lo spazio di questa tentazione. Lo stesso Renzi, da buon trasformista, “sinistreggia” apparentemente il proprio messaggio, apre a SEL, punta a raccogliere parte del voto protestario grillino. Nichi Vendola si sente dunque rassicurato. Mentre paradossalmente la vittoria di Renzi nel PD, assieme all'esperienza del governo PD/Berlusconi, potrebbe allargare il bacino elettorale di SEL. Parallelamente l'iniziativa Landini/Rodotà attorno al movimento per l'applicazione della Costituzione, non è politicamente innocente. Mira a occupare e presidiare uno spazio che si libera a sinistra del PD, a ridosso del governo Letta Alfano, con la raccolta di ambienti diversi. L'iniziativa non ha una matrice politica univoca, ed è aperta a differenti sbocchi. Per Landini è l'ennesima ricerca di un pacchetto politico di mischia su cui far leva come fattore di pressione negoziale sul centrosinistra ( e come copertura della sua svolta sindacale congressuale). Per Rodotà è un palcoscenico mediatico, con cui dare continuità e centralità al proprio ritrovato protagonismo politico. Ma sull'iniziativa si innestano pressioni e interessi divergenti. Da un lato, molti soggetti in cerca di autore ( Ingroia , De Magistris, reduci del movimento girotondino, sino ad ambienti grassiani e ferreriani del PRC) puntano ad essere resuscitati elettoralmente da Rodotà/Landini, attraverso una lista alle prossime politiche. Il Manifesto dà copertura a questa operazione premendo pubblicamente per una lista unitaria di “sinistra democratica” alle prossime elezioni, patrocinata da Rodotà, col coinvolgimento di SEL. Dall'altro lato SEL non pare intenzionata a mettere a rischio il proprio accordo e prospettiva con Renzi, è contraria ad ogni apertura al PRC , vuole giocare in proprio l'operazione di ricomposizione col centrosinistra senza presenze di disturbo e concorrenze di candidature. Per questo mira a utilizzare l'iniziativa Rodotà/Landini come propria sponda elettorale, in quanto movimento di opinione, scoraggiando ogni sua traduzione propriamente politica. In ogni caso l'intera orbita di questa “sinistra democratica”, al di là delle sue contraddizioni interne, si muove come sinistra del centrosinistra. La natura della legge elettorale con cui si voterà (quando si voterà) inciderà sulla dinamica e le forme della ricercata intesa col PD. PER UN 'IRRUZIONE DEL MOVIMENTO OPERAIO SULLA SCENA POLITICA L'elemento drammatico di sfondo dell'intero scenario della crisi istituzionale è l'assenza del movimento operaio, di una sua iniziativa di lotta, di una sua prospettiva indipendente. Mentre la CGIL coltiva la propria intesa con Confindustria, mentre le sinistre studiano come e quando ricomporre col PD, i lavoratori sono ridotti a spettatori passivi di una partita politica giocata contro di loro. L'intero scenario politico è dominato apparentemente dallo “scontro” tra Berlusconi, Renzi, Grillo. Tra un capitalista miliardario, frodatore fiscale, che presidia il proprio blocco reazionario, un rampante sindaco confindustriale che appare come “il salvatore” del popolo della sinistra dal berlusconismo, un comico milionario reazionario che corteggia i banchieri ma si presenta come “antisistema”. L'assenza di una iniziativa di massa del movimento operaio non è solo un lasciapassare delle politiche sociali di rapina. E' anche lo scenario ideale per la nuova commedia politica degli inganni tra imbonitori di diversa tacca, tutti avversari del mondo del lavoro. Che finiscono col disputarsi l'uno contro l'altro il “consenso” truccato di tanti lavoratori. Cioè delle proprie vittime. Per questo la costruzione di un fronte unico di classe, basato su un programma di lotta indipendente, apertamente contrapposto a Berlusconi, Renzi, Grillo, è la necessità improrogabile del movimento operaio italiano. Non solo per erigere il muro di una vera opposizione sociale. Ma per imporre la propria soluzione di classe alla crisi della Repubblica. Proprio la profondità della crisi politica e istituzionale della borghesia italiana; proprio le contraddizioni e divisioni tra gli avversari dei lavoratori, misura la straordinaria attualità di una iniziativa di massa indipendente che irrompa sullo scenario politico, spazzi via il governo Letta/Alfano, blocchi ogni nuova soluzione politica padronale, apra la prospettiva di un'alternativa dei lavoratori. Un'alternativa che o è anticapitalistica o non è. Questa battaglia per l'indipendenza di classe del movimento operaio, per una sua alternativa alla crisi borghese, sarà al centro della nostra iniziativa di autunno. Incalzerà tutte le sinistre politiche, sindacali, di movimento, mettendole di fronte alle loro responsabilità: in ogni lotta, movimento, manifestazione.

 
 
 

NE' BERLUSCONI, NE' RENZI, NE' GRILLO

Post n°47 pubblicato il 20 Settembre 2013 da danielegiovanni3
Foto di danielegiovanni3

 

 

Un capitalista miliardario condannato per frode fiscale chiede di aggirare la legge che lui stesso ha votato. Un PD che governa col miliardario rivendica l'”applicazione della legge”: ma supplica il frodatore fiscale di continuare il sodalizio di governo. L'unica cosa che non è in discussione è la continuità dell'azione di rapina sociale che PD, PDL, SC, conducono insieme da due anni, con la benedizione di Napolitano e dei capitalisti. Quella che ieri, con Monti, ha distrutto pensioni d'anzianità e articolo 18. E che oggi, con Letta, in soli quattro mesi, ha ulteriormente allargato la precarizzazione del lavoro ( contratti a termine senza causale); ha diminuito i controlli sulla sicurezza dei lavoratori; ha regalato miliardi di esenzione fiscale alle case di lusso ( IMU), scaricando l'onere su inquilini e comuni; ha annunciato ulteriori regalie al padronato attraverso una nuova operazione sul cuneo fiscale ( replicando la regalia di 5 miliardi varata da Prodi nel 2007 col voto delle..sinistre); ha annunciato nuove privatizzazioni industriali ( con licenziamenti allegati) per fare cassa e ridurre le tasse ai padroni; ha promesso al capitale finanziario nuovi tagli alla spesa sociale ( sanità) per pagare puntualmente gli interessi alle banche; ha intrapreso una revisione costituzionale mirata a rendere più forte il governo di questa rapina, e più debole chi voglia opporvisi. Il punto allora non è se Letta sopravvive o cade, per iniziativa del bandito Berlusconi e/o per le contraddizioni precongressuali del PD. Non è se si ritorna al voto subito ( come vorrebbero parti di PDL e PD assieme a Grillo) o a marzo ( come vorrebbe Renzi). Il punto vero- e drammatico- è se il movimento operaio trova la forza per ribaltare la china. Per rovesciare questa politica di rapina. Per erigere il muro di una radicale opposizione di massa. Per imporre sullo scenario politico un proprio programma sociale indipendente, contrapposto al programma del padronato. Per spazzare via con un'azione di forza questo governo, e aprire il varco, dal basso, ad un'alternativa vera: in cui a comandare siano finalmente i lavoratori, e non i loro sfruttatori. Oggi la forza del movimento operaio, già indebolita da tanti anni di compromissioni e cedimenti, viene tenuta congelata. 16 milioni di lavoratori salariati sono condannati dai propri dirigenti sindacali e politici non solo a subire passivamente la continuità della rapina di industriali e banchieri. Ma anche ad assistere passivamente da spettatori ad una partita politica tra i loro avversari ( Berlusconi, Renzi, Grillo), giocata contro di loro. La massima ambizione della burocrazia CGIL è quella di battere cassa presso il governo per conto degli industriali ( cuneo fiscale), e come sponda del PD. La massima ambizione di Vendola è quella di prenotare l'accordo di governo con Matteo Renzi, amico di Marchionne e Briatore. La massima ambizione di buona parte di ciò che resta del PRC è ricomporre l'intesa con Vendola: magari per via Landini o Rodotà. Il risultato è che Grillo e Casaleggio- nel mentre corteggiano i banchieri di Cernobbio- possono continuare a presentarsi come l'unica “alternativa” a tanti operai e disoccupati. E che il populista confindustriale Renzi diventa un riferimento nel popolo della sinistra. Occorre che il movimento operaio esca da questa situazione di immobilismo suicida. E' necessario che tutte le sinistre politiche, sindacali, di movimento rompano con gli avversari dei lavoratori, e uniscano le proprie forze sul terreno del rilancio della mobilitazione sociale. Non bastano petizioni democratiche, o atti simbolici di presenza. Occorre mettere in campo la forza di massa di 16 milioni di lavoratori: unendo tutte le lotte di resistenza, e tutte le ragioni dell'opposizione sociale, in una mobilitazione prolungata e radicale, attorno ad un programma di lotta indipendente del mondo del lavoro. Che riconduca le rivendicazioni immediate ad una prospettiva apertamente anticapitalista. Landini e Rodotà, assieme a Il Fatto e Repubblica, rivendicano l'”attuazione della Costituzione”. Ma l'unico modo di realizzare davvero quei principi “progressivi” che formalmente la Costituzione evoca, è rovesciare l'organizzazione capitalista della società che la stessa Costituzione protegge. Fuori da questa prospettiva anticapitalista, non c'è, al di là delle chiacchiere, la “difesa della Costituzione”. C'è il rischio serio di una deriva reazionaria dello scenario italiano, magari per via presidenzialista o plebiscitario/grillina. Una radicale mobilitazione di classe non è solo l'unica via di un'alternativa vera. E' anche l'unica barriera “democratica” contro la reazione.

 
 
 

Carta Costituzionale o Costituzione di Carta?

Post n°46 pubblicato il 20 Settembre 2013 da danielegiovanni3

 

Sulla modifica dell’articolo 138 della Costituzione si è aperto un gran dibattito e si annunciano mobilitazioni e schieramenti anche inediti per difenderne l’attuale scrittura, come quella convocata per il 12 ottobre. La prima cosa che salta agli occhi è che buona parte dei dettati costituzionali in materia di diritti e doveri dei cittadini Italiani è oggi poco più che enunciazione e che la sua realizzazione interessa a ben pochi. Basta leggere con un po’ di attenzione gli articoli 3 e 36 per averne un esempio eclatante: Art. 3 Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese Art. 36 Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa. La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge. Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi. Ebbene non un postulato di quegli articoli è oggi realizzato, anzi nella vita di tutti i giorni, negli atti che i Governi propongono e il Parlamento approva, ma soprattutto nella “costituzione materiale” cioè nella vita di tutti i giorni, sono contenuti elementi che vanno in direzione del tutto contraria. Pochi hanno una retribuzione degna di tale nome, l’intensità della produzione ei tempi di lavoro vanno molto al di la delle previsioni legislative, il ricatto delle aziende sui lavoratori, soprattutto i precari, rende pressoché impossibile fruire di riposo certo, come ben evidenziano le belle e sacrosante mobilitazioni nel commercio contro il lavoro domenicale e festivo obbligatorio. Anche l’articolo 39 sulla libertà sindacale attende da sempre di trovare attuazione e ciò ha consentito di produrre veri e propri mostri giuridici, consentendo a Cgil, Cisl Uil e Confindustria di arrivare a sostituirsi al legislatore e di definire loro, e per loro, i criteri di applicazione di questo articolo realizzando una “conventio ad excludendum” nei confronti di chiunque cerchi di affermare il pluralismo sindacale e regole democratiche di rappresentanza dei lavoratori. Se poi andiamo ad analizzare le più recenti modifiche costituzionali, assunte in ossequio agli interessi del capitale e ai diktat europei, troviamo che la riforma del titolo V della Costituzione ha completamente rovesciato il concetto di sussidiarietà voluto dai Costituenti: non si prevede più che il “privato” possa intervenire laddove il “pubblico” non sia interessato o non arrivi a fornire servizi ai cittadini bensì l’esatto contrario: il “pubblico” può intervenire solo laddove il “privato” non manifesti interesse ad intervenire. In poche parole hanno costituzionalizzato l’assunto che i gioielli di famiglia vanno ai privati e al pubblico rimane ciò che non è conveniente gestire per il privato. Tutto ciò è avvenuto con la condivisione pressoché di tutto il Parlamento dell’epoca. Per ultimo la recentissima introduzione del “pareggio di bilancio” nella nostra Costituzione ha prodotto l’impossibilità per il nostro Paese di definire le proprie scelte economiche e ha definitivamente ceduto un pezzo consistente della nostra sovranità nazionale in campo economico alla BCE, all’UE e al FMI. Sarebbe quindi opportuno, prima di chiamare alla mobilitazione in difesa della Costituzione, avviare una profonda riflessione sulla nostra attuale Costituzione, non sui suoi principi, ma su quanta parte se ne è realizzata, quanto è stata stravolta, se risponda ancora – se mai vi abbia risposto, visto il compromesso di cui è figlia – alle esigenze di una democrazia vera e compiuta. A meno che la mobilitazione a cui si chiama non abbia obbiettivi diversi e certamente meno nobili di quelli dichiarati. A vedere i soggetti, o almeno una parte dei soggetti che l’hanno proclamata, il dubbio è lecito.

