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Una classe politica mantenuta in vita dalle banche corrotte

Post n°1194 pubblicato il 21 Ottobre 2015 da r.capodimonte2009
 

Ai pallonari che occupano le istituzioni, tutti presi dalla cosiddetta “legge di stabilità”, un foglio bianco in cui il Governo scrive quel che vuole (d’accordo con Bruxelles!), e poi, una volta riempito di corbellerie lo fa passare a fiducia alle Camere, dopo che il Quirinale ha dato il suo silenzio-assenso, certo interessano, poco o niente, gli scandali che si susseguono, uno al giorno, anche nel settore che dovrebbe al contrario, esserne immune, quello bancario, visto che cavalcano continuamente la corruzione che s’è impadronita del Paese, come fosse la classica tigre.

Le facce toste del regime tacciono, e a ragione, su questo verminaio, che finora li ha abbondantemente foraggiati, alla faccia di risparmiatori ed azionisti: i quali, se tanto tanto si azzardassero a presentarsi agli sportelli, non diciamo tutti insieme, ma diciamo al 20%, si troverebbero le porte chiuse per insolvenza.

Infatti è così che è ridotto il sistema bancario italiano, grazie agli imbrogli e ai metodi usurai e mafiosi di cui è costellato, senza che la Vigilanza e la Consob, organi demandati al controllo, si accorgano degli abusi, truffe e corruttela, fino a che non sia la stessa magistratura, quando non gli stessi azionisti, a mettersi di traverso.

Anche qui ci sono, tuttavia, azionisti e azionisti: ci sono quelli del MPS che, nonostante siano stati depredati per miliardi dalla loro banca di fiducia, hanno goduto per anni dei privilegi e delle entrature che questa offriva loro, grazie alla tessera del PC-PDS-DS-PD, che ne era il punto di riferimento. E hanno preferito tacere. Ma ci sono anche quelli, ad esempio, di Banca delle Marche (BM)e di Banca Popolare di Spoleto (BPS), che, costretti obtorto collo a mandare giù rospi più grossi di un bue, alla fine si sono ribellati; e lo scandalo era talmente lampante che, alla fine, amministratori, faccendieri, controllori e istituzioni ne sono stati travolti.

Di BM abbiamo giù parlato i giorni scorsi, ma oggi vorremmo approfondire il discorso, alla luce delle ultime indagini, e soprattutto in merito ai comportamenti degli imprenditori e dei politici marchigiani. La banca si sa è quasi certa del salvataggio, grazie ai soliti denari pubblici (1,5 miliardi) del Fondo di garanzia sul risparmio, sempre che l’UE sia d’accordo (ma lo sarà!).

Evidentemente, ma questo vale per quasi tutti gli istituti, quello che ci racconta un ex-dirigente, Vincenzo Imperatore, nel suo libro “Io Vi Accuso” (Ed. Chiarelettere),  non era sufficiente ad arricchire questa istituzione, nata, sotto l’egida della politica spartitoria (DC+PCI+PSI), in base a tutta una serie di meccanismi, che le tre fondazioni raggruppate di C.R.Pesaro, Jesi e Macerata, ponevano in essere per fagocitare la grande imprenditoria a scapito della piccola, sfruttando quest’ultima fino al midollo, omaggiando la prima al di fuori di ogni controllo. Trasformata in “centro commerciale, immobiliare e assicurativo”, la banca si faceva soggetto di negoziazioni le più diverse (microcredito, hedge fund, derivati, ecc)), tra aziende e patrimoni che figuravano nel libro-paga dei politici, forniva assistenza assicurativa a costi stracciati, spesso fallace; si inseriva nel settore immobiliare, gestendo un mercato parallelo dei pignoramenti e dei fallimenti a favore dei suoi clienti speculatori. Ma non è finita: se un’azienda richiedeva un fido, l’istituto lo concedeva solo a patto di “assicurarne” la restituzione in base a contratti “derivati”, che, il più delle volte, ricadevano come rischio a carico dello stesso affidato, in modo da segarne ogni speranza di ripresa; e se il cliente rifiutava, si arrivava all’abuso, alle minacce, al ricatto di segnalarlo alla nefasta “Centrale Rischi”, questa “associazione a delinquere” nel quale entrano solo i dannati del credito, quelli che non godono della protezione finanziaria delle oligarchie, ma quasi mai i veri truffatori. Come è stato dimostrato nella vicenda Belinzona-Unicredit, le segnalazioni legittime della CR, su ordine delle dirigenze corrotte o massoniche (che è la stessa cosa!), possono essere cancellate con un tratto di penna! Non abbiamo a bella posta trattato di usura, perché, nonostante ci siano leggi apposite, essa viene applicata tranquillamente dalle banche, compresa BM, con profitti che vanno, nel rapporto raccolta-costi-impieghi, oltre il 5-6%!

