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NON PIU' DOMENICA E' SEMPRE DOMENICA

Post n°1846 pubblicato il 13 Ottobre 2017 da kayfakayfa
 

Che io ricordi, fino a poco più di trent’anni fa la domenica era ancora, a tutti gli effetti, un giorno di festa. Per cui il sabato le casalinghe, inclusa mamma, scendevano due volte al giorno per fare la spesa: la mattina, quella giornaliera; il pomeriggio, quella per il giorno dopo poiché, essendo festa, i negozi sarebbero stati irrimediabilmente chiusi. Escluse le pasticcerie e i barbieri che quel giorno facevano mezza giornata per restare chiusi il lunedì. Inoltre, trattandosi della spesa per un giorno festivo, la sporta per la domenica era sempre molto più consistente di quella degli altri giorni. Soprattutto perché la presenza in casa per l’intera giornata del capofamiglia oltre ad imporre d’essere onorata, rappresentava l’elemento coagulante affinché quel giorno la famiglia si ritrovasse unita intorno alla tavola, trascorrendovi l’intero pomeriggio a chiacchierare di tutto e di più. In sottofondo le voci radiofoniche dei cronisti di Tutto Il Calcio Minuto per Minuto che aggiornavano sui risultati del campionato di calcio, permettendo a quanti avessero giocato la schedina di controllare i risultati delle partite nell’eventualità avessero fatto un tredici milionario che gli avrebbe cambiato per sempre la vita, ovviamente in meglio.

Tutto questo dava seguito a una  serie di rituali che iniziavano con il levarsi all’alba delle donne di casa per mettere sul fuoco la pentola con il ragù di carne, la cui lenta cottura richiedeva delle ore. Il graduale diffondersi nell’appartamento dell’aroma del sugo in ebollizione aveva il potere di ricordare a quanti eventualmente se ne fossero dimenticati che quel giorno era domenica e quindi, non dovendo andare a lavoro, ci si poteva attardare nel letto per dormire un po’ di più. O semplicemente ci si poteva rigirare tra le lenzuola, concedendosi i un attimo di relax da soli, in compagnia della moglie e dei figli piccoli per i quali la domenica era sinonimo di felicità perché potevano stare insieme al papà e alla mamma tutta la giornata.

Quasi sempre, unitamente al ragù, in famiglia si accompagnava l’usanza degli gnocchi di patate fatti in casa. La preparazione di quei grumi di pasta era un vero spasso per noi bambini. Con occhi spalancati e stupiti come chissà a quale strabiliante magia assistessimo, osservavamo le donne di casa impastare con le mani sul tavolo della cucina la farina e le patate fino a ad ottenerne una pasta molle e compatta che veniva stesa sul tavolo con il mattarello, facendola poi scivolare tra le mani affusolandola in maniera da creare un lungo “serpente” di sfoglia che veniva spezzettato col coltello in tanti pezzettini che, dopo essere passati singolarmente sulle punte della forchetta per assumere la caratteristica forma attorcigliata degli gnocchi, venivano raccolti nel piatto e trasferiti in camera da letto dove erano distribuiti sul letto previamente ricoperto con un lenzuolo a protezione del talamo per evitare che si sporcasse di farina.

Come si conviene a un qualsiasi giorno di festa, la domenica ci si vestiva eleganti anche solo se si doveva  andare a messa, comprare il giornale o in pasticceria per acquistare  l’immancabile cartoccio di paste la cui immancabile presenza a tavola ribadiva l’eccezionalità di quel dì.

In  quel giorno “speciale” era d’obbligo apparecchiare la tavola con il servizio “buono” di piatti, bicchieri e posate. E al desco veniva sempre aggiunta qualche sedia in più perché tradizione imponeva che la domenica, così come per tutte le altre festività,  i familiari andassero a trovare i parenti  per ricompattare la famiglia “divisa” dai vari matrimoni.

Ovviamente vi era anche chi la domenica aveva l’abitudine di recarsi allo stadio per assistere alla partita, portando con sé i figli o lasciandoli in custodia alla moglie o ai suoceri. Permettendo in quel modo alle mogli di riposare, magari trascorrendo la giornata a casa della mamma, della sorella o standosene semplicemente da sole a casa. Oppure c’era chi, avendo disponibilità economica, ne approfittava per andare a ristorante con la famiglia rendendo quel giorno ulteriormente speciale.

