Creato da lovechimica il 30/10/2006
amori e tradimenti a Ingegneria..io,lui,l'altro...e l'altra

Area personale

 
 

Archivio messaggi

 
 
 << Maggio 2024 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
    1 2 3 4 5
6 7 8 9 10 11 12
13 14 15 16 17 18 19
20 21 22 23 24 25 26
27 28 29 30 31    
 
 

Cerca in questo Blog

 
  Trova
 

FACEBOOK

 
 
 
Citazioni nei Blog Amici: 1
 

Ultime visite al Blog

 
ReCrimsoBaci_Amorepacosapimarstraordinariomaveroromeoepocagifts2009dellorcorosaspintronico79panpanpipsicologiaforensesonouncantastorieshadows_on_hudsonCarryPina
 

Ultimi commenti

 
Auguri per una serena e felice Pasqua...Kemper Boyd
Inviato da: Anonimo
il 23/03/2008 alle 17:08
 
Auguri di un felice, sereno e splendido Natale dal blog...
Inviato da: Anonimo
il 25/12/2007 alle 23:06
 
Complimenti per il post!! ...Saluti Mary
Inviato da: Anonimo
il 18/12/2007 alle 10:32
 
è bello perdersi occhi negli occhi.........
Inviato da: TRI_VELLA
il 19/11/2006 alle 15:52
 
Roooooooooooooooooooomantico!!!!!!!!!
Inviato da: mecren
il 16/11/2006 alle 10:05
 
 

Chi può scrivere sul blog

 
Solo l'autore può pubblicare messaggi in questo Blog e tutti possono pubblicare commenti.
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 
 
 

 

 

Malinconia

Post n°8 pubblicato il 05 Novembre 2006 da lovechimica
Foto di lovechimica

Intanto i miei studi proseguivano, stavo terminando di frequentare il terzo anno e mi stavo preparando per gli esami.

Quell’anno non ne avevo fatti molti, e la colpa era soltanto mia; inseguendo il miraggio di voti più alti, mi ero ritrovata a rifiutare quelli che mi erano stati proposti e a ritornare dopo alcune settimane, se non mesi, per sostenerli di nuovo. Però l’anno stava volgendo al termine, e non volevo partire per le vacanze con poche firme nel libretto. Fu per questo, e anche perché ero stanca di studiare sempre le stesse cose, che in una torrida mattina di giugno accettai un 25 in scienza dei materiali. Meritavo di più, ne ero consapevole, ma proprio non ne potevo più di vedere acciai e ghise, nomenclature e materie plastiche. Il professore, poi, era stato poco accomodante, per tutto il tempo che avevo trascorso nel suo ufficio non aveva fatto altro che sbuffare e lamentarsi per il caldo, dicendomi che era venuto a Padova soltanto per il mio esame, e che per lui, ormai sessantenne, era stato un sacrificio. Così, quando uscii, non mi sentivo affatto soddisfatta, anzi. Andai al “pollaio”, l’aula studio di fisica, a portare gli appunti del corso a Francesco, un mio compagno. Parlammo un po’ del più e del meno, di esami e professori, poi ci salutammo. Quel senso di malinconia non mi aveva ancora abbandonata, e prima di andare in stazione a prendere il treno passai per la facoltà. Non so dire se fosse per lo stato in cui mi trovavo, ma quasi senza accorgermene mi stavo dirigendo verso la biblioteca. Passai il primo portico, non c’era nessuno. Le lezioni erano finite, per cui non si vedevano molti studenti riempire il chiostro e il cortile. Una volta arrivata in biblioteca, lo cercai. Camminavo nella sala, lentamente, guardando se lo vedevo attraverso le file di scaffali, ma niente. Chissà dov’era. Tornai a casa e non ci pensai più.

