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Ferro battuto (terzo capitolo)

Post n°3 pubblicato il 29 Maggio 2012 da ocsurte


Ferro battuto (terzo capitolo)

  Come colui che , abituato a percorrere ogni giorno la medesima strada, vi appoggia passi sicuri uno dietro l'altro,  Ruggero non si chiede quanta  felicità  possa riservagli quel tragitto. Quanta in più di quella che ha già conosciuto. Una moglie, un figlio, un posto di lavoro.  Pensa alla moglie Margherita che ama e al figlio Marco ormai ventenne e pensa al suo tranquillo impiego in ospedale. Quando poi gli risulta chiaro che non si è mai spento il fuoco del carbone che arde sotto la cenere della vecchia fucina di quando era bambino, Ruggero dalla strada che percorre inizia a volgere lo sguardo al sentiero inesplorato che si apre lungo il tragitto. Non ha certezza, Ruggero, che il tratturo tra le fronde sia poi davvero percorribile. Avventurarvisi, forse potrebbe cambiare completamente la visuale che egli ha della sua stessa vita.  Forse Ruggero ha anche paura che tutto quello che ha avuto fino a quei giorni, visto  con occhi diversi, non gli sarebbe più bastato. Dentro di se ha già deciso, abbandonerà il posto in ospedale e aprirà  un'officina per la lavorazione del ferro battuto. Potrebbe sembrare la bella storia del coronamento di sogni legati all'infanzia, la storia di un uomo che finalmente ha trovato la sua strada. Ruggero, però,  si porta dietro il retrogusto amaro di un germe che potrebbe sconvolgergli la vita, aldilà della sua stessa volontà. C'è sempre un prezzo da pagare, quando si compiono scelte fondamentali e queste scelte hanno sempre delle implicazioni molto profonde. Questo il suo timore, nel gettare alle ortiche la sua divisa da infermiere.  Il compiere una svolta cosi radicale nella propria esistenza, offre a Ruggero una diversa visuale su quello che ha avuto fino ad allora e gli cambia carattere e modo di pensare. Non lo dice a nessuno, forse non lo dice neppure a se stesso. Ma se adesso si accorge di avere imboccato la sua strada, il pensiero di essere stato per tanti anni completamente fuori rotta, si insinua in lui e non lo fa dormire. C'è da giurarci, prima o poi darà la colpa a qualcuno di tutto questo. Soffrirà e farà soffrire. Comunque il talento di Ruggero è prodigioso. Riceve i disegni che l'amico Martino gli passa senza stare neanche tanto a particolareggiare e il ferro nelle sue mani acquista una storia. Una vita propria.  In pochi anni Ruggero diviene una leggenda vivente, si conquista la fama di artista geniale.  Passa le giornate e anche le notti rinchiuso nella sua bottega  con la sola compagnia della fucina sempre ardente e del maglio, poderoso, con il quale riscrive nel ferro scaldato al calor bianco la storia della sua vita che non è stata.  Se una cosa si può dire, è che le forme che prendono vita nella sua bottega, non hanno carattere decorativo e supplementare. Ogni struttura porta dentro di se la potenza e la forza di un lavoro da compiere.  Infissi, scale, inferriate, impalcature e manufatti dalle forme ardite ed essenziali prendono l'anima degli ambienti che le accolgono.  Ne costituiscono,  l'anima.  Una mano che se ne appropria e ne ricostruisce una storia magari centenaria reinterpretandola e offrendogli tributo e onore.  Gli architetti, gli stessi commissionari danarosi, non sollevano obiezioni. Si accorgono che quello che Ruggero ha costruito è in primo luogo suo. Come se egli fosse tornato dal passato per continuare la storia di quelle ville e di quei casali antichi di una Toscana rurale che riemerge dagli scempi della modernità e della urbanizzazione. In anni in cui non si conosce ancora l'assillo della crisi economica, Ruggero diviene insostituibile quando si tratta di porre mano a lavori di particolare pregio. Egli è il sapiente fabbro delle ville. Ogni sua opera si fonda sul rispetto e la valorizzazione di manufatti secolari. Fedele alla sua natura ritrovata, gestisce il poco tempo che non dedica al lavoro dedicandosi alla sua passione di sempre addestrando splendidi cani da caccia che conduce con gli amici di sempre nei fine settimana immersi nella natura.  In occasione delle biennali di arte fabbrile, il suo potente fuoristrada si inerpica sui tornanti che in due ore dall'autostrada del sole conducono a Stia.  In quell'antico borgo inerpicato sul Falterona dove nasce l'Arno e i cavedani nuotano nelle acque cristalline sulla piazza principale del paese, Ruggero è tra quegli uomini che si riconoscono dalla faccia annerita dal carbone. Uomini belli, la muscolatura disegnata dal battere il ferro sull'incudine, il carnato dipinto dal fuoco e dal sole. Mani sincere e autentiche, spessite dalla fatica e mosse dalla passione.  Come aveva saputo  fin dall'inizio pagherà un prezzo per l'amore assoluto che mette nella sua nuova attività .  Pagherà il prezzo di non essere più al passo con la sua vita trascorsa.  Margherita se dapprima è entusiasta della nuova luce negli occhi e dell'ardore che il marito mette  nella sua nuova attività, pian piano arriva a dispiacersene. Rimpiange l'uomo dagli occhi calmi che la asseconda e che ora  vede rapito da nuove imprese e immerso in un mondo di cui lei non fa parte. Quelle sere in cui Ruggero e Margherita fanno l'amore, leccandosi la bocca e la pelle, piangono uno all'insaputa dell'altra. Si stanno perdendo. (continua)

 

                                                                                                                                 Stefano C.

 

 

 
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