Personalmente ritengo che a svilire la sacralità della domenica, accomunandola sempre più un giorno come un altro, sia stato l’avvento dei grandi centri commerciali la cui apertura domenicale, inizialmente fino alle 14, successivamente estesa all’intera giornata, indusse molti commercianti, a partire dagli alimentari, ad aprire anche di domenica - inizialmente tenendo le saracinesche abbassate a metà, fingendo in quel modo di essere aperti solo per sistemare il negozio, rigorosamente chiusi al pubblico, cui in realtà vendevano ogni cosa, in modo da evitare, se passavano i vigili e i finanzieri per un controllo, di incorre in qualche sanzione considerato che all’epoca la domenica era obbligatoria la chiusura degli esercizi commerciali. Inizialmente questa pessima abitudine venne attuata da molti negozianti per appagare la propria avidità con la complicità dei clienti cui, facendo comodo l’opportunità di poter fare la spesa anche di domenica, non si preoccupavano che in quel modo si rendevano complici di un evasore fiscale in quanto, non potendo esercitare il commercio di domenica, i negosianti non rilasciavano alcuno scontrino fiscale. Oggi più che mai i commercianti restano aperti di domenica allo scopo di fronteggiare l’egemonia dei grandi centri commerciali e dei cinesi.

Se ancora non lo avete fatto, quando di domenica vi capita di entrare in un negozio, provate a osservare bene in viso l’espressione dei commessi e delle commesse. Noterete che per lo più vi sorridono con le labbra in maniera formale. Gli occhi sono tristi o quanto meno freddi, a testimonianza che la loro anima in quel frangente soffre perché vorrebbero essere altrove. Magari a casa con la propria famiglia. O insieme al proprio amore. Oppure semplicemente a riposarsi dopo una stressante settimana lavorativa.

Attualmente è sempre più forte la sensazione che, con la scusa della crisi economica, molti esercizi commerciali, a partire dalle grandi catene di distribuzione, impongono dei veri e propri ricatti ai loro stipendiati, tipo “o ti adegui a questi orari di lavoro, oppure te ne vai”. La cosa più grave, a mio avviso, è che sempre più esercizi commerciali, al momento solo quelli appartenenti alle grandi catene di distribuzione,  si stanno lasciando corrompere da quel virus proveniente dalla Cina di restare aperti h 24. Costringendo i propri dipendenti a svendere la propria dignità di esseri umani per uno stipendio che a volte è perfino inferiore rispetto quello previsto dal contratto sindacale.

Senza considerare che alcune aziende avrebbero, (in questo caso l’uso del condizionale è d’obbligo dato che si tratta di voci di corridoio) la cattiva abitudine di far firmare ai propri dipendenti la busta paga il cui importo rispecchia esattamente quanto gli è dovuto ma poi, nella realtà, corrispondono un importo inferiore. In questo modo pagano meno tasse a scapito dei dipendenti ch invece pagano le tasse fino all’ultimo centesimo, intascando meno di quanto gli compete visto che il datore di lavoro gli decurta dall’importo segnato sulla busta paga quanto pagato di tasse sulla sua persona fisica di dipendente.

Purtroppo nessuno, o pochissimi, hanno il coraggio di denunciare tali abusi perché, sempre più spesso, chi denuncia, alla fine commette un clamoroso autogol in quanto, oltre a perdere il lavoro, senza testimoni pronti a sostenere le proprie accuse, si rischia di incorrere in una denuncia per diffamazione e dover poi risarcire economicamente gli stessi suoi sfruttatori.

Ritornando alla domenica, per tante persone essa resta un giorno di festa perché contrassegnata in rosso sul calendario. Nella realtà è ormai declassata a un giorno qualunque. Anzi peggiore degli altri in quanto, mentre tanti in quel giorno riposano, loro sono costretti a dover lavorare per soddisfare le esigenze di chi quel giorno, riposando, ne approfitta per fare spese.

Sarebbe bello se la domenica e tutti gli altri giorni festivi in cui i centri commerciali e tanti negozi sono aperti, non ci recassimo a fare spese. Non solo  per onorare  la festività, ma prima di tutto per solidarietà verso quanti sono costretti a lavorare anche nelle festività.

