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INFEZIONI POST OPERATORIE, INVISIBILE REALTA'

Post n°1723 pubblicato il 28 Luglio 2016 da kayfakayfa

Fino a quando non si ha la sventura di viverle sulla propria pelle, certe realtà ci appiano virtuali come i pokemon: sappiamo che esistono, seppure non le vediamo. Per cui, questa loro impercettibilità ce le rende inesistenti. Al massimo, se ne parliamo riferendoci a un conoscente che le sta vivendo, ci può scappare “poveraccio, che brutta storia. speriamo che si risolva quanto prima e bene!”.

Tutto finisce con quel commento caustico. E, com'è giusto che sia, ci rituffiamo nella nostra realtà. Lasciando quella che ai nostri occhi appare virtuale a chi la sta affrontando con la forza della disperazione.

Il 22 giugno scorso il mio secondogenito è stato operato al CTO di Napoli: ricostruzione completa del legamento anteriore destro più parte del menisco. Un intervento di routine in anestesia locale. A ventiquattrore dall'operazione era già in piedi che camminava reggendosi sulle stampelle. Quattro giorni dopo, al primo controllo post operatorio, l'ortopedico che lo aveva operato era soddisfatto: tutto procedeva per il meglio.

Alcuni giorni dopo un improvviso gonfiore al ginocchio, accompagnato da febbre alta e persistente, ha fatto capire che qualcosa non andava come doveva.

Telefoniamo al medico il quale ci dà subito appuntamento in ambulatorio.

Gli estrae dal ginocchio quattro siringhe di liquido screziato segno che è in atto un'infezione.

La diagnosi è di quelle che mai vorresti sentire: artrite settica.

Da quel momento ha inizio un calvario tra medici, farmacie e infermieri per le flebo da farsi in casa che non auguro a nessuno.

In quei momenti cerchi qualunque appiglio pur di non abbatterti.

Pur non avendone voglia, scendi a correre con gli amici. Ma ti fermi dopo pochi chilometri perché hai nelle gambe i pensieri che ti bloccano come macigni.

Provi a leggere, a telefonare agli amici per sfogarti. Altro non puoi fare!

Se poggi lo sguardo su tuo figlio smagrito e con gli occhi cerchiati, steso nel letto con la flebo nel braccio, a stento trattieni il pianto.

Stando all'infettivologa che lo sta curando, tale complicazione può verificarsi nel 2% degli interventi come quello subiti dal ragazzo.

Tuttavia forte è il dubbio che possa aver contratto l'infezione in sala operatoria.

Questa convinzione nasce dal fatto che quando mio figlio tornò su al CTO insieme a mia moglie per incontrare l'infettivologa, in sala d'attesa c'erano almeno un'altra mezza dozzina di persone anche loro lì per incontrare la dottoressa avendo contratto anche loro un'infezione post operatoria.

Per non parlare della signora di Ischia accompagnata dalla figlia che abbiamo conosciuto l'altro ieri su al Cotugno, l'ospedale per le malattie infettive di Napoli, dove ci recammo per avere il nuovo protocollo terapeutico: operata a gennaio al II Policlinico, aveva contratto una setticemia post operatoria da cui s'era salvata per il rotto della cuffia, diversamente da altre persone ricoverate come lei in rianimazione, mi sembra a Ischia, sempre per lo stesso problema. Ma che ancora ha in circolo un batterio che le sta creando non poche difficoltà esistenziali.

Della pericolosità derivante dalle infezioni post operatorie ne avevo sentito parlare per vie traverse. Ma mai avrei immaginato che fossero più comuni di quanto pensassi. Siamo nel 2016, mica nel medioevo.

Posso capire che questo tipo di infezioni, purtroppo, sono di prassi negli ospedali da campo allestiti in zone di guerra dagli eserciti e dalle associazioni umanitarie. Ma che possano manifestarsi in una struttura di cemento, pubblica o privata non fa differenza, dove si presume debbano essere garantiti tutti i crismi dell'igiene, mi rifiuto di accettarlo!

Solo ora che sto vivendo direttamente questo incubo, capisco perché molti, pur spedendo dei capitali, preferiscono operarsi lontano da Napoli se non addirittura fuori regione.

Un caso su tutti un'amica di mia moglie: operata anni fa a una mano Napoli, per un'infezione post operatoria rischiò la cancrena. Quando dovette tornare a operarsi, preferì andarsene a Bologna dove trovò una situazione di sterilità totalmente diversa da quella Napoletana: il giorno prima di operarla le fecero fare la doccia e le imposero di indossare abiti che le diedero stesso loro in dotazione. Ai suoi reiterati rifiuti, dovette intervenire il professore che poi la operò spiegandole che quello era un modo per evitare il rischio di infezione durante l'intervento.

Per carità, non voglio assolutamente mettere in discussione che gli ospedali napoletani e campani in generale non seguano procedure di sterilità meno rigide rispetto a quelle previste dal protocollo nazionale per la tutela dei pazienti. Sicuramente ci sono realtà napoletane e regionali che sono l'eccellenza!

Tuttavia se tanti sono i casi da me riscontrati di persone che hanno contratto un'infezione post operatoria a Napoli e provincia, incluso mio figlio, un motivo deve pur esserci.

Affidarsi alle statistiche o, peggio, mostrarsi fatalisti mi sembra un modo assai semplicisticoe riduttivo di aggirare il problema.

Sembra che negli USA, e probabilmente anche altrove, per fronteggiare i rischi di un'infezione post operatoria, un paio di settimane prima dell'intervento facciano fare ai pazienti un cura per aumentare le difese immunitarie.

Perché non si fa anche qui?

Oppure, pur essendo previsto dal protocollo nazionale, in molti non lo fanno, magari per ridurre i costi della sanità pubblica a scapito del paziente?

Speriamo che l'incubo si risolva quanto prima in un brutto ricordo e nulla più!

 
Rispondi al commento:
kayfakayfa
kayfakayfa il 01/09/17 alle 16:35 via WEB
Mi dispiace, sono situazione che in una società civile non dovrebbero mai verificarsi!
 
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