Se mai voleste conoscere il significato del termine INOPPORTUNO, il vocabolario sentenzierà inadatto/inappropriato ad una certa situazione.
Questo è, appunto, l'appellativo più consono a descrivere l'operato di entrambi i protagonisti della vicenda di Ferguson, Missouri: Michael Brown, il ragazzo, nero, ucciso, e Darren Wilson, l'agente di polizia, bianco, che gli ha sparato.
Entrambi deboli, entrambi impulsivi, entrambi cattivi interpreti del proprio ruolo di rappresentanti di una società civile.
Entrambi assolutamente inadeguati.
Al cittadino comune non è permesso di arrogarsi il diritto di fare irruzione in un magazzino, minacciare il proprietario ed appropriarsi di merce, senza che di essa venga pagato il dovuto corrispettivo in denaro.
Al poliziotto non è consentito trarre conclusioni personali sull'accaduto e procedere a far uso delle armi, prima di aver tentato, con ogni mezzo, di rendere inoffensivo l'antagonista.
Dopodichè, sullo sfondo, esiste un crescente clima di violenza che interessa, ultimamente, il mondo intero, come una sorta di lotta per la conquista della legittimazione a prevaricare il proprio simile, ogniqualvolta questi rappresenti un ostacolo all'idea di ordine, di sistema o di gerarchia che ci siamo mentalmente costruiti (la mobilitazione di massa negli USA, di questi giorni, ne è la tragica conferma). Probabilmente trattasi di una deriva provocata da una progressiva perdita di valori essenziali, come il rispetto, la tolleranza, la temperanza, il senso di colpa e di vergogna, ma anche la capacità di valutazione. In fondo, il caso di Ferguson è quello che, nel gergo burocratico delle forze dell'ordine nostrane, verrebbe liquidato come "una disputa per futili motivi".
Purtroppo, per tanto poco, si è perso il controllo.
E adesso abbiamo qui un cadavere, da una parte, e, dall'altra, un tizio passibile di processo e di condanna.
Due uomini inappropriati alla circostanza.
Due poveretti, cui la vita non ha (e non aveva) insegnato niente.
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