 
 
 

Intervista al dirigente trotskista greco accusato dai nazisti di Alba Dorata.

Post n°45 pubblicato il 05 Agosto 2013 da danielegiovanni3

 

Intervista a Savas Michael-Matsas, 66 anni, militante trotskista greco e dirigente del Partito Operaio Rivoluzionario (EEK), denunciato dal partito fascista Alba Dorata. Savas dovrà presentarsi in tribunale, visto che la parola d'ordine "distruggiamo il fascismo" è stata considerata come istigazione alla violenza. Devi presentarti davanti al tribunale il 3 settembre, insieme all'ex Rettore del Politecnico di Atene. Stai affrontando accuse di diffamazione ed istigazione alla violenza, in seguito ad una denuncia fatta dal partito nazista Alba Dorata. Da cosa nascono queste accuse? All'inizio del 2009, in seguito alla grande sollevazione dei giovani greci del dicembre 2008, il governo di destra, con l'aiuto dei nazisti di Alba Dorata, scatenò dei pogrom nei quartieri di immigrati. Prima di questi fatti la sinistra greca organizzò mobilitazioni antifasciste, alle quali la nostra organizzazione partecipò. Alba Dorata fece una denuncia legale contro tutti i partiti di sinistra, inclusi il KKE, Syriza, Antarysa e anche l'EEK, così come contro associazioni di immigrati e attivisti indipendenti. La denuncia fu ripresa nel 2012 dal governo di destra di Samaras, e la polizia iniziò gli interrogatori a coloro i quali erano citati in giudizio. Nel giugno 2013, su ottanta accusati rimanemmo in due: Konstantinos Moutzouris, l'ex Rettore del Politecnico di Atene, ed io. Di cosa ti si accusa? L'accusa si basa su un appello del nostro partito in occasione delle mobilitazioni antifasciste del maggio del 2009. Secondo l'accusa, io, come segretario generale, sono responsabile di tutti i testi del partito, anche se non portano la mia firma. Il fatto che io sia di origine ebraica peggiora le cose. Su internet si leggono slogan come "uccidete il ratto ebreo" che mi indicano come un agente della cospirazione ebraica mondiale che cerca di stabilire un "regime ebreo bolscevico" in Grecia. Le accuse di diffamazione si riferiscono alla nostra condanna agli attachi fascisti contro gli immigrati. La parola d'ordine "distruggiamo il fascismo" viene considerata come incitazione alla violenza e l'appello alla partecipazione alle manifestazioni come "alterazione dell'ordine pubblico". Konstantinos Moutzouris è accusato di aver permesso che il portale di notizie indipendenti Indymedia operasse dal campus universitario. Perché i fascisti hanno scelto questo attacco "legale"? Come il Fronte Nazionale in Francia, i fascisti greci scelgono la strada legale per fornire allo Stato un pretesto per gli attacchi contro la sinistra. Ma questi attacchi "legali" sono sempre accompagnati ad attacchi fisici "illegali" contro la sinistra, contro le comunità di immigrati, così come contro le sinagoghe e i cimiteri ebraici. Come ha potuto Alba Dorata crescere in quattro anni, passando dall'essere un gruppo minuscolo - quando venne fatta la denuncia - ad un partito con ventuno membri in parlamento? L'ascesa di Alba Dorata è indissolubilmente legata alla distruzione del livello di vita della popolazione. Durante gli ultimi tre anni di applicazione delle misure draconiane di austerità imposte dalla Troika (Unione Europea, BCE e Fondo Monetario Internazionale), milioni di persone, appartenenti specialmente alla classe media, sono state gettate nella disoccupazione e nell'impoverimento. Nel contesto di questa tragedia sociale, il sistema politico borghese, che regge il Paese da decenni, si è ritrovato completamente screditato. Una parte importante della popolazione ha votato per il partito di sinistra riformista Syriza, che è stato trasformato ufficialmente in opposizione, così come un'altra parte della popolazione ha fatto ricorso all'estrema destra. I nazisti hanno legami con l'apparato repressivo dello Stato dai tempi della guerra civile greca degli anni '40 e dal periodo della dittatura del 1967-1974. Ma queste connessioni si sono rafforzate in seguito alla rivolta giovanile del 2008. Grazie alla crisi attuale, i fascisti stanno ricevendo appoggio dallo Stato: sono protetti nonostante la prosecuzione dei loro crimini, mentre i pubblici ministeri sollevano imputazioni contro gli antifascisti. Non è una mera coincidenza che la metà della polizia nelle ultime elezioni abbia votato Alba Dorata. Come può essere affrontato il pericolo fascista? Abbiamo urgentemente bisogno di formare un fronte unico di tutte le organizzazioni della classe operaia, degli immigrati e della sinistra contro i nazisti. Il collasso dello stato sociale ha generato un vuoto che i nazisti, demagogicamente, intendono riempire con proposte come: "solo per i greci". Per resistere a questo si devono creare reti di solidarietà sociale, così come si devono creare gruppi operai di autodifesa contro gli attacchi fascisti. Ma soprattutto dobbiamo lottare per un'uscita socialista dalla crisi attuale, con un programma d'emergenza di misure contro la catastrofe sociale esistente. Dobbiamo rovesciare il governo capitalista dei servi della Troika, sospendere i pagamenti agli usurai del capitale internazionale e mettere fine alle misure di cannibalismo sociale. Abbiamo bisogno di un governo dei lavoratori, a partire da una lotta insieme ai lavoratori di tutta Europa contro la UE imperialista e per gli Stati Uniti Socialisti d'Europa.

 
 
 

Possono tagliare tutti i fiori, ma non fermeranno la primavera ...e neanche l'autunno!

Post n°44 pubblicato il 05 Agosto 2013 da danielegiovanni3

 

Non si sono accontentati di massacrare di botte i NO TAV durante la manifestazione di domenica scorsa, non gli è bastato arrestare militanti che si battono per la difesa del proprio territorio e molestare le arrestate, ora sono passati all’intimidazione di massa con perquisizioni a tappeto nelle case dei più noti ed attivi militanti NO TAV e nelle sedi dove usualmente questi si riuniscono alla luce del giorno. La motivazione di questo, per ora, ultimo, incredibile e odioso atto è “attentato per finalità terroristiche o di eversione dell’ordine democratico” (Articolo 280 c.p.). Un ultimo atto che si consumava praticamente nelle stesse ore in cui il Presidente del Consiglio di un governissimo infarcito di democristiani, post fascisti, iper liberisti, piddini pro TAV invocava la ragionevolezza ed assicurava, da Atene (sic!), che in Italia non ci sarà un autunno caldo. Evidentemente quanto sta avvenendo intorno alla lotta contro il TAV rappresenta il metodo attraverso cui il Governo Letta ed il Ministro degli interni Alfano pensano di impedire che l’autunno sia caldo. Prove tecniche di eliminazione del conflitto. L’approssimarsi dei semestri europei, a guida prima Greca e poi Italiana, evidentemente consigliano a Letta di sbarazzarsi prima di quei conflitti in corso - dal TAV alle lotte per il diritto alla casa e al reddito, dalla ripresa di iniziativa del pubblico impiego da anni senza contratto alle dure opposizioni alle chiusure e delocalizzazioni di interi pezzi produttivi – che sicuramente collegheranno le loro lotte anche a livello internazionale, individuando nelle politiche della Troika i veri responsabili del disastro e del massacro sociale in corso. A questo mira l’utilizzo di articoli del codice penale che annunciano la ripresa del terrorismo facendolo intravvedere nelle lotte sociali. Se l’autunno sarò o meno caldo ovviamente dipenderà dalla situazione reale del Paese. Ad oggi ci sembra di poter dire che non ci sono motivi per immaginare che non lo sarà.

 
 
 

Cosa c'è dietro la tanto decantata "vittoria" di Enrico Letta in Europa

Post n°43 pubblicato il 08 Luglio 2013 da danielegiovanni3

 

 

Il 28 giugno Enrico Letta, al termine del vertice Ue che ha assegnato i fondi del piano europeo per la lotta alla disoccupazione giovanile, affermava: "Oggi c'è da sorridere, perché abbiamo vinto, raggiungendo un risultato positivo". Anche il ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, mostrava entusiasmo nel commentare i risultati ottenuti sui temi di sua competenza: "Straordinario risultato" che "conferma la bontà della strategia messa in campo dal Governo, vincente". Ma c'è veramente da sorridere? A parte il dato sottolineato dal presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz, che "abbiamo speso 700 miliardi di euro per salvare le banche e ora, dopo tanta esitazione, stanziamo solo 6 miliardi per la disoccupazione giovanile", ci sono almeno tre dati rilevanti sui quali riflettere per capire che non c'è proprio niente di cui rallegrarsi. Il primo dato è l'attenzione fuorviante verso la disoccupazione giovanile. Vengono diffusi dati allarmanti sulla disoccupazione per la fascia d'età compresa tra i 15 e i 24 anni, con percentuali che superano il 50-60% in paesi come la Grecia o la Spagna. La percentuale non viene però calcolata sull'intera popolazione appartenente a quella fascia d'età, ma solo sui partecipanti al mercato del lavoro che ovviamente a quell'età sono molto meno (in Europa siamo ad una media del 10%). Questo dato, che è stato recentemente sottolineato da Daniel Gros, non viene utilizzato a caso ma serve a concentrare le risorse nel campo della flessibilità in entrata, affinché le nuove misure per la deregolamentazione del mercato del lavoro vengano vissute come utili a combattere la disoccupazione giovanile. La disoccupazione invece riguarda una fascia d'età assai più ampia, oltre i 30, i 40 e finanche i 50 anni, e la sua crescita esponenziale è legata al fatto che si stanno perdendo decine di migliaia di posti di lavoro. Il secondo dato è, appunto, il nuovo assalto al diritto del lavoro. Dopo il via libera del pacchetto lavoro da parte del Consiglio dei ministri lo scorso 26 giugno, sono state definite le linee del decreto che prevede il finanziamento a favore dell’occupazione giovanile prevalentemente nel Mezzogiorno di circa 1,5 miliardi di euro. Si tratta del biglietto da visita con il quale Letta si è presentato al vertice europeo qualche giorno dopo. In questo spicca l'abrogazione del divieto di proroga del contratto “acausale”quello cioè che non indica la causale (le motivazioni di carattere tecnico, produttivo e organizzativo che giustificano l’indicazione di un termine al contratto) per i giovani fino a 29 anni. In precedenza l’acasualità era prevista solo per il primo anno, ora non ci sono più limiti. In sostanza le aziende possono assumere a termine senza limitazioni purchè questo venga riconosciuto nei contratti collettivi. Un altro grimaldello per trasformare in precario tutto il lavoro che c'è e quello che ci sarà. Il terzo dato è che, ancora una volta, si agisce nella direzione di rendere più accattivante l’assunzione di giovani grazie ad una sempre maggiore flessibilità in entrata senza agire sulla domanda di lavoro, ridurre l'orario e rilanciando una nuova politica industriale. Le modifiche alle norme sull'apprendistato, il bonus all'azienda che assume un disoccupato della parte di Aspi ancora da percepire, la decontribuzione fino a 650 euro a lavoratore che viene elargita alle aziende che assumono a tempo indeterminato nel sud non si tradurranno in posti di lavoro stabili, ma in semplici risparmi per le aziende che già avevano in progetto di assumere o escamotage per ridurre le spese. Infine, gli annunci di Letta sui fondi strappati all'Europa si riferiscono in gran parte alla riprogrammazione di fondi europei già stanziati e che le Regioni non sono state capaci di spendere. L'Italia vanta una cronica incapacità ad utilizzare i fondi che le assegna l'Europa e questo ha già comportato una loro riduzione a fronte di una contribuzione del nostro paese alle casse della UE che invece è rimasta inalterata. Insomma paghiamo tanto e prendiamo poco, e i soldi che versiamo sono ovviamente prelevati dalla fiscalità generale, cioè in prevalenza dei lavoratori. Conclusione: le nuove misure sul lavoro insieme alla riprogrammazione dei fondi europei hanno la chiara finalità di aumentare la ricattabilità dei lavoratori e la libertà di agire delle imprese. La disoccupazione, purtroppo, non scenderà, né quella giovanile né quella generale. Cresceranno invece l'indignazione e il desiderio di rivolta. L'autunno si avvicina.