Ed è forse la mancanza di solidarietà tra le persone il nocciolo della questione. Di questo vocabolo, solidarietà, così ricco di significati filantropici vi è un abuso indiscriminato, a partire dai politici.  A parole tutti siamo propensi alla solidarietà verso chi soffre davvero. Purtroppo però, come sempre più spesso confermano i fatti di cronaca nera, la solidarietà è solo un piacevole diversivo dietro cui si nascondono i più gretti interessi criminali. Un caso per tutti Mafia Capitale, laddove uno degli intercettati, Salvatore Buzzi, successivamente condannato a 19 anni, in una telefonata non si faceva scrupoli ad affermare “gli immigrati rendono più della droga”. Nessuno scrupolo dunque a fare soldi sulla pelle dei disperati, alla faccia della solidarietà.   

A tale proposito qualcuno, a proposito dello schiavismo, obietterà che esso esiste da che esiste l’uomo, citando gli ebrei schiavi in Egitto dei racconti biblici; la schiavitù ai tempi dell’antica Roma; lo schiavismo per cui fu combattuta la guerra di secessione in America. In tempi più recenti, sempre in America, la differenza razziale tra bianchi e negri  esistita fino agli sessanta del secolo corso, anche se  oggi non è che vada meglio. Oppure l’apartheid in Sudafrica. Qualcun altro sosterrà che “da sempre il dio denaro prevale su tutto e tutti”, anche sulle festività religiose, (da tempo Natale ha del tutto perso i caratteri della religiosità assumendo quelli prosaici dell’orgia consumistica). Qualcuno tirerà le somme di tutto ciò, concludendo che quanti lavorano di domenica non è vero che sono sfruttati in quanto sono, o sarebbero?, tutelati dai turni.

 Per carità, nulla da eccepire. Probabilmente è davvero così. Ma a questo punto sarebbe il caso che le autorità preposte controllassero effettivamente quanti di quegli esercizi commerciali aperti di domenica e nei giorni di festa retribuiscono a norma di legge i propri dipendenti.

Se uno deve sacrificarsi è giusto che lo faccia in cambio dell’adeguato compenso. Se invece, oltre a essere costretto a lavorare quando gli altri si riposano, deve anche subire l’onta di una paga da miseria, le cose cambiano: il lavoro deve nobilitare l’uomo non umiliarlo.

Tuttavia se pensiamo che sull’ingresso del campo di concentramento di Auschwitz vi era scritto “Arbeit macht frei” (il lavoro rende liberi), non fatichiamo a comprendere perché, proprio attraverso il lavoro, molti uomini tendono a far sì che altri perdano la propria dignità di essere umani trattandoli alla stregua di schiavi.

Fino a trent’anni fa o poco più, la domenica era il giorno in cui gli uomini lo dedicavano a se stessi o alla famiglia, godendosi il meritato riposo dopo una settimana di duro lavoro.

Man mano che si è andati avanti con i tempi, l’uomo si è completamente assuefatto alla volontà del mercato. Subendone il fascino ipnotico soprattutto grazie all’avvento delle televisioni private le quali, attraverso la programmazione di trasmissioni e telefilm prodotti in contesti sociali completamente sucubi del sistema capitalistico - uno su tutti il modello americano riproposto nel nostro paese dalle televisioni berlusconiane – hanno fatto sì che tanti individui strutturassero la propria esistenza a totale imitazione di quelle realtà sociali dove nessuno sa che ti ricoverano in ospedale solo se hai una carta di credito o un’assicurazione sulla vita. Diversamente puoi tranquillamente morire.

Trasformare la domenica da giorno di preghiera in onore del Dio dei cieli a giorno di preghiera in onore del dio denaro, entrando non più nelle chiese con tutta la famiglia per ascoltare la messa seguendo la liturgia sui foglietti distribuiti sui banchi, bensì andando con la famiglia a fare spese nei centri commerciali leggendo tra le mani i volantini delle offerte speciali, il passo non è affatto lungo.

Oramai la domenica è anch’essa tributata al dio denaro. Volendo fare un ragionamento esasperato, l’ulteriore dimostrazione è data dalle partite di calcio le quali, da qunato c’è stato l’avvento delle televisioni private, si svolgono in diversi orarie e giorni della settimana per soddisfare le esigenze economiche delle emittenti che trasmettono le partite alle quali lo svolgersi delle gare non più solo di domenica e in un unico orario, bensì spalmato in giorni e orari diversi della settimana garantisce la possibilità di un’offerta più vasta di spazi pubblicitari a costi variabili a seconda dell’importanza dei match e dell’ora in cui si trsmette accrescendo i propri introiti pubblicitari.

Diversamente da quanto cantava Mario Riva, da tempo non più Domenica E’ Sempre Domenica!

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