 
 
 

In biblioteca

Post n°7 pubblicato il 04 Novembre 2006 da lovechimica
Foto di lovechimica

Lo ringraziai, e dato che non avevo molta voglia di cercare le monete nel portafogli, entrai in sala Sarpi. Era molto grande, lungo le pareti c’erano alti scaffali e busti di marmo di studiosi e ricercatori che avevano dato il loro contributo alla scienza. La stanza era arredata da massicci tavoli in legno con le gambe scolpite, e da sedie imponenti, anch’esse in legno e scolpite, con tanto di schienale alto. Il tutto dava una sensazione di imponenza, almeno a me, abituata com’ero ai tavoli da quattro persone dell’aula studio dove andavo di solito. Qui era tutto diverso, si poteva respirare la storia di quel posto, c’era anche un profumo di libri antichi, di carta pergamena.. alzai lo sguardo e mi accorsi che il soffitto era molto alto, comprendeva due piani e vidi che una stanza del piano superiore si affacciava a quella in cui mi trovavo. Era colma di scaffali straripanti di libri, e l’apertura che dava alla sala Sarpi era protetta da un corrimano in ferro.

Mi sedetti nel primo posto libero che trovai e cominciai a studiare. Ero un po’ scomoda in quella sedia, così pesante e difficile da spostare, ma ben presto mi abituai. Dopo una mezz’oretta decisi di fare una pausa, così uscii dalla sala. Rimasi per un po’ affacciata ad una delle finestre che davano sul cortile interno, poi mi diressi verso la biblioteca, ero curiosa di sapere come fosse fatta. Se una semplice sala era così maestosa, chissà cosa poteva essere l’antica biblioteca centrale! In fondo a me stessa, però, volevo sapere se Michele era lì dentro. Superata la porta, prima di entrare in biblioteca si doveva passare per la portineria, e solo dopo si aveva accesso ai volumi. Lui era lì, in piedi davanti al banco, che stava chiedendo in prestito un libro. Passando lo salutai. Entrata dentro, rimasi un po’ delusa da ciò che vidi: la sala non era molto più grande di quella dalla quale provenivo, però era molto ben organizzata, con i libri divisi per argomento e i tavoli per la consultazione. Notai che la maggioranza degli studenti studiava però su materiale proprio, per cui pensai che, se avessi voluto, le volte dopo sarei potuta andare lì. Per non dare troppo nell’occhio, mentre mi guardavo attorno finsi di cercare un volume. Poi, finita la mia esplorazione, decisi di tornare dall’altra parte. Uscendo, passai per la portineria, ma lui non c’era più, era sparito.

Tornai ancora a studiare lì, ma non lo incontrai più.

 
 
 

La prima volta che gli ho parlato

Post n°6 pubblicato il 03 Novembre 2006 da lovechimica
Foto di lovechimica

La prima volta che gli parlai fu verso la fine di maggio, in un pomeriggio in cui stavo cercando nuovi posti dove studiare. Nell’aula studio dove andavo di solito ormai conoscevo tutti, ed era diventato impossibile concentrarsi senza che venisse qualcuno ogni cinque minuti a chiedermi di uscire per una pausa, per questo avevo deciso di andare nella biblioteca centrale di facoltà. Ricordo che faceva molto caldo, e quando, dopo essere passata per le scalette che collegavano il cortile interno al dipartimento di costruzioni e trasporti, giunsi nell’atrio, provai una sensazione di sollievo nel sentire il fresco che emanavano il pavimento e la scalinata di marmo. Mi stavo accingendo a salirla, quando lo vidi entrare dal portone principale. Mi guardò, lo guardai, e continuai a camminare. Lui era pochi passi dietro di me, lo sentivo salire le scale. Quando arrivai alla porta in ferro battuto e vetro che dà ai piani superiori, dopo averla oltrepassata la tenni un po’ aperta per lui. Un “grazie” detto in un soffio e già stavamo arginando le macchinette per il caffè e gli snack, percorrendo l’ultima rampa. Una volta arrivata su, non sapevo da quale parte dovessi andare. Era la prima volta che mi recavo in biblioteca, e così ero un po’ spaesata. C’erano poi degli armadietti metallici, e non sapevo se fosse obbligatorio lasciare lì la borsa o se la si potesse portare dentro. Fu per questo motivo, e anche per curiosità, che mi rivolsi a lui. “Scusa, devo lasciare giù lo zaino o posso portarlo con me?”
“Dipende, se vuoi andare in sala Sarpi” e indicò una porta in legno dietro di lui, dalla stessa parte degli armadietti “puoi portare dentro tutto. Se invece vai in biblioteca devi mettere le tue cose in un armadietto. Per aprirlo serve una moneta da 500 lire o da due euro, è lo stesso”. Mentre parlava, lo ascoltavo e notai come si stesse dilungando nel rispondermi, mi stava fornendo anche informazioni che non avevo chiesto. A quel punto, il bibliotecario, che fino a quel momento era stato seduto in un tavolino posto a lato dell’ingresso alle scale, si rivolse a lui e gli chiese: “Scusa, tu ti chiami Michele?” “Si”, rispose con un sorriso. Sapevo il suo nome.