 
 
 

Disoccupazione al 12,2%, record storico (1 Luglio 2013)

Post n°42 pubblicato il 02 Luglio 2013 da danielegiovanni3

La disoccupazione a maggio e' al 12,2%. Lo rileva l'Istat (dati destagionalizzati e provvisori). E' il nuovo massimo storico, il livello piu' alto sia dalle serie mensili (gennaio 2004) che da quelle trimestrali, avviate nel primo trimestre 1977, cioe' 36 anni fa. Il numero di disoccupati a maggio e' pari a 3 milioni 140 mila, in aumento di 56 mila unita' su aprile e di 480 mila su base annua. Lo rileva l'Istat (dati provvisori), sottolineando che la crescita interessa sia gli uomini sia le donne. Il tasso di disoccupazione giovanile (15-24anni) a maggio e' al 38,5%, in calo di 1,3 punti percentuali su aprile, ma in rialzo di 2,9 punti su base annua. Lo rileva l'Istat (dati provvisori). Risultano in cerca di lavoro 647 mila ragazzi.

 
 
 

La coperta corta del capitalismo italiano

Post n°41 pubblicato il 02 Luglio 2013 da danielegiovanni3

 

Il traballante governo italiano sotto l'ecumenica direzione di Letta annaspa disperatamente su tutti i fronti caldi dell'economia e delle emergenze sociali. Pressato dalla sua stessa maggioranza, il presidente (a termine) del consiglio emana decreti e propone “soluzioni” che si contraddicono a vicenda. In via preliminare ha dovuto rimandare al 17 settembre la decisione circa il pagamento dell'Imu e al 1° ottobre l'aumento dell'Iva, con il commento “poi si vedrà” se cancellare o riformulare la prima e se aumentare di un punto, di mezzo punto o lasciare inalterata la seconda. Costo totale circa tre miliardi di euro che non entrano nella casse dello Stato. In più, viene varato il Piano Lavoro per la disoccupazione giovanile, costo un miliardo e mezzo in attesa di un altro miliardo e mezzo della Unione europea, di cui, però, non si conoscono i tempi e le condizioni normative. L'unica cosa certa è che la Ue ha erogato in questi anni 1000 miliardi di euro per le banche e solo 9, di cui uno e mezzo all'Italia, per la disoccupazione giovanile. Intanto, quali le coperture? Dopo aver rigirato per mille volte la solita coperta corta, ecco la “soluzione”. Aumento di altre tasse secondo la classica partita di giro. Ferme l'Imu e l'Iva, su Irpef, Irap e Ires per non parlare delle bollette della luce, dei rincari dei trasporti, dell'inflazione in generale e dei ticket per la sanità. Per il Piano Lavoro va innanzitutto detto che l'attuale esborso di un miliardo e mezzo di euro per 18 mesi o, se si preferisce, a esaurimento del fondo stanziato, è assolutamente irrisorio. I presunti nuovi posti lavoro per i giovani sotto i 30 anni non sono 200 mila ma 100 mila. Presunti perché è facile che siano molti di meno, secondo i calcoli che alcuni economisti borghesi hanno puntualmente fatto. Per gli altri 100 mila si prevedono aiuti per la formazione e, quindi, di nuovi posti di lavoro non se ne parla nell'immediato. In seconda battuta va rilevato come i soldi, 650 al mese, non entrino nella busta paga dei giovani che dovrebbero essere assunti, bensì vanno come incentivo alle imprese che assumono alle solite condizioni: a tempo determinato e a salari bassi, come si conviene a un miracolato che ha la fortuna di lavorare. Qui sta l'inghippo. E' molto difficile pensare che le imprese, in questa fase della crisi, s'impegnino a creare posti di lavoro effettivamente nuovi sulla base di “bonus” temporanei che potrebbero scomparire dall'oggi al domani. Le esperienze passate, come la normativa del 2002, con un esborso di due miliardi di euro, per favorire le assunzioni, in realtà non ha prodotto nulla del genere e i soldi ricevuti dalle imprese sono serviti a consolidare i posti esistenti o, al massimo, ad assumere secondo una esigenza precedente, ovvero avrebbero assunto indipendentemente dalle agevolazioni. L'esperienza del 2012 è stata ancora peggiore e riguardava l'erogazione di incentivi, sempre per le aziende, per trasformare i contratti a termine in contratti a tempo indeterminato. I finanziamenti si sono esauriti nell'arco di un mese e le imprese che hanno ricevuto i soldi raramente hanno rispettato i patti o, se lo hanno fatto, era perché già rientrava nei programmi di riorganizzazione aziendale. In questo caso poi (Piano Lavoro), il rischio è che le assunzioni su incentivo avvengano fin che ci sono i finanziamenti e cessino nel momento in cui il tesoretto si esaurisce, con buona pace per tutti, licenziamenti immediati compresi. In un paese dove ben sette milioni di lavoratori o sono disoccupati o in cassa integrazione a zero ore, o sono lavoratori saltuari, oltre che precari, e dove il 40% di coloro che non entrano nei meccanismi produttivi ha meno di 35 anni, 100 mila posti di lavoro presunti sono una presa in giro. Che il presidente Letta canti vittoria perché avrebbe imposto in Italia, come in Europa, una politica che aiuti i giovani a risolvere il loro problema occupazionale, rientra largamente nei parametri del politicantismo italico, che sia lontano dal vero quanto la Luna dalla Terra è una certezza drammaticamente inconfutabile. Come è straordinario che il solito Letta, a conclusione di un discorso alle Camere, si dichiari soddisfatto di aver dato un grande contributo al problema della disoccupazione giovanile sino al punto da dichiarare “ora le imprese non hanno più alibi”, per cui investano, producano e creino posti di lavoro. Sfugge all'impavido condottiero delle sorti economiche italiche che le leggi del capitalismo percorrono strade diverse da quelle del millantato credito e della politica degli annunci. Proprio questa crisi internazionale ha mostrato come la finanza, la speculazione si siano allontanate dalla produzione reale perché questa è sempre più in difficoltà nel produrre profitti sufficientemente remunerativi per i capitali investiti. La crisi è esplosa nel settore finanziario con la deflagrazione delle bolle speculative, ma ha avuto la sua origine nei meccanismi asfittici della produzione sempre più in debito d'ossigeno. Dagli Usa all'Europa i primi interventi statali si sono concentrati nel rifornire di liquidità i settori bancari più colpiti da quella crisi, che loro stessi hanno contribuito a far crescere gonfiando a dismisura le attività speculative. Le stesse banche, una volta ricevuti i finanziamenti, ripianati i debiti contratti e lenite le maggiori sofferenze da esposizione finanziaria, si son ben guardate dal riprendere a pieno ritmo il loro “naturale” ruolo di finanziatrici del mondo imprenditoriale. Nonostante le facilitazioni ricevute e i finanziamenti erogati, hanno preferito rimanere nel terreno della speculazione, operare nel mondo dei “futures” o dei titoli di Stato piuttosto che correre il rischio di rimanere impantanate in prestiti alle imprese sull'orlo del fallimento, in crisi di profitti, con un mercato collassato sia sul versante dell'offerta che della domanda. Rischio per rischio, meglio il primo che il secondo con buona pace per le aspettative di ripresa economica finanziata dai rigenerati Istituti di Credito. Il che non vuol dire che le banche, sia in Usa che in Italia, abbiano completamente chiuso il rubinetto del credito, ma che lo lasciano gocciolare appena appena. I crediti li concedono con il contagocce a quelle poche imprese che danno la massima affidabilità e a tassi di interesse molto elevati. Per le imprese vale il medesimo principio. Con un mercato continuamente depresso, con una domanda in continua contrazione, con le banche che non concedono prestiti e, se li concedono, lo fanno a interessi da strozzinaggio, gli investimenti ristagnano, molte imprese chiudono e la disoccupazione aumenta. Non saranno certo quei quattro spiccioli per un centinaio di migliaia di giovani (sempre che gli spiccioli non si perdano nelle sabbie mobili del solito “mangia mangia”) a smuovere la situazione, né possono essere l'inizio di una risalita vista la loro esiguità e limitatezza temporale. Il capitalismo, per tentare di risorgere dalle ceneri che lui stesso ha prodotto, ha bisogno di ben altro. Ha bisogno che, contro la sua attuale inclinazione, altro capitale venga distrutto e svalorizzato, sia in termini fittizi che reali. Che i capitali piccoli scompaiano per lasciare il posto alla concentrazione di quelli più grandi. Ha sopratutto bisogno di avere a disposizione un esercito di forza lavoro a basso costo, disponibile a produrre ad alti ritmi e in qualsiasi condizione. In termini tecnici significa che il capitale riprenderebbe a reinvestire decisamente e con continuità solo quando ci saranno normative sicure ed efficaci per la mobilità in entrata e in uscita e quando la disoccupazione avrà così ingigantito l'esercito di riserva della forza lavoro, da poter proporre salari ridicoli a condizioni di lavoro drammatiche per ritmi, sicurezza e precarietà degli stessi posti di lavoro. Un piccolo esempio è dato dal recente accordo tra le tra Confederazioni sindacali e la Confindustria sull'apparente problema della rappresentanza sindacale sui posti di lavoro. I realtà si è trattato di un “patto scellerato” tra il mondo imprenditoriale alla ricerca di maggiori sicurezze per gli investimenti e i “programmatori sindacali” del costo sociale dalle forza lavoro in cerca di un ruolo politico più consistente. In pratica, il capitale ha concesso ai sindacati, CGIL compresa, una sorta di monopolio nella gestione della rappresentanza sui luoghi di lavoro, rilanciandone il ruolo sociale oltre che politico. In cambio ha ricevuto l'assicurazione che i contratti, una volta firmati, potranno essere impugnati dalle imprese contro tutti coloro che non li rispettano, compresi gli scioperi più o meno spontanei, fuori dalle maglie sindacali, contro i suddetti contratti. Annesse, ovviamente, ci sono le normative sanzionatorie sempre più pesanti sino al licenziamento. Il capitale ha ricevuto inoltre garanzie sulla mobilità in entrata, ovvero, l'opportunità di avere a disposizione forza lavoro, non importa se giovane o no, con incentivi, sgravi fiscali e, non da ultimo, a salari minimi, con la possibilità di renderli ancora più bassi attraverso la contrattazione aziendale, in deroga ai contratti nazionali, e di disporre a piacimento dei soliti contratti a termine. Se poi l'ipocrisia delle leggi sul lavoro dovesse “imporre”, prima o poi, il necessario passaggio dai contratti a tempo determinato a quelli a tempo indeterminato o, ipocrisia maggiore, che le assunzioni debbano essere sin dall'inizio a tempo indeterminato, che sia però assicurata al capitale la garanzia di poter licenziare in qualsiasi momento “per stato di necessità economica dell'impresa”. Solo a queste condizioni il capitalismo può sperare di rimettere in moto, a pieno regime, l'infernale macchina dello sfruttamento proletario, a meno che sulla scena della crisi non inizi ad irrompere l'unico soggetto in grado di modificarne i metodi e gli obiettivi: la lotta di classe. Lotta contro la crisi, fuori dalle compatibilità del capitalismo, fuori e contro ogni forma di sindacalismo per una alternativa sociale che modifichi in modo rivoluzionario il mondo della produzione e della distribuzione sociale. Questa è l'unica alternativa alla crisi presente, a quelle che verranno, allo sfruttamento sempre più selvaggio, all'impoverimento crescente della popolazione, allo smantellamento sistematico dello Stato sociale e allo spauracchio della guerra che, dalla distruzione di valori capitale, crea le condizioni di una ripresa del ciclo economico, anche a costo di fare milioni di vittime. Non sarebbe la prima volta, ma ci piacerebbe contribuire a che non ce ne fosse un'altra di occasione.

