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Creato da: r.capodimonte2009 il 13/10/2009
attualità, politica, cultura

 

 
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Quando le nostre uniformi risponderanno "SIGNORNO'"

Post n°1612 pubblicato il 06 Luglio 2017 da r.capodimonte2009
 

Cosa aspettano poliziotti, soldati, guardie di finanza a scrollarsi di dosso questa inequivocabile condanna a figurare come fantaccini di cartapesta a disposizione di magistrati azzeccagarbugli, o pupazzi tirati da politici a far da scorta alle loro insulse performance, spesso criminali; o addirittura come “truppe mercenarie”, che si sono dimenticate il tricolore e, come tanti “desperados” vengono inviate a vagare per deserti  e montagne, a difendere altre bandiere e soprattutto altri interessi cui la loro patria ha ceduto la propria sovranità?

Cosa aspettano a farsi un esame di coscienza, e, tra frizzi e lazzi cui è ridotta la loro funzione, a comprendere che ogni ordine che viene dal regime cui i loro superiori hanno ridotto la patria, di comune accordo con il potere nefasto che condividono, è un pezzo di dignità, di verità, di senso civico, di protezione nei confronti dei più deboli, che viene sacrificato, per i trenta o quaranta denari del soldo?

Possibile che la leva meridionale, che in maggioranza viene arruolata, formata da giovani che, pure, hanno scelto l’uniforme (o almeno la sceglievano), per trovare lavoro, oppure per fare la scelta con quello offerto dalla malavita organizzata, non si rendano conto che adesso l’Italia è tutta un “blocco meridionale”, perché suddivisa tra poche migliaia di lobbisti da galera (burocrazia e alta finanza), e 15 milioni di persone che non sanno la mattina come arrivare alla sera? Un fenomeno che Pasolini aveva  inquadrato in quella “guerra tra poveri”, cioè le uniformi della truppa, contro le camice rattoppate del popolo, che il potere ha necessità di mantenere continuamente “accesa” per guadagnarne i privilegi, che derivano dallo scassinamento dello Stato?

Possibile che i giovani soldati, sottufficiali e ufficiali non guardino i loro superiori, ricolmi di profitti e vantaggi, che mantengono aldilà della loro stessa onestà (perché si sono legati a “poteri oscuri” per proteggersi!), salire su fino alle massime cariche della Repubblica, con i petti infiorati di medagli di latta; mentre loro vengono considerati come birilli impazziti di un grande bowling, “yesmen” da figurine, cui viene appiccicata la targhetta tricolore, capace solo di far vibrare di un orgoglio idiota, l’estrema destra? Questa “destra” ha mai pensato di difenderli, aldilà delle chiacchiere, dai loro “politicizzati” superiori, nel momento in cui, per compensazione, anch'essi dovessero esprimere liberamente il proprio pensiero dialettico?

A quel punto occorre dare ragione a Franco Cardini, quando butta all’aria, ad esempio, ciò che resta dell’anima stessa dell’ “arma di cavalleria” intesa come spirito, stile, tradizione, mentre il lato militare della stessa viene innegabilmente mistificato in missioni militari che nulla hanno a che vedere con l’interesse del suolo patrio. In realtà è la politica che ha preso la mano dei militari, tanto che ad essi è stata brutalmente sottratta l’indipendenza e l’alteralità che li contraddistingueva, per poi spingerli verso contingenze che non sono loro proprie: basti pensare alle missioni in Afghanistan, dove i nostri soldati, comandati là da accordi politici, si vedono surclassati da migliaia di contractors, lautamente pagati proprio da chi stanno rappresentando!

Ma se è vero che è la politica (la peggiore, ci si permetta, compresa quella che tutela gli interessi strategici!), a dare il verso al soldato, dovremmo anche pensare che è giunto il momento per lui di “farla” un po’ di politica: e qui arriviamo al discorso del “militare di parte”, fino alla sua “insubordinazione”, quando l’ordine si fa specifico, contro determinate operazioni, che possono, in qualche modo, ad esempio, deturpare le garanzie democratiche; come il diritto alla sicurezza  o il diritto di sciopero, oppure, e questa è l’ultima di tutte le storture, la lotta alla corruzione e alla malavita organizzata; qui la linea si fa sottile, e può giungere perfino alla contestazione, da parte di quei militari che si sfilano il casco e si rifiutano di picchiare studenti e lavoratori, come è accaduto in Grecia e Portogallo; comandati da prefetture di regime che ordinano, sempre, le maniere forti contro gli insegnanti precari che manifestano, ma poi lasciano il boss mafioso libero di approntarsi il funerale hollywoodiano!

Il problema diventa etico, se non politico: a cosa serve un esercito che si allea con chi distrugge l’essenza stessa di ciò, lo Stato, la nazione, che dovrebbe difendere e garantire? La risposta è scontata: a niente. O meglio ad ingrassare “navi e poltrone”: ammiragli a iosa, al fresco dei loro uffici con aria condizionata, mentre marinai e ufficiali, sulle batane, al sole, alla salsedine, al rischio di infezioni, che raccolgono naufraghi! Ma costoro, o i loro colleghi che sfilano, con i petti ricolmi di nastrini di contrabbando, il 2 giugno, poi scompaiono nei loro inaccessibili ministeri, serviti di tutto punto da schiere di lacchè, sanno di camminare su un tappeto di uova?

La parete di argilla si assottiglia di ora in ora: sarà sufficiente che un reparto, uno solo, disobbedisca un giorno, ad una delle disposizioni o ad uno degli ordini emessi in nome di un popolo che ormai aspetta solo il momento opportuno per insorgere, che la reazione a catena coinvolgerà tutti gli altri. Né sappiamo di sicuro se ciò sia già accaduto, come qualcuno ci conferma: poliziotti, carabinieri, soldati e finanzieri sono pronti a riprendersi la loro funzione istituzionale, di difesa della nazione e della costituzione. E’ solo questione di tempo! (ITALIADOC)

 

 
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