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COME LA RABBIA DI CHAPLIN

Post n°9 pubblicato il 31 Gennaio 2007 da wahid2
 
Foto di wahid2

In occasione dell’uscita nelle librerie di Charlie Chaplin, “Opinioni di un vagabondo”(Maximum Fax, pagg.244, € 14), vi descriverò i tratti, le cause scatenanti della coscienza arrabbiata di uno dei più importanti personaggi del XIX secolo, sul quale non si sono risparmiate sfilze di cronache e racconti di tipo lirico, letterario ma mai finalizzate a commentarne la sua “rabbia”.

Ebbene, un aiuto in questo senso ci viene dal grande Dario Fo, che sulle pagine de La Repubblica di qualche giorno fa descriveva Chaplin come un uomo che aveva radicato il senso dell’amore e dell’odio. Odiava il mondo che aveva intorno, il potere, la macchina del capitale. Odiava l’ordine dello stato,l’ordine morale della società, l’ordine del profitto commerciale, bancario ed industriale. L’ordine religioso con le sue ipocrisie, i suoi dogmi e le sue false speranze. E per finire odiava l’ordine culturale della borghesia e del capitale e l’ordine dei suoi miti falsi e infami.

L’America convenzionale, arroccata intorno al business, non lo amava, non gli perdonava le sue simpatie comuniste, i suoi presunti legami con la Russia, la sua presunta mancanza di patriottismo dovuta al fatto di non aver mai voluto accettare la cittadinanza americana.

In ben  poche opere di cinema e di teatro apparse negli ultimi settant’anni è possibile sentire chiaro tanto odio espresso per la logica della macchina che mortifica, aliena, umilia e uccide l’uomo e la sua umanità, così come in Tempi moderni.

Nessuno meglio di Chaplin ha saputo sviluppare la critica aggressiva, piena di rabbia nei confronti dell’ideologia della macchina e in particola modo nei confronti dei metodi di Taylor, cioè quelli che sfruttano l’uomo fin nella sua gestualità. Allo stesso modo ha aggredito tutta la ideologia del moralismo americano e della società perbenista. Basti ricordare il capovolgimento crudele delle scene di Chaplin nella Strada della paura, quando distribuisce il cibo ai bambini affamati, e spande il miglio intorno come se fossero tante galline a cui dar da mangiare. Anche quando c’è il gioco della felicità, la risolve nello sfuggire  a questa società.

Le storie che Chaplin racconta sono tratte non da fatti immaginari o letterari, ma da una realtà ben chiara e cioè nata e cresciuta sulle spalle e sulla pelle di tutti. Ma come fa notare Andreina Bom, la traduttrice di questo libro, nessuno si preoccupa di sottolineare la rabbia di Chaplin contro la società, ma piuttosto la rabbia della società contro Chaplin, una società già esacerbata ed esageratamente sospettosa contro chiunque odori di “diverso”. Le vedute di Chaplin sulla vita, sui rapporti fra gli uomini e anche sulla economia e la politica sono troppo eterodosse perché la perbenistica America del dopoguerra non ne risenta; e il branco attacca.

 
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