 
 
 

Roma: manganellate ai senza casa, ferita una ragazza

Post n°40 pubblicato il 02 Luglio 2013 da danielegiovanni3

 

 

(1 Luglio 2013)

Nel giorno in cui si è insediato al Campidoglio il nuovo consiglio comunale, la Polizia ha sbarrato la strada a un migliaio di manifestanti dei movimenti di lotta per la casa. Manganellate e spintoni. Come ai vecchi tempi di Alemanno… Il sindaco è cambiato ma non i metodi con cui le autorità pretendono di governare le tensioni sociali provocate dalla cattiva amministrazione e dall’asservimento della cosa pubblica agli interessi di pochi e potenti privati. In occasione dell’insediamento del nuovo consiglio comunale uscito dalle elezioni municipali di poche settimane fa, vinte dal centrosinistra, le diverse sigle del movimento per il diritto alla casa avevano oggi convocato una manifestazione nel centro di Roma. Il corteo, autorizzato dalla Questura, è partito dopo le 15 dal Colosseo ed ha attraversato via dei Fori Imperiali. Ma quando un migliaio di manifestanti sono arrivati a Piazza Venezia a sbarrargli la strada hanno trovato un folto cordone di polizia in assetto antisommossa. I dimostranti hanno preteso di poter andare a manifestare sotto al palazzo nel quale era riunito il nuovo consiglio e per tutta risposta contro le prime file sono partite delle cariche. A farne le spese è stata soprattutto una ragazza, colpita da un manganello, che ha iniziato a sanguinare copiosamente. Pare che il corteo sia stato bloccato a una certa distanza da Piazza del Campidoglio, all’altezza dipiazza Madonna di Loreto, per evitare che i manifestanti “disturbassero” alcuni esponenti del partito neofascista ‘La Destra’, che era in presidio sotto il Campidoglio pur non avendo nessuna autorizzazione. "Durante le cariche della polizia ero vicino alla ragazza ferita, che è stata colpita da una manganellata in pieno volto. L'ho sorretta, protetta da altre manganellate, che hanno raggiunto anche me" ha spiegato ai giornalisti Andrea Alzetta, di Action.P aolo Di Vetta, dei Blocchi Precari Metropolitani (BPM), racconta che "all'inizio del corteo abbiamo saputo che esponenti de La Destra avevano organizzato il benvenuto a Marino sulla piazza del Campidoglio, che invece a noi era stata vietata a causa delle strutture di un concerto. Quando abbiamo saputo che i manifestanti de La Destra stavano dirigendosi verso il Campidoglio abbiamo chiesto alle forze dell'ordine di arrivare anche noi più in prossimità. Invece siamo stati bloccati nei pressi di piazza Madonna di Loreto (fin dove il corteo era autorizzato) con delle cariche immotivate per cui ci sono state sei persone ferite, ora in ospedale, una ragazza più gravemente alla quale sono stati applicati 15 punti di sutura. Noi pensiamo - conclude Divetta - che questa abbia tutte le caratteristiche di una provocazione da parte della destra".

 
 
 

Marachella, di nome e di fatto: lo stipendio non è uno scherzo! (25 Giugno 2013)

Post n°39 pubblicato il 25 Giugno 2013 da danielegiovanni3

Martedì 25 Giugno 2013 02:22 In data martedì 25 giugno 2013, viene indetto da una parte degli operatori telefonici assunti presso il Marachella Gruppo uno sciopero generale di 24 ore come segno di protesta. Protesta dettata da problematiche oggettive che si stanno protraendo da diversi mesi: in primo luogo, il mancato pagamento delle mensilità lavorative di Marzo, Aprile e Maggio (a cui forse a breve sommeremo anche Giugno) per il quale non ci sono ancora state fornite plausibili giustificazioni e che hanno visto molti di noi costretti a dare dimissioni spontanee. Pertanto siamo costretti a ricorrere a forme autonome di protesta, per far valere i nostri diritti una volta per tutte. In piena linea con lo stato di precarietà in cui verte l'intero paese, chi finisce a lavorare in un call center si ritrova in un ambiente lavorativo per la maggior parte dei casi alienante e sottopagato. Al danno, occorre aggiungere anche la beffa del caso specifico: ci è stato detto che gli stipendi non verrebbero erogati per un'inverosimile crisi, inverosimile dal momento che se realmente il Marachella Gruppo fosse in crisi non dovrebbe continuare ad assumere (tanto più se non riesce a pagare i dipendenti attuali) come invece accade, fra l'altro in maniera spudorata sotto gli occhi di noi lavoratori. Nel mese di maggio a.c. abbiamo cominciato a non voler più sottostare a queste ingiustizie e siamo stati immediatamente regarduiti nel corso di una riunione straordinaria, che iniziò con l'ammonimento "qui non si fanno rivoluzioni", riunione che terminò in un clima di incredulità generale e che si concluse senza una risposta alle nostre esigenze: perchè non veniamo pagati? perchè qualora veniamo retribuiti succede sempre con mesi di ritardo? quando riusciremo ad avere delle risposte concrete? Possiamo solo controbattere ricordando che non ci fermeranno nè l'evasività che ci è stata data come risposta, nè il clima repressivo che è trapelato in più episodi: sebbene sia comune pensare che il lavoro di un operatore telefonico "non sia un lavoro", vuoi per la giovane età degli assunti (per la maggior parte siamo ragazzi che vanno dai 18 ai 30 anni, ma il dato anagrafico non esime molti di noi dal dover pagare autonomamente un affitto, le bollette, le tasse dell'università ecc ecc), vuoi per la tipologia di contratto (sfruttamento legalizzato, volgarmente detto contratto a progetto) noi siamo lavoratori a tutti gli effetti e come tali esigiamo rispetto e dignità. La manifestazione di oggi è solo un primo atto, porteremo avanti la protesta finchè le cose non cambieranno e non ci verranno dati gli stipendi che ci spettano. Lavoratori ed ex lavoratori del Marachella Gruppo.

 
 
 

Mandela in condizioni critiche (24 Giugno 2013)

Post n°38 pubblicato il 25 Giugno 2013 da danielegiovanni3

 

Cape Town, 24 giugno 2013, Nena News - Nelson Mandela è ora in condizioni critiche. Lo ha annunciato un comunicato della Presidenza sudafricana dopo che ieri in serata il Presidente Jacob Zuma - accompagnato dal vice Presidente dell'African National Congress (ANC), Cyril Ramaphosa - ha fatto visita a Mandela all'ospedale di Pretoria dove ha incontrato l'equipe medica che lo segue e la moglie Graça Machel. Lo stato di salute del primo Presidente nero del Sudafrica sarebbe peggiorato nel corso delle ultime 24 ore. "I medici stanno facendo tutto il possibile per far sì che le sue condizioni migliorino e si stanno assicurando che Madiba sia ben assistito e non soffra molto. È in buone mani", queste le parole di Zuma. "L'uso da parte dei medici della parola "critiche" è una "spiegazione sufficiente che dovrebbe far aumentare la nostra preoccupazione", ha dichiarato alla BBC Mac Maharaj, il portavoce di Zuma. Che ha poi aggiunto: "Pertanto vogliamo assicurare il pubblico che i medici stanno lavorando per cercare di migliorare le sue condizioni". L'African National Congress (ANC), il partito di Mandela, ha dichiarato "di aver preso atto con preoccupazione" degli ultimi bollettini medici e di unirsi a Zuma nel chiedere alla nazione e al mondo di pregare per Mandela, per la sua famiglia e per il team medico. Nelson Mandela, 94 anni, è ricoverato all'ospedale di Pretoria dall'otto giugno scorso per una infezione polmonare

 
 
 

Elezioni in Albania: socialisti in vantaggio? (24 Giugno 2013)

Post n°37 pubblicato il 25 Giugno 2013 da danielegiovanni3

 

 

Dopo gli episodi di violenza che hanno caratterizzato ieri le elezioni legislative anche lo spoglio va a rilento, ed entrambi gli schieramenti rivendicano la vittoria. Anche se i primi dati danno i socialisti in forte vantaggio. Sia il centrodestra al potere sia l'opposizione di centrosinistra rivendicano questa mattina la vittoria alle elezioni legislative che si sono tenute ieri in un clima contrassegnato dalla violenza. In particolare da una sparatoria nei pressi di un seggio, in cui è stato ucciso un attivista dell'opposizione socialista e gravemente ferito un candidato del fronte governativo. "I numeri che abbiamo ci dicono che abbiamo vinto sulle forze di distruzione", ha dichiarato Edi Rama, leader del Partito Socialista e della coalizione di centrosinistra, poco dopo la chiusura delle urne. Un quadro opposto ha descritto invece il partito Democratico, di destra, che fa capo al premier uscente Sali Berisha, secondo cui "gli albanesi hanno votato con determinazione per la nostra alleanza". Gli exit polls hanno d'altronde fornito dati contraddittori. Per ora i primi parziali dati dello spoglio danno ragione all'opposizione. Quando è stato scrutinato il 15% dei voti emessi i socialisti sarebbero in vantaggio di circa 15 punti percentuali a livello nazionale. Ma l'assegnazione dei seggi avviene sulla base di sbarramenti diversi in ognuno dei 12 collegi elettorali esistenti, e quindi fondamentale sarà il risultato nei grandi collegi quale Tirana dove lo spoglio va a rilento. Tirana ha un disperato bisogno di dimostrare che è stata in grado di organizzare un'elezione corretta in base agli standard internazionali se vuole tentare di avviare un processo di avvicinamento all’UE che prima o poi le consenta l’ingresso nell’alleanza. Ma già ieri la sparatoria che ha coinvolto persone direttamente implicate nel voto ha dato il senso della precarietà del processo elettorale anche questa volta. La vigilia delle legislative, inoltre, è stata segnata da accuse di compravendita di voti e d’irregolarità nelle liste elettorali, che fanno temere una replica delle elezioni del 2009, che fecero precipitare il Paese delle Aquile in una grave crisi politica. La stessa agenzia che deve certificare il nuovo voto è bloccata da una disputa: Rama ha infatti ordinato ai tre rappresentanti dell'opposizione in seno alla commissione elettorale di dimettersi dopo il siluramento di un ministro il cui partito si è schierato con l'opposizione e senza un minimo di cinque membri su sette la commissione non può ufficializzare i risultati del voto. In termini elettorali, il partito socialista di Edi Rama, ex sindaco di Tirana, oggi 48enne, questa volta pare avvantaggiato dal sostegno di un partito di sinistra di modeste dimensioni, ma che sino a ieri appoggiava i ‘democratici’ di Berisha. Per quest'ultimo, padrone della vita politica albanese dalla fine del regime socialista e oggi 68enne, una sconfitta potrebbe segnare la fine della sua carriera politica. Circa 3,28 milioni di albanesi erano chiamati ieri alle urne, considerando che almeno un milione di cittadini vive in Grecia e Italia.

