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Il destino del Paese è in mano al popolo italiano
Post n°1511 pubblicato il 02 Febbraio 2017 da r.capodimonte2009
Tag: Renzi come Sansone
Ora anche il suo anfitrione principale, Giorgio Napolitano, lo vuole morto. Renzi è riuscito in tre anni non solo a dare il colpo di grazia all’economia e alle residue speranze di ripresa del Paese, ma anche a inimicarsi coloro che, pure, lo avevano innalzato al laticlavio, come un “uomo della provvidenza” dalla faccia pulita. In realtà, mezz’ora dopo che il nostro “rottamatore” aveva liquidato il bamboccio di turno, quell’Enrico Letta mandato sull’altare come agnello sacrificabile, tutto si era capovolto e la sua agenda “rivoluzionaria” aveva mostrato pagine e pagine ingiallite dalla vetustà, dal conformismo, dalla corruzione, spirito guida del suo Governo di marionette, e dal trasformismo, prima con Berlusconi, poi coi suoi cani sciolti. In realtà le cose non sono andate proprio così: certo gli ordini di scuderia erano quelli, ma venivano, tramite Napolitano, da altre fonti, molto più accreditate, del potere. Si trattava di aver trovato la “nuova pedina” che incartocciasse l’Italia, la indebolisse, la spogliasse degli ultimi singulti di sovranità, la ponesse nella tagliola della Troika, in modo che la Germania, ma anche le pattuglie di corvi e avvoltoi di Oltre Oceano, potessero inghiottirla in un solo boccone: l’apparato era già pronto. Una quantità abnorme di manager, tycoon di Stato, burocrati, faccendieri, tutti o quasi dall’accento toscano, cresciuti a pane e volpe nei cortili di MPS o nelle grasse logge fiorentine, frequentate da sempre dalla famiglia Renzi, che avrebbero dovuto costituire la massa di manovra per realizzare il progetto. La copertura? Un Governo di sfigati e di sfigate, a cui affidare tutta l’accozzaglia delle “riforme” costruite sulla carta e sul vento, per imbrigliare il Parlamento e il popolo. Un grande, fatale errore dei mandatari. Pensare che Matteo fosse la persona giusta, che come minimo, accanto alle indiscusse doti di pagliaccio, ma anche di imbonitore di intrighi, tutte “doti” in grado di plagiare un popolo di plastica, possedesse almeno l’impronta dell’uomo di Stato, è stata una pia illusione. Lo specchietto delle allodole, che si abbattuto su questi “stupidi uccellini”, fu la vittoria schiacciante alle elezioni europee, che fece gracchiare perfino quella “opposizione interna” che oggi pone ultimatum difficilmente ignorabili. Ma fu il resto che cambiò le cose: la sfida brutale, crudele, programmata che l’ometto lanciò contro la gente semplice, non certo contro gli alleati sindacali o confindustriali, che stettero, naturalmente, al gioco. E come “gente semplice” non intendiamo solo i milioni di disoccupati, o di pensionati della “spazzatura”, ma anche i piccoli e medi imprenditori steccati dalle banche corrotte e dal fisco usuraio, e i tanti giovani che, non certo dal cuore di leone, come furono le generazioni anni ’70, pure si ribellarono ad un conformismo e ad un asservimento molto peggiore di quello del ventennio berlusconiano, e che dominava incontrastato, nelle istituzioni, nel welfare, nella scuola, nell’economia, teso a discriminare le classi sempre più arricchite dal malaffare di Stato, da quelle più povere sottomesse all’onestà. Mai, forse, nella storia moderna dell’Italia, un regime abbracciò la corruzione come questi tre anni trascorsi, con 180 parlamentari inquisiti o condannati, intere cosche mafiose cresciute all’ombra dei rapporti banche-imprese, e, soprattutto, un “partito unico”, il PD, organizzato in comitati d’affari che pesantemente si incuneava nel lavoro, nel risparmio, nel sociale, per distruggerli. Alla fine qualsiasi popolo avrebbe reagito: cioè, intendiamoci, qualsiasi altro popolo sarebbe corso in piazza, forse ricorrendo anche alla violenza, avrebbe tentato di scuotersi da una prigione in cui era stato rinchiuso per 15 anni, dal momento che un gruppo di giannizzeri venduti allo straniero lo aveva voluto rinchiudere dentro l’Europa. La reazione del popolo italiano fu il voto, e il castello di carte renziano è crollato! Si potrà mai più ricomporre? A sentire e leggere quel che dicono i suoi avversari interni, la risposta è no: ormai la scelta è tra la segreteria o la scissione. Chi difende a spada tratta la segreteria, sa che si tratta dell’ultima battaglia, perché se cade il “giglio magico toscano” costruito, pezzo per pezzo, nell’entourage di famiglia, come accadeva nel Medioevo, tra principi e valvassori, Renzi è perduto per sempre. Chi difende il proprio ruolo per conquistarla, e minaccia scissioni, conta su un recupero “a sinistra”, che, finora, non è mai riuscito, perché dall’altra parte c’era il “ba-bau” grillino che inghiottiva le tematiche proprie di una sinistra non certo marxista, ma pragmatica e programmatica, mai veduta prima. Difficile poter dire chi vincerà: ma il tempo per le “decisioni irrevocabili” è breve. C’è qualcosa che stona, in questa vicenda: ed è il ruolo che PD e M5S ricoprono, entrambi lanciati verso immediate o quasi, elezioni politiche anticipate. Ognuno, incernierato in una battaglia che, formalmente è politica, ma in realtà è programmatica: una sfida all’ultimo sangue, dove tutti gli altri, perfino gli eventuali scissionisti, e destra e centro-destra, sono comprimari. Si tratta del DOPO: cosa accadrà dopo l’eventuale vittoria, partendo dal presupposto che sia totale, con il 40,1% o sia parziale, con la maggioranza relativa. In realtà è di una rivoluzione, che stiamo parlando: che si cela ancora in questo scorcio di “anno domini”, e che potrebbe rappresentare l’unica chanche che resta al Paese, prima del crollo definitivo. E questo lo sanno sia i mandatari del regime, che comprende tutto l’arco di coloro che ci hanno sguazzato dentro e lo hanno condiviso, che Beppe Grillo, il quale ha già le carte giuste per la sua mano di poker. Tutto ormai dipende dalla reazione del popolo italiano: se continuerà verso la strada referendaria (perché le nuove elezioni saranno un vero referendum, ancora più importante di quelle del 1948 (che segnarono l’asservimento futuro della repubblica, poi ufficializzato con l’ingresso nella Nato), la rivoluzione sboccerà, e muterà incontrovertibilmente il Paese, in ogni sua cellula: se cadrà nel dubbio o nell’ennesimo spauracchio della cosiddetta “ingovernabilità” sarà perduto. E, allora, i mandatari esulteranno, perché il loro “pupazzo”, e tutti gli altri del contorno, potranno portare a termine il progetto nefasto iniziato, e non ancora concluso! (ROBESPIERRE)
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