BM si è trovata così “crediti deteriorati” per oltre 4,7 miliardi (il triplo di quanto fu evidenziato nel fallimento della C.R.Ancona e sei volte nel fallimento C.R.Fabriano!), su 18 erogati, grazie allo stesso sistema adottato dalla dirigenza di MPS: si erogavano milioni di € di affidamenti ad aziende immeritevoli (che cioè non li avrebbero mai restituiti, o restituiti in minima parte), grazie all’intermediazione di importanti figure istituzionali: in MPS presidente e direttore generale si sono spartiti oltre due miliardi (ormai introvabili), a favore di grosse aziende o amministrazioni pubbliche di area PD poi fallite, più le mazzette relative all’affare Antonveneta (spartite con la Vigilanza Bankitalia e la Consob, ma non ci saranno mai le prove! Chi lo sapeva s’è gettato dalla finestra…). In BM, oltre ben 37 indagati, dal presidente al direttore e giù giù fino ai funzionari più coinvolti, il principe della mazzetta era niente meno che il più importante commercialista di Pesaro, politicamente legato al PD (guarda caso!), tale Franco D’Angelo, sindaco revisore della banca, che, alla luce del sole, e a bordo della sua Porsche, si recava dal cliente che aveva ottenuto il credito, e gli chiedeva il 5% dell’erogato; e senza battere ciglio, ogni volta, ricominciava. Nessuno sa quanto denaro costui ha sottratto all’istituto, visto che occorre sommare la sua percentuale con la somma erogata e mai restituita: l’ispettore di Bankitalia, che accompagna le indagini “a babbo morto”, lancia il proclama: “Chi sa parli”, ma si sa che nessuno parlerà, perché chi ha servito il dott. D’Angelo è lui stesso un truffatore!

Non è, però, che all’ “uomo in Porsche” sia stato toccato un capello, anzi, continua tranquillamente  a fare il tesoriere della loggia massonica del Rotary pesarese, il revisore dei conti di Scavolini e Berloni, della municipalizzata Pesaro Parcheggi del sindaco iper-renziano Ricci, ed è molto amico del neo-governatore delle Marche, Ceriscioli,  che, secondo l’opposizione, ha taciuto in modo sospetto sulle vicende della banca, rispondendo così ad una interrogazione: “A tutti una riflessione, rinunciando a un po’ di vetrina e concentrandosi sulle cose concrete. Lei (rivolto all’interrogante) non sa come mi sono mosso (sic!), se anche altri hanno la sua idea, vuol dire che mi sono mosso con discrezione!”

Ed è proprio in “piena discrezione” che questi criminali dai colletti bianchi stanno smontando, pezzo per pezzo, non solo le banche ma anche l’imprenditoria, ovviamente quella sana, perché quella manigolda la fanno sopravvivere. E già vengono al pettine tutti i nodi relativi ai controlli, che, finalmente, hanno portato alla scoperta nel nido principale in cui si mestano tutti i veleni, la Banca d’Italia!  (ITALIADOC)

 

FINE PRIMA PUNTATA

 
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