 
 
 

Risoluzione finale della Conferenza Internazionale "Europa in crisi"

Post n°36 pubblicato il 23 Giugno 2013 da danielegiovanni3
Foto di danielegiovanni3

DOCUMENTO CONCLUSIVO (20 Giugno 2013)

Noi, attivisti provenienti da venti paesi d'Europa, Est e Ovest, Nord e Sud, ma anche dal Medio Oriente, Asia, Africa e America Latina, combattenti in decine di diversi partiti politici ed organizzazioni della sinistra rivoluzionaria anticapitalista, dei sindacati combattivi, dei movimenti sociali, dei collettivi di lotta popolare auto-organizzati, riuniti nella Conferenza Euro-Internationale dei Lavoratori, il 9 e 10 giugno ad Atene, invitiamo i lavoratori, i disoccupati, i pauperizzati e le masse sociali escluse di tutti i paesi ad unirsi in una lotta comune per un esito rivoluzionario e internazionalista dalla catastrofe sociale provocata dalla attuale crisi globale del capitalismo. In soli sei anni, una crisi globale senza precedenti ha colpito il mondo capitalista. Non è né una semplice o consueta crisi ciclica, né un fenomeno causato dalla attuale congiuntura, ma una crisi sistemica e storico universale, che presenta le maggiori sfide per il presente e il futuro dell'umanità. Per tutti noi, gli oppressi e gli sfruttati, questo è il momento della decisione e della lotta per prendere il nostro destino nelle nostre mani. Non è questa o quella questione che è in gioco, è la nostra vita, il diritto alla vita per l'emancipazione umana universale, libera dallo sfruttamento, dall'oppressione e dall' umiliazione di esseri umani da parte di altri esseri umani. Iniziata nel centro del capitalismo mondiale, gli Stati Uniti, la crisi ha presto fatto della Unione europea il suo epicentro. I capitalisti, i loro governi, la UE, la BCE e il FMI cercano di far pagare ai lavoratori il fallimento del loro sistema di sfruttamento, distruggendo vite, posti di lavoro, salari e pensioni, case, e diritti di milioni di persone con i più barbari, e del tutto inefficaci-programmi di "austerità" e cannibalismo sociale. Nonostante tutte le differenze di grado, modo e ritmo di sviluppo, la crisi colpisce l'intera Europa, Nord e Sud, Est e Ovest. Non si limita alla periferia o al sud dell'Europa. Il fallimento della Grecia è stato il preludio, che ha mostrato ciò che sarebbe seguito a livello continentale e internazionale. La moneta comune europea, la zona euro e l'intero progetto di una stessa Unione europea, corrono il rischio di disgregazione, mentre i popoli europei sono minacciati di essere sepolti sotto le rovine della "costruzione europea" costruito finora sulle fondamenta marce del capitalismo. Le classi dirigenti europee non sono riuscite a realizzare il loro vecchio sogno di integrare il continente per competere per il dominio del mondo contro i loro antagonisti nord-americani e asiatici. Il nostro modo di procedere, per una vera alternativa in Europa, e uno sbocco socialista della crisi, oggi incubo del capitalismo in bancarotta, non può essere semplicemente "un fronte dei poveri del Sud" contro i "ricchi" del Nord; tanto meno un fronte dei poveri del Sud con i ricchi del Sud, assieme a Rajoy, Letta, Hollande, Samaras, Anastasiadis o Coelho, contro i poveridel Nord, i lavoratori francesi o tedeschi o i poveri di Husby a Stoccolma. Abbiamo bisogno di creare un fronte unico internazionalista rivoluzionario di tutti gli oppressi e diseredati, tutti i condannati del pianeta, da sud a nord, da est a ovest, da Lisbona a Vladivostok in Europa, nel Mediterraneo, nel Medio Oriente della primavera dei popoli che si ribellano contro tutti i tiranni, i dittatori locali e gli imperialisti stranieri, una forza internazionalista unita di resistenza e di emancipazione che copra l'intero pianeta. Per quelli di noi che lottano nella UE, è di vitale importanza evitare sia le illusioni liberali "europeiste" o riformiste , che questa unione di banchieri imperialisti e usurai, di grandi industriali e di politici corrotti complici; questa alleanza autoritario e oppressiva delle élite governanti che trasformano l'Europa in un vasto campo di lavoro precario, non potrà mai, specialmente in questo momento di crisi storica, riformarla in una "Europa sociale e democratica." La Bastiglia è stata demolita, non ristrutturata. Inoltre, l' "euroscetticismo" ha sempre un contenuto reazionario borghese, anche se utilizza un tipo di retorica populista di sinistra. Per un'uscita alternativa dalla crisi, non è cruciale il cambio della valuta, l'euro in una (svalutata) dracma o lira o peseta, ecc, ma il cambiamento radicale del sistema sociale stesso. Una retrocessione nazionalista all' interno dei soffocanti confini nazionali, sotto i governi nazionali dello stesso sistema sociale in bancarotta, sotto il controllo della polizia nazionale, dei generali nazionali o dei carcerieri nazionali, non è una alternativa reale auspicabile o praticabile. L'autarchia, un'utopia reazionaria (o meglio una distopía) ha portato a tragedie catastrofiche negli anni '30: nelle condizioni della globalizzazione capitalista è una farsa catastrofica. Questa visione non può che promuovere il razzismo, la repressione e la discriminazione, aggravando la situazione già infernale delle comunità di immigrati in Europa. Oggi, il velenoso populismo nazionalista, nonostante le differenze di colori di destra o di "sinistra", e ancor più la destra nazionalista o di estrema destra, che è peggio, pericolose formazioni apertamente naziste, come "Alba Dorata"in Grecia o" Jobbik "in Ungheria, mostrano chiaramente il tragico cammino verso la barbarie prodotta dal impasse sistemico del capitalismo. Dobbiamo tagliare con la spada internazionalista il nodo gordiano: dobbiamo combinare la lotta per spezzare l' Unione europea imperialista di questi banditi (cominciando dai nostri), sfruttatori e oppressori, con la lotta per l'unificazione socialista “dal basso", nell'ambito di un lotta comune di tutti i lavoratori e le masse del continente, per stabilire quello che viene chiamato nella tradizione rivoluzionaria degli oppressi, gli Stati Uniti Socialisti d'Europa. Per avanzare verso questo obiettivo strategico, è urgente che tutti quei gruppi, movimenti, organizzazioni e combattenti provenienti da diverse tradizioni coinvolti nella lotta di classe e in tutte le lotte per l'emancipazione, discutano apertamente, collettivamente, in modo non settario, a livello europeo e internazionale, i principali assi di un programma di uscita da questa crisi e cominciare a coordinare le nostre lotte elaborando e sviluppando campagne e un Piano comune di azioni. Questa Euro-Conferenza Internationale dei Lavoratori chiama ad una lotta comune secondo i seguenti punti programmatici: • Contrattaccare gli usurai internazionali, la dittatura dei "mercati", delle banche e del capitale finanziario, con la sospensione del pagamento di TUTTO il debito pubblico che ruba e blocca la vita di milioni di persone, e l'esproprio della banche sotto il controllo dei lavoratori. * • Tutti i piani di "austerità" di “cannibalismo sociale” imposti da UE, BCE, FMI e governi capitalisti devono essere arrestati immediatamente. Il capitalista deve pagare per la crisi del suo sistema di sfru ttamento, non gli sfruttati! Dobbiamo lottare per recuperare i salari, le pensioni e i diritti sociali dei lavoratori in base alle esigenze sociali, non per il beneficio di pochi. • Contro la disoccupazione di massa, il lavoro precario, l' impoverimento e l'esclusione sociale chiamiamo alla lotta per combattere i licenziamenti, per la distribuzione delle ore di lavoro tra tutti i lavoratori. Per i disoccupati e per chi cerca lavoro, garantire i benefici dell' assicurazione contro la disoccupazione fino ad ottenerne uno. Infrastrutture ed opere pubbliche, che in ogni caso sono vitali e urgenti, devono essere progettati per creare nuovi posti di lavoro. I baroni della grande industria ricattano sempre i lavoratori perché accettino tagli salariali e di posti di lavoro, pena la chiusura o la delocalizzazione delle loro fabbriche all'estero; la nostra risposta deve essere quella di occupare tutte le fabbriche che chiudono o licenziano i lavoratori in massa, di espropriarli senza alcun indennizzo, facendole funzionare di nuovo sotto il controllo e la gestione dei lavoratori. • Contro gli sfratti a causa di debiti, o di interruzioni di acqua o elettricità a causa di mancato pagamento delle fatture; nei confronti di qualsiasi privazione o la privatizzazione di beni comuni come la sanità e l'istruzione. • Contro la distruzione dell'ambiente. • Per una lotta decisa contro il fascismo, il razzismo e la discriminazione contro le donne, l'orientamento sessuale, di tutte le minoranze! Difendiamo gli immigrati e tutte le comunità oppresse! Parità di diritti per tutti i lavoratori, indipendentemente dal colore, etnia o religione! I lavoratori ed i movimenti popolari devono organizzarsi in guardie di difesa contro le bande fasciste e la repressione statale. • Per lo smantellamento dell'apparato repressivo dello Stato borghese, della NATO e di tutte le basi militari imperialiste e delle loro alleanze. Solidarietà totale con tutte le lotte antimperialiste dei popoli oppressi in Palestina, Medio Oriente, Asia, Africa e America Latina! Per tutte le esigenze vitali immediati della classe operaia e delle masse popolari, il nostro grido di battaglia deve essere: “Abbasso tutti i governi capitalisti! Per il governo dei lavoratori e del potere operaio! Abbasso l'Unione europea imperialista! Viva gli Stati Uniti socialisti d'Europa! Atene, 10 giugno 2013.

 
 
 

Brasile, Dilma Rousseff parla a reti unificate: "Riforme subito su sanità, educazione e mobilità" (22 Giugno 2013)

Post n°35 pubblicato il 23 Giugno 2013 da danielegiovanni3
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22/06/2013 07:44

Un “grande piano in tre punti per migliorare” i servizi pubblici (educazione, sanità, mobilità). Il presidente Dilma Rousseff fa il suo annuncio in Tv durante il discorso, a reti unificate, alla nazione, mentre le proteste che in questi giorni hanno infiammato il Brasile al grido “soldi per l’educazione e i servizi sociali e non per i mondiali” non sembrano placarsi. A due settimane dall’inizio delle mobilitazioni, il Governo ha deciso di destinare il 6% delle entrate pertrolifere all'istruzione, ed in più elaborerà un piano nazionale per la mobilità. Per quanto riguarda la sanità, poi, farà arrivare medici dall’estero per coprire le carenze. Nella parte più politica del suo intervento Rousseff ha promesso di “fare di piu'” contro la corruzione: “E il modo migliore per farlo – ha detto - e' la trasparenza. Voglio ossigenare il nostro sistema politico – ha aggiunto - e renderlo piu' vicino alla società”, dove le proteste sono “il segno di vitalità della nostra democrazia” . Ma dai partiti politici, però, “non si puo' prescindere” dai partiti politici in una democrazia, e per la democrazia “la mia generazione ha dovuto lottare: alcuni sono stati arrestati e torturati, altri sono morti”. ''Ascolto tutte le persone che sono scese in strada per manifestare pacificamente – ha detto infine Rousseff - ma il mio governo non puo' tollererare la violenza, che sta dando una cattiva immagine del Brasile''. Che le mobilitazioni in alcuni casi stiano prendendo una piega poco chiara lo sottolineano anche alcuni settori del movimento. Movimenti sociali e di sinistra denunciano aggressioni da parte di spezzoni ‘nazionalisti’ e ‘apolitici’ della piazza e si dicono preoccupati per le possibili strumentalizzazioni della destra e dei media nelle mani delle oligarchie. Il Movimento Passe Livre, il coordinamento che ha svolto un ruolo di raccordo tra le recenti manifestazioni di piazza in Brasile contro alcune politiche delle amministrazioni locali, ha annunciato che si asterrà dal convocare nuove iniziative nelle prossime ore in segno di protesta per l'aggressione avvenuta ieri di alcuni esponenti del Partito dei lavoratori da parte della folla in alcune città. Il Pt, infatti, nonostante sia l'organizzazione politica al governo ha deciso di appoggiare le lotte sociali. Intanto, le proteste antigovernative in Brasile non accennano a placarsi, rischiano di causare riflessi sulla visita del Papa in programma dal 22 al 28 luglio, mentre le vittime sono salite a due. Secondo quanto riferito dalle autorita' locali, una netturbina e' deceduta per un arresto cardiaco a Belem, capitale dello Stato nord-orientale del Parà, dopo aver inalato i gas lacrimogeni lanciati dalla polizia in assetto anti-sommossa contro i manifestanti. La donna, che soffriva di ipo-tensione, e' stata identificata come Cleonice Vieira de Moraes, 54 anni. In precedenza a Ribeirao Preto, nello Stato di San Paolo, la notte scorsa aveva perso la vita il diciottenne Marcos Delefrate, travolto da un veicolo il cui conducente intendeva aprirsi la strada a forza attraverso una barricata. La Fifa ha smentito di aver pensato di interrompere la Confederations Cup, che in questi giorni ha visto parecchi presidi negli stadi dove si disputano i match. La notizia di una presunta interruzione della Coppa era stata diffusa dai media brasiliani, secondo i quali una squadra in particolare aveva espresso l'intenzione di non giocare piu'. Complessivamente, un milione di persone si sono riversate nelle piazze di un centinaio di citta' del Paese. Il presidente del gigante latinoamericano, Dilma Rousseff, ha convocato d'urgenza un vertice del governo e ha rinviato la visita in Giappone in programma da mercoledi' a venerdi' prossimi. Le proteste di giovedi', le piu' imponenti degli ultimi 20 anni in Brasile, hanno coinvolto San Paolo, Rio de Janeiro, Brasilia, ma anche tante altre città. A Rio e' stato dato alle fiamme un pullmino della tv Sbt e cinque tra giornalisti e operatori sono rimasti leggermente feriti. A Brasilia decine di migliaia di persone si sono accampate davanti al Parlamento nazionale mentre bombe molotov sono state lanciate contro la sede del ministero degli Esteri. Alcuni sassi contro due vetrate della cattedrale di Brasilia, secondo l'edizione on line del quotidiano Folha de Sao Paulo. Undici persone sono rimaste ferite e ricoverate negli scontri con la polizia, tre delle quali sono in gravi condizioni.

