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Post N° 212

Post n°212 pubblicato il 19 Marzo 2007 da Sembrava_Impossibile
Foto di Sembrava_Impossibile

IO E L’UNIVERSITA’ – parte prima

(riuscirà il nostro eroe a diventare blog del giorno?)

Dieci anni fa, più o meno in questi giorni arrivavo finalmente alla tanto sospirata laurea. Fu uno dei pochissimi giorni in cui posso dire di essere stato veramente felice: c’erano tutti, parenti, amici vecchi e nuovi, e anche qualche ragazza particolarmente attratta dall’idea di stare con un laureato. Credo che mai nella mia vita mi sia sentito tanto corteggiato come in quel periodo; in pochi mesi riscattai la mia adolescenza e gioventù da studentello sfigato senza una lira in tasca. Fu uno dei pochi periodi in cui mi sentii davvero figo, di successo e vincente. Ma soprattutto fu uno dei pochissimi periodi che vissi con spensieratezza. Non ero felice per la laurea in sè, ma per quello che succedeva attorno a me.

In realtà vissi la fine del corso di studi come un ostaggio che viene liberato dopo un lungo periodo di prigionia. Mi tolsi un peso e iniziai da allora a vedere un po’ di luce. Il mio corso di studi, iniziato con molto entusiasmo, in realtà, nel tempo mi riservò tante delusioni, non tanto dal punto di vista dei risultati, quanto dell’organizzazione universitaria, slegata dal mondo del lavoro, e governata da leggi non scritte in cui l’interesse meno tutelato è quello dello studente, inteso come soggetto che ha voglia di studiare.

Ciò che mi colpì da subito fu il livello scadente del corpo docente, totalmente incapaci di trasmettere passione e interesse a studenti; mi colpì il loro italiano, vacillante nella grammatica e nella dizione, tale da rendere le lezioni degne delle migliori puntate di Zelig. Mi colpì la furbizia di tanti, che, incuranti dei sette otto libri da studiare per l’esame, riuscivano a procurarsi gli appunti “giusti” per preparare l’esame in tre giorni. Se tra bambini motivo di vanto è fare la pipì più lontano, tra adolescenti avercelo più lungo, tra militari trombarsene di più, all’università è figo chi prepara l’esame in meno giorni. E chi studia è ovviamente considerato pirla.

Io, che sono sempre stato pirla, ho sempre studiato. Negli esami in cui erano possibili le furbate di cui sopra, quelli considerati facili, non ho mai brillato. Ho sempre preso il massimo dei voti negli esami a più alto tasso di bocciatura, perché realmente selettivi. Esami che, giocando furbamente con il piano di studi prescelto, potevano anche essere evitati. Il risultato è stato un livellamento verso il basso, di docenti e studenti, che con gli anni mi ha demotivato, mi ha fatto perdere di vista l’obiettivo finale e mi ha fatto studiare con il naso tappato, con il solo obiettivo di finire il prima possibile.

La sensazione netta era che, salvo rari casi, un diciotto non si negasse a nessuno. La selezione nel corso di laurea si faceva sulla durata e sulla sensazione di inutilità di tante materie (i contenuti di molti esami erano aria fritta, ma che imponevano l’acquisto dei libri del docente che lucrava anche sull’acquisto dei libri di testo): molti o mollavano, o rimanevano iscritti, finendo fuori corso, ma dedicandosi ad altro.

Era l’università dei furbi: rimasi sconvolto quando pochi mesi prima della mia laurea, assistendo alla discussione della tesi di un amico, incontrai il mio compagno di banco del liceo: lui, più volte bocciato prima di venire in classe con me, era famoso per i regali che mi faceva alla fine di ogni anno come segno di gratitudine per i compiti in classe che gli passavo e per i suggerimenti durante le interrogazioni.

E ricordo anche la fuga dei professori più bravi quelli che danno qualità e prestigio ad una facoltà: appena potevano, scappavano in realtà meno provinciali e banali.

(segue)

P.S.: eccomi in foto (13/03/1997) subito dopo la discussione della tesi mentre sono intento in una proficua attività di tacchinaggio

 
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