 
 
 

Solo attimi...

Post n°5 pubblicato il 02 Novembre 2006 da lovechimica
Foto di lovechimica

Erano solo attimi, ma da quel giorno iniziai a vederlo dappertutto: lo incontrai molte volte, spesso ci incrociavamo sotto i portici della facoltà, mentre uno usciva l’altro stava entrando, oppure per strada la mattina al semaforo, o ancora in stazione, la sera.. Sembrava quasi che ci fosse una sorta di destino, dovunque andassi lo incontravo. E non era per una pura questione di orari, spesso tornavo a casa a metà pomeriggio e lo vedevo in stazione, sul suo binario ad aspettare il treno, oppure lo vedevo passare nel vialetto di ingegneria, come quella volta che stava piovendo e si rifugiò sotto l’ombrello di un amico, io ero seduta con alcuni miei compagni di corso al tavolino del bar della facoltà.

Erano momenti, sguardi che duravano solo qualche secondo, infinite possibilità per un incontro che non avveniva mai.

Mai avevo sentito la sua voce, e tutto questo contribuiva a creare attorno a lui un alone di mistero, lo rendeva quasi surreale, come se fosse destinato a rimanere soltanto un’immagine ricorrente. Lo vedevo solo per poco, e comunque lasciava il segno. Ero incuriosita da lui, ma forse era solo per quegli occhi che ogni volta cercavano i miei e li incrociavano. Forse, chissà..

 
 
 

Ritardo a lezione

Post n°4 pubblicato il 01 Novembre 2006 da lovechimica
Foto di lovechimica

Comunque, si sa, tutto si supera, e così avevo ricominciato a sentirmi bene, in pace con me stessa e con gli altri. I mesi passarono, e di nuovo era primavera. Come ogni mattina, anche quel giorno avevo preso il solito treno (non abitavo più a Padova, ero tornata a fare la pendolare) e avevo fatto la strada velocemente per non arrivare tardi a lezione. Erano già le 8.27 quando passai sotto il primo portico della facoltà, avevo solo tre minuti per attraversare il chiostro, passare sotto il secondo portico, attraversare il cortile e fare tre piani di scale per arrivare in aula. Era tardissimo..

Fu a quel punto che lo vidi. Era seduto sui gradini che dalla porta del dipartimento di Costruzioni danno sul cortile, stava parlando con un’amica. Mi vide subito, e sentii il suo sguardo che mi seguiva fin quando entrai in dipartimento. Nulla di più.

La stessa scena si ripeté ancora, per molte mattine. Io arrivavo di corsa, uno sguardo, e tutto finiva lì.

Ogni volta che lo vedevo a lui si accompagnava un’emozione, ma non sapevo distinguere tra curiosità e desiderio di un sogno.

Finché una mattina accadde qualcosa di inaspettato. Ero appena entrata dalla porta del dipartimento e stavo facendo le scale. Erano già le otto e mezza passate, come al solito ero in ritardo. Le lezioni erano già cominciate, infatti nell’atrio e per le scale non avevo incrociato nessuno studente. Si sentiva solo il rumore dei miei passi che rimbombava nell’ambiente, le mani che si appoggiavano sul corrimano in ferro battuto. Poi sentii il rumore di una porta che sbatteva; evidentemente, pensai, c’era anche qualcun altro che andava di fretta, lo sentivo correre verso le scale. Istintivamente mi fermai per un attimo e guardai giù, ero curiosa di sapere chi fosse. Ed era lui, affannato dalla corsa, che stava guardando verso l’alto, verso di me. Mi aveva seguita per vedere dove andavo.

 
 
 
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963