 
 
 

Brasile: un milione in piazza, morto un manifestante

Post n°34 pubblicato il 21 Giugno 2013 da danielegiovanni3

In Brasile la protesta dilaga: la decisione dei governi regionali di annullare gli aumenti del prezzo del trasporto pubblico non ha rimandato a casa i manifestanti che scendono in piazza sempre più numerosi. Cortei e scontri in 80 città. La presidente del Brasile, Dilma Rousseff, ha convocato una riunione di crisi per questa mattina. La riunione del gabinetto di crisi dovrebbe avere luogo presso la presidenza, a Brasilia, alle 9.30 locali, cioè alle 14.30 in Italia. Secondo fonti della stampa locale, i partecipanti saranno chiamati a valutare la situazione, le rivendicazioni dei manifestanti e l'opportunità di un messaggio radiotelevisivo della leader del Partido dos Trabalhadores (centrosinistra) al paese in rivolta. Intanto, l'ufficio di presidenza ha annunciato che il capo dello Stato ha deciso di annullare la sua prevista visita in Giappone, dal 26 al 28 giugno, "a causa degli eventi attuali". Intanto San Paolo, Rio de Janeiro, Brasilia, Belo Horizonte e decine di altre città delBrasile sono state attraversate in serata dalle più grandi manifestazioni di piazza degli ultimi venti anni: almeno un milione di persone hanno sfilato in corteo in una ottantina di città grandi e piccole chiedendo la fine della corruzione, riforme e investimenti nel campo della sanità, dell’istruzione e del lavoro, un taglio netto delle spese per i mondiali di calcio del 2014 dopo i miliardi di euro buttati nella Confederation Cup, la fine della repressione selvaggia contro chi protesta. Nel pomeriggio di ieri decine di migliaia di manifestanti, in gran parte studenti e giovani, erano tornati a protestare nelle strade di San Salvador de Bahia, terza città del Paese. La folla si é concentrata intorno allo stadio 'Campo Grande' dove era in programma la partita Uruguay-Nigeria per la Confederations' Cup, i cui enormi costi di allestimento hanno contribuito a esasperare la furia popolare. Durante il corteo la tensione è aumentata: drappelli di contestatori che hanno bersagliato con pietre e bottiglie gli agenti in assetto anti-sommossa schierati a protezione dell'impianto sportivo che hanno risposto con un fitto lancio di lacrimogeni e ripetute cariche. A Rio de Janeiro più di 300mila persone hanno manifestato ieri e violenti scontri con le forze dell'ordine sono scoppiati davanti alla sede del municipio. Gli agenti hanno lanciato i blindati contro i dimostranti e bersagliato la folla di gas lacrimogeni e proiettili di gomma. Almeno 62 persone sono rimaste ferite, tra cui un giornalista della Tv Globo. A Brasilia, circa 25 mila manifestanti si sono accampati sul prato di fronte al parlamento federale. La polizia militare ha circondato il palazzo di Planalto, sede della presidenza, ed ha usato gas lacrimogeni per disperdere i dimostranti. Nella capotale federale gruppi di manifestanti hanno attaccato il ministero degli Affari Esteri: un gruppo è riuscito a infrangere i vetri di una porta d'ingresso e ad appiccare il fuoco, ma la polizia è intervenuta per impedirne l'ingresso. Almeno 35 persone sono rimaste ferite: tre di loro sono in gravi condizioni. A San Paolo, circa 150 mila persone hanno invaso l'Avenida Paulista, principale arteria della città. Alcuni esponenti del Partito dei lavoratori sono stati spintonati e allontanati dalla manifestazione e alcuni manifestanti hanno anche bruciato bandiere del Pt. Manifestazioni e scontri hanno avuto luogo anche a Vitoria, dove la polzia è intervenuta con gas lacrimogeni davanti alla sede del tribunale. A Belem e Campinas, gruppi di manifestanti hanno lanciato pietre contro le forze dell'ordine e infranto i vetri delle finestre delle sedi municipali. La polizia ha reagito con gas lacrimogeni e proiettili di caucciù: almeno sette persone sono rimaste ferite, tra cui un giornalista.A Belo Horizonte sono scese in strada circa 15 mila persone ed anche in questo caso si sono registrati scontri. E purtroppo la protesta ha fatto nelle ultime ore la prima vittima: a Ribeirao Preto, città dello stato di San Paolo, un giovanissimo manifestante di 18 anni è stato investito e ucciso da un automobilista che avrebbe puntato a tutta velocità contro la folla di dimostranti che bloccavano una strada.

 
 
 

Gezi Park evacuato, Istanbul e la Turchia esplodono (19 Giugno 2013)

Post n°33 pubblicato il 21 Giugno 2013 da danielegiovanni3

 

 

Dopo giorni di esitazioni e di negoziazione, il governo ha infine deciso di evacuare la Comune Taksim, dove in migliaia sono accampati allo Gezi Park e che decine di migliaia di persone visitano ogni notte. La polizia ha attaccato Gezi Park il 15 sera utilizzando gas lacrimogeni e, ultima novità, dei cannoni ad acqua apparentemente integrati con un particolare tipo di sostanza chimica che ha bruciato la pelle di tutti quelli che sono stati colpiti, e dopo l'evacuazione ha raso al suolo le tende, l'infermeria, le cucine e le biblioteca che vi erano state costruite. Schiacciare uno dei punti chiave della resistenza ha significato vederne fiorire mille. Subito, in una serie di quartieri di Istanbul e in molte città di tutto il paese, la gente è uscita in strada a migliaia, e in alcuni casi a decine di migliaia, spontaneamente e ha iniziato a cantare gli slogan comuni della ribellione ora già vecchia di quindici giorni. Il più rilevante per l'occasione era, ovviamente, quello più diffuso "Taksim ovunque, resistenza ovunque!" Gli altri più significativi sono stati "Spalla a spalla contro il fascismo!" (tradizionalmente la sinistra turca chiama tutti i tipi di regimi repressivi "fascista") e "Governo dimettiti!" Proveniendo dai quartieri operai, in decine di migliaia hanno occupato le circonvallazioni ai lati opposti di Istanbul sia sul lato asiatico, sia su quello europeo. Un gruppo di circa a un migliaio di manifestanti ha attraversato il ponte principale sul Bosforo, che collega l'Asia e l'Europa. Istanbul è ormai diventata un crogiuolo di lotte e resistenza che si estende per oltre 80 km, in una città con una popolazione stimata di circa 14 milioni di persone. Nel centro della città, anche i quartieri molto eleganti sono stati teatro di cacerolazos (concerti di pentole e padelle) e marce. La strategia della polizia era semplicemente quella di proteggere Piazza Taksim e dintorni. Hanno fatto di questo una questione d’onore e si sono salvati faccia non ammettendo i manifestanti in questa piazza, che è stata fortemente combattuta nel corso degli ultimi quindici giorni. È per questo che hanno riversato tonnellate di gas urticante su quelle folle che, come quella in cui eravamo parte, stavano vicino alla piazza e cercavano di forzare la barricata della polizia, mentre non erano in grado di toccare anche quei grandi gruppi, che hanno tagliato la circolazione del traffico sulle principali arterie e hanno marciato fino al sorgere del sole. Ma anche vicino a Taksim ci sono state a volte folle enormi. Come per esempio, la massa di cui facevamo parte anche noi che è arrivata ad essere a decine di migliaia, a un certo punto. Ma l'effetto di soffocamento dei gas lacrimogeni gettati incessantemente e il morso dall'acqua addizionata chimicamente hanno giocato la loro parte e dopo ore molte persone hanno abbandonato. C’è stato però ad un certo momento un evento di massima importanza. Gezi Park è stato al centro dell'attenzione di tutto il mondo durante queste due settimane, con la condivisione del clima di libertà e di vita in comune. Giusto che sia così, dal momento che questa esperienza ha implicato che decine di migliaia di giovani sono stati introdotti per la prima volta alle bellezze della condivisione di una vita comune. Ma nel processo, il mondo, e molti in Turchia, non hanno saputo che la linea ignobile della polizia turca nella gestione di manifestazioni di massa veniva seguita altrove. Un esempio notevole è stato il quartiere di Gazi a Istanbul, un quartiere popolare con una maggioranza della popolazione di aleviti (gli aleviti sono una minoranza religiosa che conta decine di milioni di persone, anche se la cifra esatta è un mistero). L'ironia è anche inclusa nei nomi dei due luoghi, Gezi e Gazi. Il momento più emozionante è stato quanto la notte del 15 mentre noi diminuivamo, abbiamo ricevuto il sostegno di una folla di persone che arrivano da Gazi, cantando "Tenere stretto Taksim, Gazi è in arrivo!" Gazi finalmente incontrato Gezi nello stesso vortice di violenza! Altrove in Turchia le masse si sono riversate per le strade, non appena hanno saputo quello che era successo a Gezi Park. Ad Ankara, la capitale, Izmir, la terza città più grande sulla costa del Mar Egeo di fronte alla Grecia, Adana e Bursa, rispettivamente i centri delle industrie tessili e metallo, e Antalya, il principale centro di villeggiatura estiva sul Mediterraneo, tutti videro le folle enormi raccogliere sui loro principali piazze. Tuttavia, l'atteggiamento delle forze dell'ordine era molto differenziato, andando dalla totale astensione dalla violenza a Izmir e Antalya per esempio, all'uso estremo della forza in Adana. Esame di coscienza per i circoli dominanti Non vi è dubbio che nelle alte sfere vi sono incontri frenetici negli uffici ad Ankara. Il governo, i capi dei servizi segreti e le forze dell'ordine e i vertici stanno con ogni probabilità soppesando i vantaggi di una legge marziale o di uno stato di emergenza. Parallelamente a queste consultazioni ufficiali, non vi è dubbio che le fratture nella classe dirigente stanno trovando la loro strada verso il vertice del potere. Una coalizione anti-Erdogan è emersa nell’alleanza tra Abdullah Gul, il Presidente della Repubblica, con radici nel AKP, Bulent Arinc, il Vice Primo Ministro, un altro uomo importante dello stesso partito, e Kemal Kilicdaroglu, il leader della cosiddetta socialdemocrazia turca, che è anche la principale partito kemalista, cioè laico-nazionalista. Questo partito, un beniamino di molti settori della sinistra, sta cercando di annebbiare il movimento, anche se pretende ipocritamente di essere schierato con esso. Erdogan ha probabilmente fatto il più grande errore della sua vita. La sua arroganza lo ha di nuovo spinto a prendere una decisione avventata. La leadership delle organizzazioni che sono state raccolte dal governo come rappresentanti della rivolta, erano pronte a liquidare il movimento. Ma hanno dovuto procedere con cautela perché gli attivisti del movimento si sono ribellati apertamente contro la loro capitolazione. Avevano bisogno di un solo giorno per ridimensionare la Comune Taksim e al massimo una settimana per scioglierla. Ma Erdogan aveva in programma una manifestazione a Istanbul per la Domenica del 16 giugno, dove voleva mettere su uno spettacolo da vincitore. Questo è probabilmente il fattore principale dietro la tempistica del raid della polizia Gezi Park. L'atteggiamento di settori della sinistra per quanto riguarda la continuazione o lo scioglimento della Comune di Gezi Park è istruttivo. Solo una settimana fa i cosiddetti rappresentanti del movimento avevano avanzato una lista di richieste, molte delle quali incredibilmente minimaliste rispetto alle rivendicazioni altrimenti legittime. Un esempio dovrebbe essere sufficiente. Di fronte alla brutalità dei metodi delle forze di polizia, tra cui l'uso di truppe senza uniforme armate di mazze di legno chiodate, più o meno nella stesso tipo dei Shabiha di Bashar Assad o il Baltadjisof di Hosni Mubarak, i rappresentanti hanno chiesto solo la rimozione di alcuni governatori provinciali, come se non fosse il ministro degli interni il responsabile di tali politiche brutali e vergognose. Eppure, nonostante le carenze di quelle originali sette richieste, queste si sono rivelati estremamente preziose se confrontate con quello che i rappresentanti hanno concordato alla fine. Erdogan ha semplicemente proposto un referendum sul futuro del Gezi Park e un'indagine interna di eccessi da parte della polizia. Visti i precedenti della polizia turca e delle forze armate nelle indagini sui loro crimini (ancora un anno e mezzo dopo il massacro di Uludere / Roboski, dove 34 contadini curdi sono stati bombardati a morte da parte dell'aviazione turca, non una sola persona è stata perseguita), la promessa di una indagine interna è uno scherzo! E ancora i rappresentanti hanno accettato e deciso di evacuare. Questo è stato davvero incredibile, dato il fatto che non è una delle loro richieste originale era stata concessa e il fatto ulteriore che il movimento non aveva perso nulla della sua vitalità. Tuttavia, forum dopo forum tenutisi presso Gezi Park, la gioventù indipendente che ha costituito la spina dorsale della Comune Taksim, ha definito le concessioni del governo come ridicole e ha rifiutato di muoversi. Ciò ha portato la direzione ad optare per un metodo subdolo di liquidare il movimento. Presa come era tra l’incudine e il martello, la leadership ha manovrato e ha dichiarato che stava avanzando velocemente, mentre stava semplicemente cercando di portare la Comune sul suo letto di morte. Anche tutta questa retorica si è rivelata troppo ribelle per il gusto di Erdogan. È seguita la guerra. La rivolta è senza precedenti per l'ampiezza della sua influenza, la profondità della rabbia in cui è nata, e la fiducia in se stessi e il coraggio delle masse di persone ordinarie, molte delle quali con scarsa esperienza politica in passato. Se l’affluenza di ieri sera e la combattività continuano, non solo il governo di Erdogan, ma anche il futuro di tutto il regime potrebbe essere messo in pericolo. Un fattore di grande importanza è il fatto che il DISK, la confederazione più progressista dei lavoratori industriali, e il KESK, la più a sinistra tra le confederazioni dei dipendenti pubblici, hanno dichiarato congiuntamente uno sciopero generale e hanno fatto appello ai loro militanti di uscire sulla strada e di protestare. Questa è una novità e di importanza critica, ma dovremo aspettare e vedere fino a che punto questa promessa sarà mantenuta sino a lunedì, che è quando qualsiasi tipo di sciopero sarà significativo. In ogni caso, la rivolta turca sta entrando in una nuova fase in cui la lotta può, a determinate condizioni, evidenziare molto più distintamente il timbro della lotta di classe. Potrebbe sfociare in una rivoluzione qualsiasi momento. Essa può, tuttavia, anche diminuire in un semplice movimento di protesta e gradualmente scomparire entro un po’ di tempo nel prossimo periodo. Il DIP lotta contro la capitolazione Il Partito operaio rivoluzionario (DIP), sezione turca del CRQI, ha fatto parte del movimento dopo l’inizio della rivolta, il 31 maggio. I militanti del DIP sono stati tra coloro che sono stati in prima linea nella lotta contro le forze repressive della polizia quella sera. Il DIP ha istituito una tenda a Gezi Park, ha fatto uscire cinque volantini diversi nel giro di una quindicina di giorni ed è intervenuto in tutti i dibattiti nei forum, nelle frequenti riunioni delle 80 organizzazioni che hanno costituito La Comune, e così via. Durante il suo intervento, diversi assi hanno definito i criteri sostenuti dal DIP. •Una caratterizzazione dell'esplosione come una rivolta che non pone la questione del potere se non in uno slogan che chiede le dimissioni del governo, una rivolta, però, che può essere facilmente e senza soluzione di continuità trasformata in una rivoluzione in determinate circostanze •Al fine di veder mutare questa rivolta in una rivoluzione, la questione strategica che il DIP ha posto è stata la conversione della rivolta popolare in lotta di classe. Il collegamento tattico avanzato si è costruito ponendo fin dal primo giorno uno sciopero generale.• •Il DIP ha riconosciuto correttamente la formazione di un'alleanza tra un'ala più moderata del AKP e il cosiddetto partito socialdemocratico e il loro ricorso ai metodi più subdoli per assorbire il movimento di massa. E ha messo in guardia contro questo dal momento in cui è iniziato •Il DIP ha proposto un insieme di rappresentanti del movimento Gezi Park al fine di scongiurare il pericolo di un sell-out dai rappresentanti scelti da parte del governo. •Il DIP ha anche avanzato rivendicazioni dettagliate per quanto concerne la piattaforma del movimento di massa. La richiesta delle dimissioni del governo era essenziale, naturalmente, ma si doveva anche fare attenzione a non lasciare che si aprisse un vuoto tra questa richiesta del movimento di massa e le richieste molto minimali fatte dai falsi rappresentanti del movimento. La caratterizzazione delle rivendicazioni del DIP in questa direzione si è espressa nella richiesta della formazione di una Commissione Investigativa indipendente, pienamente autorizzato dal Parlamento a ricorrere a tutti i mezzi legali e alla documentazione, contenente i rappresentanti dei sindacati, la Camera medica, e l'Unione delle Associazioni. •Negli ultimi giorni il DIP è stato uno dei pochi gruppi di sinistra che hanno fatto quadrato contro la capitolazione che era in programma, ma dissimulata. Abbiamo prodotto un opuscolo su tale questione, ricordando a tutti che gli alberi di Gezi Park erano solo il fattore scatenante in un movimento che in realtà è sorto come reazione alla repressione e all'arroganza inflitte al popolo in generale. E che il movimento in sé era livello nazionale e che non potrebbe essere limitato a quello in Gezi Park. Questo foglio è stato letto da attivisti indipendenti al forum e ha ricevuto un sacco di applausi. I nostri compagni sono intervenuti in questi forum, sostenendo lo sciopero generale e la continuazione del movimento. Il DIP continuerà a lottare per approfondire la rivolta e convertirlo in una rivoluzione. Se la classe operaia arriverà sulla scena con le sue richieste specifiche e coi metodi di lotta che gli sono propri, questo movimento si trasformerà rapidamente in una rivoluzione. E 'quindi il dovere dei marxisti rivoluzionari di cercare di rendere questa una rivoluzione permanente, sia a livello nazionale che internazionale. Sungur Savran Segretario del Partito Rivoluzionario Operaio di Turchia D.I.P.

 
 
 

Picchetto alla Fiat di Pomigliano 15.06.2013

Post n°32 pubblicato il 17 Giugno 2013 da danielegiovanni3

Fiom e Slai Cobas promuovono un presidio per protestare contro la Fiat che ordina straordinari con 2000 persone ancora in cassa integrazione.

 

 
 
 

A Pomigliano riprende la mobilitazione operaia

Post n°31 pubblicato il 12 Giugno 2013 da danielegiovanni3

 

A nessuno è andata giù la richiesta della direzione aziendale della Fiat di imporre due sabati lavorativi per il 15 ed il 22 giugno. I lavoratori in produzione, che sottostanno a ritmi impossibili durante l’intera settimana, devono protrarre per ulteriori due giorni la settimana lavorativa; il loro malumore cresce ed i sindacati che hanno firmato lo sciagurato accordo (Fim Cisl, Uilm, Fismic) si rifiutano oggi di indire assemblee retribuite in fabbrica, temendo la rabbia dei lavoratori. Sono perfino arrivati senza vergogna a trasformare in produzione aggiuntiva le 10 ore di assemblea previste dallo Statuto dei lavoratori. I cassintegrati sono ulteriormente beffati dalla richiesta aziendale dei sabati lavorativi, a riprova che per loro non esiste nessuna realistica prospettiva di rientrare in produzione. Ma questa volta una risposta dei cassintegrati c’è stata. Superando vecchie diffidenze reciproche, operai appartenenti alle diverse componenti del sindacalismo conflittuale hanno iniziato un percorso comune incontrandosi in due riuscite assemblee il 29 maggio in sede FIOM ed il 4 giugno in sede SLAI COBAS. Nella seconda assemblea, estesa al “Comitato delle donne” ed alle organizzazioni politiche (M5S, Sinistra critica, Comunisti Sinistra Popolare), è stata proposta ed accettata una linea di unità tra i lavoratori in produzione ed in cassa integrazione della sede centrale nonché delle sedi periferiche (Nola) e dell’indotto. Il 15 ed il 22 giugno ci saranno presidi ai cancelli per interloquire con i lavoratori in produzione e convincerli ad unirsi alla lotta dei cassintegrati per il lavoro per tutti. Le divisioni indotte dal referendum di Marchionne potrebbero essere ricomposte ed il disastro industriale di Pomigliano potrebbe essere adeguatamente fronteggiato.

 
 
 

E’ una rivolta, non (ancora) una rivoluzione!(*)

Post n°30 pubblicato il 08 Giugno 2013 da danielegiovanni3

 

Il primo maggio 2013, la polizia ha riversato tonnellate di gas lacrimogeni su decine di migliaia di lavoratori e giovani in diversi quartieri di Istanbul, al fine di impedire loro di avvicinarsi a piazza Taksim.Il governo aveva deciso che questa piazza, il luogo tradizionale per le celebrazioni del Primo Maggio e sede di azioni politiche quotidiane grandi e piccole, doveva essere chiusa a ogni manifestazione di quest'anno, a causa degli enormi pozzi scavati per i lavori di costruzione previsti, che la renderebbero pericolosa per le folle. Durante una dichiarazione stampa ridicola, il governatore di Istanbul si trovava in cima a una collinetta ai margini di uno di quei buchi, in un disperato tentativo convincere del la minaccia che questi rappresentavano per la gente. Esattamente un mese dopo, il sabato 1 giugno, le masse che protestano contro i piani urbanistici alla base di questo lavoro edilizio e contro il governo stesso, avevano occupato la piazza e ne avevano fatto la parte più libera di Istanbul, o meglio della Turchia! La polizia si ritirava nel pomeriggio da Piazza Taksim lasciando il luogo alla folla di manifestanti che la affollavano a centinaia di migliaia! Questo per tre giorni. E non una sola persona è caduta in alcuna delle “terrificanti” fosse! Il simbolismo è evidente: questa è la più grande sconfitta per il governo dell'AKP e per il primo ministro Tayyip Erdogan, da quando il partito è salito al potere un decennio fa. Questo è un fatto di importanza epocale. Nonostante le profonde contraddizioni in seno alla borghesia turca negli ultimi dieci anni, che trovano l'ala dominante occidentalista-laicista contro l'ala islamista di recente ascesa, che includevano anche trame di colpo di stato e imprigionamento dei vertici, non è una forza all'interno della classe dirigente, ma sono le masse popolari che danno a Erdogan la sua prima lezione seria! Per le centinaia di migliaia di persone per le strade e le piazze di almeno 48 delle 91 città capoluogo di provincia del paese e per i molti milioni dietro di loro che sostengono la lotta moralmente da dentro le loro case, niente è dato più per scontato. Si tratta di una massa di persone che sono forti della fiducia in se stesse e che hanno la sensazione che sono loro a rappresentare ciò che è giusto e retto. Sfidano tutte le convenzioni e i limiti del sistema giuridico vigente che disciplina l'attività politica. Sì, questa è una ribellione, la rivolta di un popolo contro un governo oppressivo che ha supervisionato i processi di sfruttamento capitalistico brutale nel corso di un intero decennio. Ma non è ancora una rivoluzione. Qui ci sono le persone che vogliono far cadere il governo (il principale slogan unificante è "Erdogan dimissioni!" O "governo dimissioni!"), Ma non sono organizzati, né possono ancora organizzarsi in modo da costituire un governo alternativo che rappresenti le loro aspirazioni e interessi. Questa non è una lotta per il potere, ma un gigantesco movimento che ha preso tutto (o quasi tutto, vedi sotto) il paese nella sua morsa, che grida le sue rimostranze e vuole togliere dalla scena ciò che vede come la causa di tutti i mali: il governo Erdogan Spontaneità ed eterogeneità Come in quasi tutti i casi di esplosione rivoluzionaria o pre-rivoluzionaria in tutto il bacino del Mediterraneo entro gli ultimi cinque anni (Grecia dicembre 2008, la Tunisia e l'Egitto 2010-11, Spagna 2011), la rivolta in Turchia è anche totalmente spontanea e non controllata da qualsivoglia organizzazione politica o sociale. Questa è sia una forza e sia una debolezza. E 'un punto di forza nelle fasi iniziali, perché muove i più incredibili settori e strati della società, senza timore di manipolazione da parte di un’organizzazione politica non sia di loro gradimento. E 'sicuramente un punto debole a lungo termine in quanto se la rivolta dovesse trasformarsi in una rivoluzione, questa non potrebbe che trionfare sotto la guida di uno o più partiti politici con un forte seguito nel movimento di massa. Ma anche nel medio periodo (e, in questo tipo di situazione concreta, quando si parla di medio periodo, stiamo parlando settimane, se non giorni), è un punto debole, in quanto lascia paradossalmente il movimento vulnerabile alle macchinazioni dei vari settori dell'establishment politico borghese che vuole recuperare il movimento attraverso i metodi più sottili (rifiutati da Erdogan, che ha persistito e firmato) e in questo modo mettere una rapida fine alla ribellione, prima che inizi a sfuggire di mano e cominci a minacciare le basi del dominio capitalista del paese. Questo tipo di alternativa ha già iniziato a prendere forma nella forma di una alleanza tra Abdullah Gul, il presidente della repubblica (la cui origine politica è anche per lui l’AKP), una figura che è in rivalità politica con Erdogan per le prossime elezioni presidenziali, e Kemal Kilicdaroglu, il leader del CHP, il membro turco della cosiddetta Internazionale Socialista. Subito dopo che Erdogan è partito per un viaggio nei paesi del Nord Africa, Bulent Arinc, Vice Primo Ministro con funzioni temporaneamente di Primo Ministro, assume una linea che critica la posizione di Erdogan, anche probabilmente per cercare di riassorbire il movimento attraverso alcune concessioni minori al movimento di massa nei prossimi giorni, con Erdogan convenientemente assente dato che i metodi morbidi sono a lui estranei. Dietro questo tipo di soluzione si attesterebbe almeno il TUSIAD, l'organizzazione dell'ala filo-occidentale del capitale finanziario, se non altre organizzazioni delle classi dirigenti turchi. Questo tipo di soluzione del problema è resa ancora più urgente dal momento che in questa fase l'economia capitalista è minacciata dalla situazione in cui si trova la Turchia. Lunedì, quarto giorno della rivolta, ma il primo giorno in cui la Borsa di Istanbul era aperta, i mercati sono caduti una picchiata, chiudendo più del 10 % sotto, in un giorno catastrofico. D'altra parte, il movimento stesso è estremamente eterogeneo, sia in termini di classe e in orientamento ideologico-politica. Nella composizione di classe, si può facilmente affermare che questo è un movimento interclassista, con le i settori più moderni della piccola borghesia totalmente immersi in uno stile di vita occidentale, gli intellettuali, l’aristocrazia operaia e i giovani in prima linea. La classe operaia non è ignara del movimento, ma non ha ancora né gettato il suo peso organizzato dietro il movimento o ha messo avanti le sue rivendicazioni di classe specifiche. Ideologicamente e politicamente tre grandi tendenze possono essere individuate, con infinite variazioni di ogni categoria. Vi è la sensibilità ecologica, purtroppo rovinata dal liberalismo di sinistra (nel senso europeo del termine "liberale") di gran parte della sinistra in Turchia, che li rende facile preda delle macchinazioni di quello che potrebbero considerare come "democratico" e "l’ala civile "della borghesia. Vi è, in secondo luogo, una molto forte, si potrebbe anche dire dominante, tendenza nazionalista turca, che vanno dalle associazioni kemaliste alla miriade di organizzazioni ex-maoiste, kemaliste, e sino al para-fascista Partito laburista. E, naturalmente, c'è la collezione eterogenea di forze socialiste e rivoluzionarie turche, tutti esperti e sperimentati negli scontri di strada, ma prive di acume politico o orizzonte programmatico. Le aspirazioni delle tre tendenze sono molto diverse tra loro. Per le tendenza liberali ed ecologiste di sinistra, il grande sogno è l'adesione della Turchia all'Unione europea. Quindi, qualsiasi accordo che rende il TUSIAD felice potrebbe forse lasciarli soddisfatti. La tendenza nazionalista è divisa tra atlantismo e una posizione pro-UE, da un lato, e un orientamento eurasiatico, dall'altro. Tuttavia, entrambi i settori di queste sotto-correnti sono uniti contro l'islamizzazione strisciante che l'AKP ha portato avanti con successo da oltre un decennio. Sono tutti "repubblicani", cioè difendono i principi di Kemal Ataturk e alleati dell'ala filo-occidentale della borghesia, cioè l'ala rappresentata nuovamente dal TUSIAD.(La contraddizione che il lettore può percepire in due diverse tendenze rappresentate dai liberali di sinistra e i nazionalisti nel loro supporto comune al TUSIAD è una contraddizione che esiste nella vita reale!) La sinistra socialista, nella sua maggioranza, purtroppo finisce in coda all'una o all'altra delle tendenze di cui sopra. Vi è, ovviamente, una terza tendenza principale che sostiene la causa curda, da più che poco tempo. E 'solo se i principali attori mancanti al momento entrano nella mischia, che la sinistra può anche cominciare a rappresentare una soluzione alternativa alla crisi. Gli attori mancanti Il destino della grande ribellione popolare in Turchia sarà deciso dalle seguenti domande: Può il movimento curdo unirsi alla ribellione o si terrà a fianco del governo dell'AKP? E arriveranno i battaglioni fondamentali della classe operaia a farsi avanti con le loro richieste e le loro proprie forme di lotta di classe? Sulla prima questione, nonostante il nostro convinto sostegno per i diritti del popolo curdo, compreso quello all’autodeterminazione, ci sentiamo in dovere di sottolineare, senza purtroppo riuscire a entrare nei dettagli, che il movimento curdo è sulla strada sbagliata per aver accettato le condizioni di Erdogan per il cosiddetto processo di "pace". Questo li obbligherà a sostenere il ruolo espansionista e egemonico avventurista che il governo dell'AKP cerca di stabilire per la Turchia in tutta la regione del Medio Oriente e Nord Africa e oltre. Anche in questa fase iniziale, quando il processo di "pace" non ha e quasi ancora iniziato, ha comunque finora impedito loro di sostenere la ribellione popolare perché questo, temono, possa gettare acqua fredda sulle loro relazioni con il governo dell'AKP e rovinare l'intero processo di "pace". Questa, si è costretti a sottolineare, è una posizione più arretrata, per quello che una volta era un movimento rivoluzionario nazionale con tendenze marxiste. A loro difesa, si dovrebbe ricordare che per tre decenni, mentre le masse curde erano perseguitate e assassinate, la maggior parte delle persone per le strade ora, guardavano dall’altra parte, se non addirittura prestavano sostegno diretto alle azioni criminali dello Stato turco. Per quanto riguarda la classe operaia, si dovrebbe affrontare la verità onestamente e ammettere che in cabina elettorale, il cuore della classe operaia ha votato per Erdogan e che i principali battaglioni della classe (dai metalmeccanici per il trasporto stradale e) sono inquadrati da sindacati estremamente burocratizzati che si inchinano di fronte all'assalto della classe capitalista e hanno recentemente cercato di assicurare le condizioni della propria esistenza attraverso la fedeltà ad Erdogan. Il più recente esempio di tale vergognosa capitolazione è stato visto nel calore della ribellione popolare stessa. La leadership di destra del più grande sindacato dei lavoratori del metallo aveva rifiutato i termini di organizzazione dei padroni e aveva proclamato uno sciopero applicabile nel corso del mese di giugno. E poi ha firmato lo stesso contratto collettivo la notte durante la quale la rabbia popolare si è scatenata per le strade di Istanbul. Una coincidenza? Niente affatto. Il leader di questo sindacato ha posto la sua candidatura per la posizione di leader della più grande confederazione del lavoro e dichiara la sua fedeltà a Erdogan in modo da mantenere il “lavoro”! Tuttavia, la classe operaia mostra tendenze verso l'adesione al movimento della grande rivolta. Ci sono state ripetute marce, notte dopo notte, in diversi quartieri della classe operaia, alla periferia di città come Istanbul, Ankara e Antalya. Se solo questo potenziale potesse essere radunato per formare un movimento organizzato, l'intera situazione potrebbe passare da una ribellione con orizzonti incerti a una rivoluzione con un fine chiaro. Queste sono le risorse nascoste della ribellione in Turchia. Se la classe operaia entrasse in lotta con le sue esigenze e le sue forme di lotta specifiche, l'intero equilibrio di forze cambierebbe. La federazione sindacale che rappresenta i dipendenti pubblici (KESK) aveva già dichiarato uno sciopero settoriale per il 5 giugno. Se questo dovesse essere accolto dal resto del movimento sindacale e trasformato in uno sciopero generale, la ribellione in Turchia farebbe un enorme passo avanti. L'altra forza è, naturalmente, il movimento nazionale curdo. Le città del Kurdistan turco sono ancora quiescenti. Se decideranno di unirsi ai loro fratelli e sorelle di tutto il resto della Turchia, un'esplosione di proporzioni imprevedibili scuoterebbe la Turchia, il Medio Oriente e oltre. Il DIP nella rivolta Il Partito rivoluzionario del proletariato (DIP), sezione turca del CRQI, si è pienamente inserito nella lotta dal primo giorno della ribellione. I nostri compagni sono stati in prima linea di fronte alla polizia su Istiklal off Taksim venerdì sera. Da sabato, siamo stati presenti nella piazza Taksim liberata, in maniera ininterrotta e abbiamo, ovviamente, partecipato alle riunioni di coordinamento tenute da un coordinamento di organizzazioni al fine di decidere su questioni politiche, di sicurezza, e di logistica. Abbiamo distribuito due volantini in decine di migliaia di copie. Organizziamo comizi di agitazione e di propaganda di fronte ai militanti del partito e dei presenti che erano nella nostre vicinanze sulla piazza. Abbiamo anche partecipato a pieno titolo alle lotte nelle altre città in cui siamo presenti (Izmir, Ankara, Antalya, Adana, Antep), dove le condizioni sono molto più difficili perché la polizia agire ancora più brutalmente e non hanno ancora abbassato la guardia. La linea politica del DIP è stata chiaro fin dal secondo giorno della ribellione (1 giugno), quando abbiamo distribuito il nostro primo volantino. (Il secondo è stato distribuito il 3 giugno). Facciamo ogni sforzo per mettere la classe operaia al centro della ribellione popolare. Esprimiamo chiaramente che per ottenere una vittoria seria, la ribellione dovrebbe comprendere le rivendicazioni di classe e assumere forme organizzative che sono proprie della classe operaia. A tal fine, sin dall'inizio abbiamo fatto la proposta molto concreta che il preannunciato sciopero settoriale del KESK del 5 giugno fosse trasformato in uno sciopero generale, quando nessuno ancora parlava di azione dei lavoratori in relazione alla ribellione popolare. Le tradizioni movimentiste della sinistra turca e la mancanza di fiducia nel proletariato per effetto dell'erosione ideologica degli ultimi due o tre decenni, rendono difficile questo tipo di approccio. In entrambi i volantini in cui abbiamo chiamato ad uno sciopero generale, includendo i nostri slogan su Piazza Taksim. L'idea di uno sciopero generale è poi stata evocata dai più progressisti ambienti sindacali, a partire dal terzo giorno (Domenica 2 giugno), e c'è anche una voce che sostiene che almeno il DISK (Confederazione dei Sindacati progressiva della Turchia) abbia allo sciopero del KESK. Questo probabilmente si rivelerà non essere reale, e forse solo uno o due sindacati cercheranno di organizzare uno sciopero. La notizia su un "sciopero generale" in Turchia deve essere maneggiata con cautela. Il DIP mette in guardia il movimento che, anche se è emozionante quando scandisce lo slogan "Erdogan deve dimettersi!", che questa non è davvero una possibilità concreta sull’agenda attuale e che dovremmo prima chiedere le dimissioni di alcuni altri capi, a cominciare dal Ministro dell'Interno, che noi chiamiamo "Muammer il chimico", come per "Ali il chimico" di Saddam. Noi assimiliamo gli agenti in borghese che maneggiate bastoni in acciaio e che hanno causato un vero e proprio terrore tra la folla a Istanbul e Smirne, ai Baltadjis di Mubarak durante la Battaglia del Cammello o la Shabiha di Bashar Assad e rivendichiamo un'inchiesta approfondita su queste bande di teppisti del tutto irresponsabili. La prospettiva strategica del DIP è, naturalmente, per stabilire l'egemonia della classe di lavoro all'interno della ribellione popolare in modo da spianare la strada alla rivoluzione permanente. 4 giu 2013 (*) Parafrasando il duca de La Rochefoucauld che risponde a Re Luigi XVI di fronte alla rivoluzione francese

 

Sungur.Savran Segretario del Partito Rivoluzionario Operaio di Turchia ( D.I.P. )

 
 
 
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